CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 602 depositata il 11 gennaio 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IRES, IRAP e IVA – Plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione azionaria – Violazione del principio eurounitario di libertà di stabilimento – Rigetto
Fatti di causa
1. La società contribuente G. S.r.l. ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2008, con il quale – a seguito di PVC e previo riscontro delle osservazioni del contribuente – venivano accertate maggiori IRES, IRAP e IVA, oltre sanzioni, formulandosi quattro distinti rilievi. Per quanto qui rileva, il terzo rilievo, ai fini IRES, IRAP e IVA, aveva a oggetto la riclassificazione di componenti positivi di reddito e comportava la ripresa a ricavo di parte della plusvalenza esente a termini dell’art. 87 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), originatasi dalla cessione della partecipazione della G. S.r.l. in G.A. S.p.A. L’Ufficio riqualificava una quota parte della plusvalenza quale ricavo tassabile, per effetto dell’assunzione da parte della società contribuente di obbligazioni e garanzie nei confronti di altra cedente (S.V.S. S.a.r.l.), benché l’importo fosse stato erogato direttamente dal cessionario delle quote. Il quarto rilievo aveva ad oggetto l’omessa contabilizzazione di ricavi, in violazione dell’art. 110, comma 7, TUIR, consistiti in proventi finanziari relativi alla corresponsione di interessi attivi sul finanziamento intercompany erogato alla controllata estera A. S.A. calcolati secondo il criterio del valore normale di cui all’art. 9, comma 3, TUIR in applicazione della disciplina dei prezzi di trasferimento.
2. La società contribuente ha dedotto, oltre a inesistenza della relata di notifica e alla nullità dell’atto impositivo per superamento del termine massimo di durata delle operazioni di verifica presso i locali dell’impresa, l’infondatezza – quanto al terzo rilievo – della natura di provento di parte della somma di danaro ricevuta dal cessionario delle quote per la cessione della partecipazione nel G.A. S.p.A. riqualificata dall’Ufficio come ricavo e, in subordine, la natura di operazione esente IVA. La società ha, poi, contestato la ripresa in relazione all’applicazione della disciplina dei prezzi di trasferimento e in punto sanzioni.
3. La CTP di Bologna ha rigettato il ricorso.
4. La CTR dell’Emilia-Romagna, con sentenza in data 30 giugno 2014, ha rigettato le eccezioni preliminari della società contribuente, ritenendo non necessaria la relata di notifica trattandosi di notifica effettuata direttamente dall’ente impositore tramite servizio postale e ritenendo irrilevante ai fini della validità dell’atto impositivo il superamento dei tempi massimi di permanenza presso gli uffici del contribuente. Nel merito, il giudice di appello ha annullato il terzo rilievo ai soli fini IVA, confermandolo nel resto. Ha ritenuto, in particolare, che il maggior corrispettivo versato dagli acquirenti delle quote di G.A. S.p.A. (c.d. increase) rispetto alle quote di partecipazione possedute dalla società contribuente (35%), costituisse corrispettivo versato in esecuzione di un separato accordo, formalizzato tra la società contribuente e l’altra cedente (S.V.S. S.a.r.l.), con il quale la società contribuente assumeva ogni garanzia relativa alla solidità della società ceduta e alla piena operatività della stessa nell’interesse dell’altra cedente, operazione costituente prestazione «di garanzia e di gestione». Per l’effetto, tale maggior valore si sarebbe dovuto computare secondo la CTR ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP, ma sarebbe risultato esente ai fini IVA a termini dell’art. 10 primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in quanto prestazione di sevizi avente natura di impegno di natura finanziaria. E’, poi, stato confermato il quarto rilievo, in quanto il finanziamento erogato alla controllata estera transfrontaliera non poteva qualificarsi come conferimento in conto capitale ma come finanziamento, per il quale si sarebbe dovuto fare applicazione del recupero di interessi su tali finanziamenti, benché qualificati come infruttiferi, per effetto della ordinaria redditività degli stessi secondo il valore normale applicato a finanziamenti della stessa specie. Il giudice di appello ha, poi, ritenuto inammissibili per novità le ulteriori doglianze relative al medesimo rilievo, doglianze che, poi, sono state rigettate anche nel merito; il giudice di appello ha, infine, rigettato le doglianze in punto sanzioni.
5. Ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a diciassette motivi, diversamente enumerati; resiste con controricorso l’Ufficio, il quale propone a sua volta ricorso incidentale, affidato a un unico motivo, cui resiste la società contribuente con controricorso.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 3 l. 20 novembre 1982, n. 890, per non avere il giudice di appello ravvisato la nullità radicale della notificazione dell’avviso impugnato in assenza della compilazione della relata di notifica e nella parte in cui il giudice ha ritenuto sanata l’eventuale nullità dalla proposizione del ricorso giurisdizionale. Parte ricorrente deduce come la relata di notificazione sarebbe carente della sottoscrizione e, quindi, sarebbe del tutto inesistente e, quindi, insanabile ex art. 156 cod. proc. civ.
1.2. Con il secondo motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, l. 27 luglio 2000, n. 212, per avere il giudice di appello ritenuto che il superamento dei termini massimi di durata delle operazioni di accesso presso gli uffici del contribuente non ingenerasse nullità dell’atto impositivo. Deduce parte ricorrente come l’acquisizione di materiale probatorio in violazione di legge costituisca causa di inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti.
1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione, all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., una complessa censura subarticolata sotto tre distinti e diversi profili. In via generale, si censura il combinato disposto degli artt. 75, 87 TUIR, nonché degli artt. 1322, 1325, 1326 e 1418 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione del 35% del pacchetto azionario del G.A. S.p.A. non sarebbe soggetta alla limitata imponibilità di cui all’art. 87 TUIR (partecipation exemption), ma costituirebbe ricavo di cui all’art. 85 TUIR, per avere il giudice di appello interpretato tale cessione in correlazione con il contratto stipulato dalla contribuente con l’altra cedente S.V.S. S.a.r.l., quale maggior corrispettivo (increase), dovuto per l’assunzione nei confronti e nell’interesse dell’altra cedente dell’obbligazione di garanzia del valore della partecipazione ceduta.
1.3.1. Sotto un primo profilo si deduce violazione dell’art. 87 TUIR, posto che la lettura dei documenti contrattuali – trascritti per specificità in parte qua – mostrerebbe come l’increase menzionato sarebbe da attribuire al corrispettivo della cessione della partecipazione del G.A. S.p.A. e non a quello di prezzo di una autonoma prestazione, eseguita dalla cessionaria su incarico dell’altro cedente. Osserva parte ricorrente che sulla ripartizione del prezzo di cessione delle quote del G.A. ha pesato un «meccanismo correttivo», a riduzione del corrispettivo dell’altro cedente, per effetto del maggiore onere di garanzia assunto dalla società contribuente (garante della situazione economica sottostante), dovuta al fatto che la società contribuente aveva curato la gestione e l’operatività della società ceduta. Osserva, inoltre, il ricorrente che «la lettura sistematica degli accordi intervenuti tra le parti» dimostrerebbe che l’increase non sarebbe un valore autonomo sganciabile dal prezzo di cessione delle partecipazioni in G.A. e che il giudice di appello avrebbe operato un inammissibile sezionamento dell’unico corrispettivo pattuito.
1.3.2. Sotto un secondo profilo, si deduce violazione degli artt. 1322 e 1362 cod. civ., per avere il giudice di appello violato il principio di autonomia contrattuale, per avere qualificato un corrispettivo dovuto per cessione di pacchetti in termini difformi dai contenuti degli accordi contrattuali, attribuendo all’altra cedente una volontà negoziale mai manifestata.
1.3.3. Sotto un terzo profilo, si deduce violazione degli artt. 1325 e 1418 cod. civ., in quanto la configurazione adottata dal giudice di appello implicherebbe la stipulazione di un contratto autonomo di garanzia, nullo per difetto di causa. Rilevante al riguardo sarebbe, in particolare, la circostanza che il pagamento non sarebbe avvenuto dall’altro cedente ma direttamente dal cessionario delle quote, nonché la lettura delle clausole contrattuali.
1.4. Con il quarto motivo (enumerato anch’esso sub II, pag. 38 ricorso) si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituititi dall’esame di alcuni documenti (quali il verbale dell’assemblea dei soci di G. del 16 giugno 2007).
1.5. Con il quinto motivo (enumerato anch’esso sub III, pag. 39 ricorso) si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e all’art. 112 cod. proc. civ., omessa pronuncia sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 85 TUIR, nella parte in cui la sentenza impugnata ha fatto confluire il corrispettivo dell’incremento di prezzo tra i ricavi, a dispetto dell’attività esercitata dalla società contribuente, che è quella di detenzione di partecipazioni.
