CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 5288 depositata il 20 febbraio 2023
Licenziamento – Periodo di comporto – C.C.N.L. per i dipendenti delle aziende del settore terziario – Episodi consecutivi di infortunio e malattia – Carattere secco o per sommatoria del comporto previsto dagli artt. 175 e 177 C.C.N.L. terziario – Accoglimento
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Catanzaro (sentenza n. 1242/2018) ha accolto l’appello di F.M. e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al M. il 30.4.2008 dalla C.D. s.r.l. ed ha condannato quest’ultima alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e la C.G. spa (in cui la C.D. s.r.l. si era fusa per incorporazione) al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 18, legge n. 300 del 1970.
2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha interpretato gli artt. 175 e 177 del c.c.n.l. terziario come recanti la previsione di un comporto secco di 180 giorni (“in base al combinato disposto degli artt. 175 e 177 ccnl terziario […] se ad un periodo di malattia, nello stesso anno, segue un’interruzione, comincia a decorrere un nuovo periodo di comporto di 180 giorni”, pag. 9 della sentenza d’appello) ed ha accertato come il lavoratore, nel corso dell’anno 2007, non avesse totalizzato 180 giorni consecutivi di malattia (“i dati indicati nel ricorso in appello, da cui si evince l’interruzione della malattia tra luglio ed agosto, trovano conferma nel prospetto dei periodi di malattia […] da cui pure si evince che nel 2007 il lavoratore non ha mai totalizzato 180 giorni consecutivi di malattia”, pag. 9 della sentenza d’appello).
3. Avverso la sentenza d’appello la C.G. spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Col primo motivo ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. riguardo all’art. 175 c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende del settore terziario, con riferimento al computo del comporto. Con il secondo motivo ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 cod. civ. in relazione all’art. 175 c.c.n.l. con riferimento al computo del periodo di comporto e per mancata applicazione della cd. equità integrativa e del comporto per sommatoria.
4. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 23155 del 2020, ha respinto il ricorso della C.G. spa giudicando corretta l’interpretazione data dalla Corte di merito al “combinato disposto degli artt. 175 e 177 nonché (alla) dichiarazione a verbale in calce al predetto art. 177, del CCNL 17 luglio 2008 (ndr art. 177, del CCNL 18 luglio 2008) per i dipendenti delle aziende del settore terziario, in base alla quale ogni periodo di comporto ha durata di 180 giorni, talché, qualora all’infortunio succeda, come pacificamente avvenuto nel caso di specie, persino ove senza soluzione di continuità, un periodo di assenza per malattia, inizia a decorrere, dal momento dell’insorgenza della malattia, un distinto termine di 180 giorni solo alla cui scadenza può procedersi a licenziamento per superamento del periodo di comporto (si veda, al riguardo, Cass. n. 26005 del 2015)”.
5. Contro l’ordinanza n. 23155 del 2020 la C.G. spa ha proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., in relazione all’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., articolato in un unico motivo. F.M. non ha svolto difese.
6. È stata depositata memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., nell’interesse della C.G. spa.
Ragioni della decisione
7. Con l’unico motivo la ricorrente in revocazione denuncia l’errore di fatto commesso nella ordinanza n. 23155 del 2020 nella parte in cui ha affermato (pag. 2, ultimo capoverso) che “qualora all’infortunio succeda, come pacificamente avvenuto nel caso di specie, persino ove senza soluzione di continuità, un periodo di assenza per malattia, inizia a decorrere, dal momento dell’insorgenza della malattia, un distinto termine di 180 giorni solo alla cui scadenza può procedersi a licenziamento per superamento del periodo di comporto (si veda, al riguardo, Cass. n. 26005 del 2015)”, sebbene nella fattispecie oggetto di causa la esistenza di episodi consecutivi di infortunio e malattia (idonea a giustificare due distinti periodi di comporto) fosse incontrovertibilmente esclusa in base agli atti processuali. Lo stesso lavoratore, fin dall’inizio, aveva allegato che le assenze, in due distinti periodi rispettivamente di 109 e 124 giorni, erano dovute esclusivamente a malattia ed aveva invocato il mancato superamento del comporto, ritenuto secco, di 180 giorni, in ragione della non consecutività dei due periodi; che le assenze complessive fossero dovute a malattia non era stato mai contestato nei gradi di merito.
