Corte di Cassazione sentenza n. 5892 depositata il 12 marzo 2018
FALLIMENTO – CESSAZIONE – CHIUSURA DEL FALLIMENTO – DECRETO DI CHIUSURA – RECLAMO – OGGETTO – SUSSISTENZA DI UNA DELLE IPOTESI DI CHIUSURA DI CUI ALL’ART. 118 LEGGE FALL. – NECESSITÀ – FONDAMENTO – FATTISPECIE
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. La Corte d’appello di Venezia respinse il reclamo L.Fall. ex art. 119, (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma del 2006) proposto da B.N., in proprio e quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.n.c., avverso il decreto, depositato il 27 marzo 2012, con cui il Tribunale di Treviso aveva disposto la chiusura del fallimento della reclamante e di B.E., dichiarato nei loro confronti in quanto soci illimitatamente responsabili della predetta società.
1.1. La Corte osservo’ che: a) la cognizione del giudice del reclamo ai sensi della L.Fall., art. 119, e’ limitata alla verifica della sussistenza di uno dei casi di chiusura di cui all’art. 118, onde non potevano trovare ingresso censure delle modalità di gestione della procedura, quali quelle sollevate con il primo motivo di reclamo, riguardante il ritardo con cui si era provveduto alla chiusura del fallimento; b) le doglianze di cui al secondo motivo di reclamo, attinenti al mancato avviso alla fallita del deposito del rendiconto del curatore e dell’udienza fissata per la sua discussione, erano infondate, risultando che la B. aveva partecipato all’udienza e che il tribunale aveva poi approvato il rendiconto con sentenza passata in giudicato, sicche’ ogni contestazione in proposito era preclusa; c) infondate erano, altresi’, le censure di cui al terzo motivo di reclamo: sia quella avente ad oggetto la mancata sottoscrizione, da parte del giudice delegato, dell’approvazione del piano di riparto finale relativo al fallimento della società, perche’ poi a quel piano di riparto ne era seguito un secondo, correttivo del primo, nuovamente approvato dal medesimo giudice con decreto questa volta ritualmente sottoscritto; sia quella riguardante l’omissione dell’avviso alla reclamante del deposito del piano di riparto relativo al fallimento della società e dei soci, atteso che il fallito non ha diritto a tale avviso.
2. Avverso la descritta decisione, la B. propone ricorso per cassazione con due motivi, resistito dalla curatela con controricorso.
2.1. Il ricorso, avviato inizialmente alla procedura camerale su relazione ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., dopo alcuni rinvii dovuti anche alla ricusazione dei componenti del collegio giudicante da parte della ricorrente (dichiarata inammissibile da altro Collegio), e’ stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza collegiale della Sezione Sesta – 1 del 9/30 maggio 2016. Entrambe le parti hanno presentato memorie. Alla pubblica udienza del 24 marzo 2017, il giudizio e’ stato ulteriormente rinviato a nuovo ruolo perche’ il difensore della ricorrente risultava sospeso – per due mesi dall’esercizio della professione. In atti si rinviene, infine, una “comparsa in riassunzione” della B., in proprio e nella indicata qualità, datata 20.6.2017, successivamente alla quale e’ stata fissata la pubblica udienza del 14 dicembre 2017.
3. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità del decreto di chiusura del fallimento dei soci e della relativa fase procedimentale, anche di reclamo, a causa dell’omesso avviso ai soci falliti sia del piano di riparto, ai sensi della L.Fall., art. 110, sia del deposito del rendiconto e della fissazione dell’udienza per l’esame dello stesso, L.Fall., ex art. 116.
3.1. Con il secondo motivo si prospetta violazione della legge penale, e, in particolare, degli artt. 11 e 131 c.p.p., per avere la corte territoriale omesso di informare il Pubblico Ministero che l’ufficio fallimentare, ritardando la chiusura del fallimento, aveva trattenuto indebitamente la somma di circa Euro 500.000,00 spettante ai falliti quale residuo attivo della soddisfazione dei creditori concorrenti.
3.2. La ricorrente formula, infine, richiesta di rimessione della causa alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., perche’ riguardante questioni di massima di particolare importanza.
4. Va preliminarmente disattesa quest’ultima istanza in quanto le questioni poste con il ricorso possono essere decise in base alla giurisprudenza di questa Corte – come meglio si vedrà appresso – per il cui superamento la B. non offre significativi argomenti.
5. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
5.1. La tesi ivi sostenuta e’ che le violazioni di legge (asseritamente) verificatesi nei procedimenti di rendiconto del curatore e di riparto finale reagiscano sul procedimento di chiusura, determinandone la nullità.
5.2. Si tratta, pero’, di un assunto non condivisibile, perche’ il procedimento di chiusura, con la conseguente fase di reclamo, e’ autonomo e non dipendente dall’eventuale nullità o comunque illegittimità delle precedenti fasi della procedura fallimentare.
5.3. Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di chiarire che la cognizione rimessa al giudice in sede di reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento, ai sensi della L.Fall., art. 119, comma 2, e’ limitata alla verifica della sussistenza di una delle ipotesi di cui ai numeri da 1) a 4) dell’art. 118, in presenza delle quali gli organi fallimentari non hanno alcun potere discrezionale di protrarre la procedura e quindi differirne la chiusura; con la conseguenza che il reclamo e’ inammissibile qualora il reclamante non abbia dedotto l’insussistenza di una di tali ipotesi (cfr. Cass. 13/07/2017, n. 17337; Cass. 13/01/2010, n. 395; Cass. 22/10/2007, n. 22105; Cass. 16/03/2001, 3819).
5.4. La ricorrente osserva che tale giurisprudenza si riferisce essenzialmente a casi in cui la protrazione della procedura fallimentare, malgrado la sussistenza dei presupposti della chiusura, era invocata in relazione alla necessità di decidere opposizioni allo stato passivo o istanze tardive di ammissione. Il rilievo, pero’, non e’ decisivo, perche’ non intacca la ratio dell’orientamento in esame, basata sul carattere necessario della chiusura della procedura fallimentare al verificarsi dei relativi suoi presupposti. Cio’ non toglie, ovviamente, che il fallito possa far valere eventualmente nelle sedi proprie, esterne alla procedura, le ragioni di doglianza che nutra nei confronti della conduzione della procedura stessa da parte degli organi competenti.
6. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile, essendo inteso a censurare la mancata adozione di un provvedimento – l’informativa al Pubblico Ministero – di carattere ordinatorio e non decisorio.
7. Il ricorso va in conclusione respinto, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, altresi’ rigettandosi, per palese insussistenza dei requisiti di legge, la sua domanda ex art. 96 c.p.c..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
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