CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 5295 depositata il 20 febbraio 2023
Tributi – Avviso di accertamento catastale – Rettifica del classamento – Dichiarazione docfa di variazione per frazionamento, fusione e diversa distribuzione di spazi interni – Termine perentorio di impugnazione dell’avviso di accertamento – Rigetto
Fatti di causa
1. – Con sentenza n. 4852/2017, depositata il 22 novembre 2017, e notificata in data 11 gennaio 2018, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, – in accoglimento dell’appello incidentale spiegato dall’amministrazione, – ha dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio proposto dalla parte, odierna ricorrente, in impugnazione di un avviso di accertamento catastale recante rettifica del classamento proposto dal contribuente con dichiarazione docfa di variazione «per frazionamento, fusione e diversa distribuzione di spazi interni» di due unità immobiliari.
1.1 – A fondamento del decisum, il giudice del gravame ha ritenuto che:
– l’avviso di accertamento, – che era stato notificato alla parte il 21 aprile 2016, – risultava impugnato con un primo atto (presentato «tempestivamente, il 15 giugno 2016») e, di poi, con un ulteriore atto che, – su segnalazione dell’Ufficio in ordine alla «carenza» dei «requisiti necessari» del primo atto notificato, – era stato proposto dalla parte «il 22 giugno 2016 con istanza in nuovo format», dunque «dopo la scadenza del termine perentorio stabilito per proporre l’istanza di mediazione»;
– rimaneva «quanto mai opinabile che dal rilievo dell’Ufficio di una omissione del contribuente» potesse conseguire «la sospensione o l’interruzione di un termine perentorio», così che andava ad ogni modo rispettato il «termine di legge (che era di 60 giorni);
– «dalla data di proposizione della prima istanza di mediazione, anche il termine finale di 90 giorni per la conclusione della mediazione medesima risulta scaduto, tenuto conto della sospensione feriale agostana, il 14 ottobre 2016, mentre la costituzione in giudizio dell’odierno appellante è avvenuta il 18 novembre 2016, quindi certamente fuori il termine di legge di trenta giorni, perentorio ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. 546/1992.»;
– peraltro destituiti di fondamento rimanevano i motivi di appello principale proposti dal contribuente atteso che: a) – l’avviso di accertamento, – che conseguiva da una dichiarazione catastale presentata con procedura docfa, – doveva ritenersi correttamente motivato, venendo in considerazione la «natura partecipativa della valutazione» che implicava una «motivazione affievolita»; b) – la rettifica catastale non presupponeva lo svolgimento di un previo sopralluogo né era esposta ad un termine (annuale) di natura perentoria; c) – l’Ufficio, – a fronte, peraltro, di una proposta di classamento delle unità immobiliari nella categoria A/3 (proposta che la parte aveva rettificato nel corso della mediazione), – aveva correttamente attribuito detta categoria in comparazione con unità immobiliari limitrofe.
2. – G.G. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di sei motivi di ricorso.
L’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.
Fissato all’udienza pubblica del 1 dicembre 2022, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in l. n. 176 del 2020, e dal sopravvenuto d.l. n. 228 del 2021, art. 16, c. 1, conv. in l. n. 15 del 2022, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e del difensore di parte ricorrente, che non ha fatto richiesta di discussione orale.
Ragioni della decisione
1. – Col primo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione di legge deducendo, in sintesi, che illegittimamente il giudice del gravame non aveva accolto l’istanza di rinvio della discussione del ricorso, per legittimo impedimento debitamente e tempestivamente comunicato dal difensore (contestualmente impegnato in altre due sedi giudiziarie, l’una delle quali per procedimento relativo un minore), con conseguente pregiudizio del diritto di difesa.
Il secondo motivo espone la denuncia di erronea statuizione di inammissibilità del ricorso introduttivo in quanto, – una volta presentata «a sanatoria» una seconda istanza di reclamo (in data 22 giugno 2016), – da detta data non poteva ritenersi decorso il termine di legge (30 giorni) per la costituzione in giudizio che, pertanto, si era tempestivamente perfezionata il 18 novembre 2016 (nei 30 giorni successivi alla scadenza, in data 21 ottobre 2016, del procedimento di reclamo mediazione).
Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla l. n. 212 del 2000, art. 7, ed agli artt. 3, 23, 24, 53 e 97 Cost., così deducendo il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento catastale che non esponeva le ragioni del maggior valore accertato in relazione alla rettifica del classamento proposto in dichiarazione docfa.
Il quarto motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 1142 del 1949, artt. 55 e 61, sull’assunto che la rettifica catastale non era stata preceduta dal (necessario) sopralluogo e che il software Docfa risultava idoneo ad evidenziare, ai fini del corrispondente (corretto) classamento catastale, «le diversità delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche della Varie Zone e dei vari fabbricati base».
Il quinto motivo, anch’esso articolato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e della l. n. 212 del 2000, artt. 10 e 12, assumendo il ricorrente che la rettifica catastale era conseguita da attività svolta «a tavolino» e senza attivazione del contraddittorio preventivo con esso esponente.
Col sesto motivo il ricorrente denuncia l’illegittimità della statuizione sulle spese atteso che il giudice del gravame ne aveva disposto la regolazione senza motivare sulle ragioni della condanna pronunciata in favore dell’amministrazione che, peraltro, si era avvalsa di personale dipendente, in disparte la stessa fondatezza dei motivi di ricorso proposti da esso esponente.
2. – Il primo motivo di ricorso è manifestamente destituito di fondamento.
2.1 – In termini generali, la Corte ha ripetutamente rimarcato che la parte che propone ricorso per cassazione, deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice, lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicché l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata (v., ex plurimis, Cass., 8 ottobre 2021, n. 27419; Cass., 2 febbraio 2018, n. 2626; Cass., 9 agosto 2017, n. 19759; Cass., 9 luglio 2014, n. 15676).
Nella fattispecie, la denunciata lesione del diritto di difesa viene correlata alla (del tutto) generica deduzione dell’impossibilità di «disertare in ordine all’eccezione reiterata da parte dell’Ufficio relativamente alla presunta tardività del ricorso» e, dunque, su di una quaestio iuris che, come anticipato, forma oggetto del secondo motivo di ricorso.
2.2 – In termini, peraltro, specificamente correlati alla questione processuale dedotta, la Corte (anche qui) ha ripetutamente statuito che l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., allorché non faccia riferimento all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà ora confermata dall’art. 9, comma 2, della l. n. 247 del 2012 e tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto), si risolve nella prospettazione di un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, che non rileva ai fini del richiesto differimento (Cass., 10 giugno 2020, n. 11121; Cass., 3 maggio 2018, n. 10546; Cass., 17 ottobre 2014, n. 22094; Cass., 27 agosto 2013, n. 19583; Cass. Sez. U., 26 marzo 2012, n. 4773; Cass., 19 marzo 2010, n. 6753).
3. – Anche il secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento e, dal suo rigetto, consegue l’assorbimento dei residui motivi di ricorso, dal terzo al quinto.
3.1 – Seppur con qualche antinomia concettuale, – atteso che non esiste un’autonoma istanza di mediazione rispetto al ricorso introduttivo del giudizio che, per l’appunto, esso stesso «produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione» (d.lgs. n. 546 del 1992, art. 17 bis, c. 1), – la gravata sentenza inequivocamente espone i termini di riferimento del decisum che il motivo in trattazione censura, essendosi rilevato, come anticipato, che:
– l’avviso di accertamento era stato notificato il 21 aprile 2016 ed era stato impugnato, una prima volta, con atto notificato (tempestivamente) il 15 giugno 2016;
– un secondo atto era stato notificato il 22 giugno 2016 (a termine perentorio scaduto);
– il ricorrente si era tardivamente costituito il 18 novembre 2016.