8. La società ricorrente addebita all’ordinanza revocanda di avere trasposto acriticamente nella fattispecie oggetto di causa (non il principio di diritto ma) il fatto oggetto della sentenza citata Cass. n. 26005 del 2015, con la conseguenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, una emergente dalla ordinanza in esame (un episodio infortunistico e un successivo episodio morboso) ed una dagli atti di causa (unico episodio morboso che ha dato causa a due distinti e non consecutivi periodi di assenza dal lavoro).
9. L’erronea supposizione, ad opera della S.C., dell’esistenza (anche) di un infortunio quale causa delle assenze, integra, secondo parte ricorrente, l’errore di fatto revocatorio, avente valore decisivo in quanto l’ordinanza impugnata non ha affrontato la questione giuridica posta dai motivi di ricorso, sul carattere secco o per sommatoria del comporto previsto dagli artt. 175 e 177 c.c.n.l., avendo ritenuto non superato il tetto di 180 giorni di assenze per malattia.
10. Il ricorso è fondato.
11. Con orientamento costante si è affermato che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass., S.U. n. 31032/2019).
L’errore revocatorio presuppone che la Corte sia incorsa in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale (v. Cass. n. 17443/2008; Cass. n. 22868/2012; Cass. n. 27451/2013; Cass. n. n. 10040/2022).
12. L’errore di fatto che legittima la revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, e che si sostanzia in un’erronea percezione dei fatti di causa, oltre a dover rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, nonché quelli dell’essenzialità e della decisività ai fini della decisione, deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, e cioè quegli atti che la Corte deve e può esaminare direttamente con propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso, e deve incidere unicamente sulla sentenza di legittimità (Cass. 24856/2006).
13. Nel caso in esame, dagli atti processuali interni al giudizio di legittimità (sentenza d’appello, ricorso per cassazione e controricorso), emerge come il lavoratore avesse fruito, nel corso del 2007, di un primo periodo di malattia dal 10.4.2007 al 28.7.2007, per 109 giorni, e di un secondo periodo di malattia dal 29.8.2007 al 31.12.2007, per 124 giorni (pag. 8 della sentenza d’appello che riporta brani del ricorso in appello del lavoratore e pag. 9; pag. 6 del ricorso in cassazione della società).
Che le assenze del lavoratore nell’anno 2007 fossero dovute unicamente a malattia, e non a infortunio, costituisce circostanza pacifica e positivamente acquisita nel processo. La Corte d’appello aveva accolto il ricorso del lavoratore avendo interpretato gli artt. 175 e 177 del c.c.n.l. come tali da prevedere un comporto secco di 180 giorni, nel caso di specie non superato in ragione dell’intervallo tra i due distinti periodi di assenza per malattia.
14. I motivi di ricorso in cassazione proposto dalla società investivano, tra l’altro, l’interpretazione delle norme contrattuali ad opera dei giudici di appello, deducendosi che le stesse contemplassero un comporto per sommatoria, nel caso di specie superato, anziché secco.
15. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso sull’erroneo presupposto fattuale che nel caso in esame le assenze del lavoratore avessero avuto luogo per infortunio e poi, senza soluzione di continuità, per malattia, applicandosi in tal caso due distinti termini di comporto di 180 giorni (“il c.c.n.l. […] statuisce che i periodi di comporto per malattia e per infortunio agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di lavoro sono distinti e hanno la durata di centottanta giorni cadauno”, pag. 3 ordinanza n. 23155/2020).
16. L’erronea percezione dei fatti di causa, confermata dal richiamo nella ordinanza revocanda di precedenti di legittimità effettivamente relativi a ipotesi di assenze del lavoratore anche per infortunio, oltre che immediatamente rilevabile dal raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, riveste carattere decisivo in quanto ha determinato la valutazione di corretta applicazione di una disciplina contrattuale riferita a fattispecie diversa da quella oggetto di causa. Non solo, detto errore ha fatto sì che la S.C. non affrontasse la questione interpretativa posta dal ricorso della società, sul carattere secco o per sommatoria del periodo di comporto per malattia disciplinato dagli artt. 175 e 177 del c.c.n.l.
17. Per le ragioni esposte, l’ordinanza impugnata deve essere revocata.
18. Passando alla fase rescissoria, con l’originario ricorso per cassazione la società ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro formulando due motivi di censura.
19. Con il primo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione falsa applicazione degli articoli 1362 e ss. cod. civ., in relazione all’art 175 del c.c.n.l., applicabile alla data di licenziamento, per i dipendenti delle aziende del settore terziario, censurando la sentenza d’appello per aver ritenuto che il periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva di settore fosse secco o unitario, cioè dovesse protrarsi per un unico periodo continuativo in presenza di un’unica malattia.
20. Con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione falsa applicazione dell’art. 2110 cod. civ., in relazione all’art 175 del c.c.n.l., per mancata applicazione della c.d. equità integrativa e del comporto per sommatoria.
21. Ha affermato che se la Corte distrettuale, applicando le regole ermeneutiche non fosse stata in grado di stabilire se la disposizione contrattuale prevedesse un comporto secco o per sommatoria, avrebbe dovuto comunque applicare il criterio del comporto per sommatoria e valutare secondo equità, in base al disposto dall’art. 2110 cod. civ., la legittimità del recesso datoriale.
22. I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per la stretta connessione, sono fondati e devono trovare accoglimento.
23. L’art. 175 del c.c.n.l. applicato prevede: “Durante la malattia, il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento […]”. La stessa disciplina è estesa alle assenze per infortunio, in base all’art. 177. La dichiarazione a verbale in calce all’art. 177 stabilisce che “a decorrere dall’1.1.95 i periodi di comporto per malattia e per infortunio agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto sono distinti ed hanno la durata di centottanta giorni cadauno”.
24. La Corte d’appello ha richiamato il precedente di legittimità n. 26005/2015 che ha statuito: “Ai sensi del combinato disposto degli artt. 175 e 177, nonché della dichiarazione a verbale in calce al predetto art. 177, del c.c.n.l. 17 luglio 2008 (ndr art. 177 del c.c.n.l. 18 luglio 2008) per i dipendenti delle aziende del settore terziario, ogni periodo di comporto ha durata di 180 giorni, sicché, nel caso in cui all’infortunio succeda, anche senza alcuna soluzione di continuità, un periodo di assenza per malattia, inizia a decorrere, dal momento dell’insorgenza della malattia, un distinto termine di 180 giorni, solo alla cui scadenza, per cui può procedersi a licenziamento per superamento del periodo di comporto se non quando sia decorso il periodo di comporto”.
25. Sulla base di tale massima, il Collegio di merito ha ritenuto che “in base al combinato disposto degli artt. 175 e 177 c.c.n.l. terziario […] se ad un periodo di malattia, nello stesso anno, segue un’interruzione, comincia a decorrere un nuovo periodo di comporto di 180 giorni”. Ha accertato come nel caso di specie si fosse verificata l’interruzione della malattia tra luglio ed agosto, per cui il lavoratore non aveva mai totalizzato 180 giorni consecutivi di malattia.
26. L’interpretazione adottata dai giudici di appello valorizza, probabilmente, una espressione contenuta nella massima sopra riportata, secondo cui “ogni periodo di comporto ha durata di 180 giorni”, isolandola però dal contesto in cui la stessa è inserita e dalla fattispecie per cui è enunciata, quella di assenze del lavoratore per infortunio e per malattia, per cui effettivamente, secondo la disciplina contrattuale, valgono distinti ed autonomi periodi di comporto, ciascuno di 180 giorni.
Ma la massima in esame non si attaglia alla fattispecie oggetto di causa, in cui le assenze del lavoratore sono riferibili unicamente a malattia.
27. Nessuna ulteriore spiegazione è fornita a supporto della tesi secondo cui, in caso di interruzione della malattia, comincia a decorrere un nuovo periodo di comporto nello stesso anno.