3.2 – Dissodato il decisum della rilevata antinomia, ne consegue, allora, che:
– il termine perentorio di impugnazione dell’avviso di accertamento (d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21, c. 1) scadeva alla data del 20 giugno 2016;
– se, dunque, risultava utilmente proposto il ricorso (con atto notificato il 15 giugno 2016), a diversa conclusione deve pervenirsi quanto al secondo atto che, come lo stesso ricorrente assume, andava ascritto alla data del 22 giugno 2016;
– difatti, nel processo tributario, il contribuente che abbia proposto valido ricorso contro un atto dell’Amministrazione finanziaria non consuma il potere di impugnazione, e non perde, quindi, la possibilità di proporre, finché non sia scaduto il termine, un nuovo ricorso contenente anche motivi diversi da quelli espressi nell’atto introduttivo (v. Cass., 30 giugno 2010, n. 15441; Cass., 31 marzo 2008, n. 8234);- identificandosi il dies a quo del periodo (di 90 giorni) di sospensione, qual correlato allo svolgimento del reclamo/mediazione (d.lgs. n. 546 del 1992, art. 17 bis, c. 2), con la prima (e utile) notifica del ricorso (alla data del 15 giugno 2016), – ed aumentato detto termine di sospensione del periodo feriale (di 31 giorni; art. 17 bis, c. 2, cit.), – la scadenza del subprocedimento in questione si è, nella fattispecie, perfezionata (proprio) alla data del 14 ottobre 2016, così che nei successivi trenta giorni la parte, a pena di inammissibilità del ricorso, avrebbe dovuto costituirsi in giudizio (ai sensi dell’art. 17 bis, c. 3, cit., in relazione al successivo art. 22, c. 1).
3.3 – Come, dunque, correttamente ritenuto dal giudice del gravame, – a fronte dei rilevati dati temporali che lo stesso motivo di ricorso nemmeno pone in discussione, – la parte, allora ricorrente, tardivamente ebbe a costituirsi in giudizio alla data del 18 novembre 2016.
Ed è appena il caso di rimarcare che l’erroneità dell’accertamento svolto dalla gravata sentenza viene dal ricorrente dedotta con una (inammissibile) traslazione (in avanti) di detto dies a quo che, per l’appunto, viene identificato, – piuttosto che con la (utile) notifica del ricorso introduttivo (alla data del 15 giugno 2016), – con quella operata tardivamente (il 22 giugno 2016) e, dunque, a termine perentorio scaduto (sin dal 20 giugno 2016).
4. – Se, quindi, dalla rilevata inammissibilità del ricorso introduttivo consegue, come anticipato, l’assorbimento di ogni altra questione tra le parti controversa il cui esame rimaneva, per l’appunto, precluso dalla tardiva costituzione in giudizio della parte ricorrente, nemmeno il sesto motivo di ricorso può trovare accoglimento.
4.1 – Il giudice del gravame, difatti, ha legittimamente correlato la disciplina delle spese processuali al criterio della soccombenza della parte che aveva dato causa al giudizio, – introdotto in violazione del relativo termine perentorio di costituzione in giudizio, – né la difesa personale dell’Ufficio avrebbe potuto diversamente legittimare ex se una diversa soluzione, posto che nel processo tributario esiste specifica disposizione che correla l’applicazione della tariffa vigente per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ivi previsti, alla fattispecie della difesa tecnica garantita da personale dipendente dell’Ente impositore [v. già il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis, aggiunto dal d.l. 8 agosto 1996, n. 437, art. 12, comma 1, lett. b), conv. in l. 24 ottobre 1996, n. 556; v., ora, il citato art. 15, comma 2 sexies , come introdotto dal d.lgs. n. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. f), n. 2); v., altresì, Cass., 3 novembre 2020, n. 24293; Cass., 17 settembre 2019, n. 23055; Cass., 23 novembre 2011, n. 24675; Cass., 14 marzo 2007, n. 5957; Cass., 11 agosto 2004, n. 15546; Cass., 14 dicembre 2001, n. 15858].
5. – Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, non avendo parte intimata svolto attività difensiva, mentre sussistono, nei confronti del ricorrente, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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