28. Premesso che la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto (Cass. n. 6335 del 2014; n. 13860 del 2019), deve rilevarsi come l’interpretazione adottata dai giudici di appello non appaia rispondente al senso letterale delle parole usate e, specificamente, al contenuto dell’art. 175 che prevede il diritto alla conservazione del posto per un “periodo massimo di 180 giorni in un anno solare”. Non solo la disposizione non reca alcun riferimento al carattere consecutivo, cioè ininterrotto, delle assenze, ma l’utilizzo del singolare in relazione al “periodo” contraddice la possibilità di considerare consentita la conservazione del posto di lavoro a fronte di più periodi di assenza nell’anno solare, ciascuno di 180 giorni. Là dove, invece, la lettura offerta nella sentenza impugnata finisce per garantire la conservazione del posto di lavoro, in teoria, a fronte di assenza protratte per un periodo doppio rispetto a quello di 180 giorni (quindi per 360 giorni su 365) purché intervenga nel corso dell’anno una, sia pur brevissima, interruzione. Neppure appare rispettato il criterio di interpretazione sistematica delle clausole, in quanto la soluzione accolta in secondo grado non valorizza la differenza, che il contratto collettivo invece pone, tra l’ipotesi di assenze causate da un unico fattore morboso e l’ipotesi (contemplata dalla dichiarazione a verbale) in cui concorrono diversi fattori causativi delle assenze (malattia e infortunio) e, solo in tal caso, operano distinti ed autonomi periodi di comporto.
29. Occorre rilevare come precedenti pronunce di questa Corte abbiano interpretato le clausole dei contratti collettivi del settore commercio previgenti, formulate in modo identico a quella in esame, nel senso di ritenere previsto un comporto per sommatoria fino a 180 giorni in un anno solare, sottolineando come “il rapporto istituito tra il detto periodo massimo e l’anno solare (trecentosessantacinque giorni) – il cui inizio deve farsi coincidere con il giorno in cui si sia verificata una qualsiasi assenza per malattia – evidenzia l’intenzione comune delle parti di non limitare il comporto al caso di un unico episodio morboso, atteso che a questo fine sarebbe stato sufficiente stabilire che la malattia non avrebbe dovuto superare i centottanta giorni” (in tal senso v. Cass. n. 1973/1984 riferita all’art. 55 del c.c.n.l. 25 settembre 1976 per i dipendenti da aziende commerciali secondo cui il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di centottanta giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento; v. anche Cass. n. 1254/1991).
La sentenza Cass. n. 23663/2001 ha affermato che il c.c.n.l. del settore commercio contiene una disciplina del comporto cd. secco (per un’unica ed ininterrotta malattia), stabilendo che il licenziamento è possibile quando la malattia abbia superato i 180 giorni nell’arco di un anno solare, ma ha confermato la sentenza d’appello che aveva ritenuto equo applicare lo stesso termine del comporto secco al comporto per sommatoria. La sentenza Cass. n. 23596/2018 ha confermato la decisione di appello che aveva interpretato l’art. 175 del c.c.n.l. del Commercio come riferito sia al comporto secco e sia a quello per sommatoria; in tal caso la Corte di merito aveva aggiunto che, ove si fosse ritenuto disciplinato dall’art. 175 solo il comporto secco, si sarebbe dovuta applicare in via di equità, ai sensi dell’art. 2110, comma 2, c.c., al comporto per sommatoria, il medesimo termine di 180 giorni, calcolato a ritroso dall’ultimo episodio morboso nell’ambito dell’anno solare di 365 giorni.
30. Il percorso interpretativo seguito dalla Corte di appello non rispecchia una corretta applicazione dei canoni ermeneutici necessari per giungere ad una soluzione logicamente plausibile e compatibile con i dati testuali complessivamente considerati e con il comportamento delle parti, quantomeno attraverso l’applicazione dei criteri equitativi di cui all’art. 2110 cod. civ.
31. Per tali ragioni, in accoglimento dei motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, revoca l’ordinanza di questa Corte n. 23155/2020 e, decidendo sul ricorso per cassazione, accoglie il ricorso della C.G. spa, cassa la sentenza d’appello n. 1242/2018 e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.