1.6. Con il sesto motivo, indicato come IV, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., motivazione apparente, circa il rigetto del motivo II.5 dell’appello relativo al rilievo n. 2/IRAP. Deduce parte ricorrente di avere censurato in appello l’infondatezza della pretesa erariale in relazione all’IRAP, non potendo l’incremento di corrispettivo (increase) essere qualificato come provento autonomo, risultando assorbito nel corrispettivo da cessione di partecipazione, non rilevante ai fini della base imponibile IRAP in quanto iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie alla voce E20 del conto economico. Osserva come la CTR si sarebbe limitata a ritenere l’operazione imponibile ai fini IRAP senza illustrazione del percorso motivazionale.
1.7. Con il settimo motivo, indicato come n. V, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (per quanto non espressamente), violazione e falsa applicazione dell’art. 110, settimo comma, TUIR, in relazione ai capi della sentenza impugnata con i quali è stata operata la rettifica IRES basata sulla disciplina dei prezzi di trasferimento infragruppo in relazione al finanziamento erogato dalla società contribuente alla controllata transfrontaliera A. S.A. Osserva parte ricorrente che la connotazione del finanziamento quale infruttifero avrebbe ricondotto il finanziamento all’apporto in conto capitale estraneo all’applicazione della suddetta disposizione normativa. Deduce parte ricorrente che la disciplina in punto prezzi di trasferimento non sarebbe applicabile ai finanziamenti caratterizzati dalla gratuità, richiamandosi a un arresto di questa Corte (Cass., Sez. V, 19 dicembre 2014, n. 27087).
1.8. Con l’ottavo motivo, indicato come n. VII, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile per novità il motivo di appello indicato in appello sub. III.2.A. Osserva parte ricorrente di avere dedotto in appello con tale censura la «inesistenza dei componenti di reddito da sottoporre a rettifica e illegittimità della riqualificazione dell’operazione gratuito in operazione onerosa», laddove in prime cure parte ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 110, settimo comma, TUIR di cui la censura in appello costituiva mera emendatio.
1.9. Con il nono motivo, indicato come n. VIII, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 110, settimo comma TUIR, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ritenuto la fondatezza del motivo di appello indicato in appello sub. III.2.A., ove si osservava che il finanziamento era avvenuto in assenza di corrispettivi, richiamandosi nuovamente all’arresto di Cass., n. 27087/2014, citata in relazione al settimo motivo.
1.10. Con il decimo motivo, indicato come n. IX, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile per novità il motivo di appello indicato in appello sub. III.2.B. Osserva parte ricorrente di avere dedotto in appello con tale censura la «errata quantificazione del valore normale», laddove in prime cure parte ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 110, settimo comma, TUIR di cui la censura in appello costituiva mera emendatio.
1.11. Con l’undicesimo motivo, indicato come n. X, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 110, settimo comma TUIR, riproponendosi la doglianza di cui al motivo di appello sub III.2.B; osserva il ricorrente come si fosse dedotto nel merito che il valore normale non fosse deducibile in relazione al mercato finanziario quale mercato di riferimento del soggetto mutuante ma a servizi della stessa specie all’interno di gruppi societari e, quindi, al costo dei finanziamenti infragruppo.
1.12. Con il dodicesimo motivo, indicato come n. XI, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile per novità il motivo di appello indicato in appello sub. III.2.C. Osserva parte ricorrente di avere dedotto in appello con tale censura il «mancato coordinamento dell’art. 110, comma 7, TUIR con le disposizioni recate dalla Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni tra Italia e Lussemburgo», laddove in prime cure parte ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 110, settimo comma, TUIR di cui la censura in appello costituiva mera emendatio.
1.13. Con il tredicesimo motivo, indicato come n. XII, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 110, settimo comma TUIR in relazione al motivo di appello indicato sub III.C.2 in cui era stata tracciata la censura di violazione dell’atto impositivo della Convenzione Italia – Lussemburgo del 3 giugno 1981, ratificata con l. 14 agosto 1982, n. 747 contro le doppie imposizioni.
1.14. Con il quattordicesimo motivo indicato come n. XIII, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile per novità il motivo di appello indicato in appello sub. III.2.D. Osserva parte ricorrente di avere dedotto in appello con tale censura la «violazione della libertà di stabilimento sancita dagli artt. 49 e ss. TFUE», laddove in prime cure parte ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 110, settimo comma, TUIR di cui la censura in appello costituiva mera emendatio, approccio che dovrebbe ritenersi in violazione della compatibilità della disciplina tributaria interna con il diritto dell’Unione.
1.15. Con il quindicesimo motivo, indicato come n. XIV, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 110, settimo comma, TUIR in relazione al motivo di appello indicato in appello sub. III.2.D. Osserva parte ricorrente che l’applicazione del valore normale ai finanziamenti infragruppo transfrontalieri violerebbe la libertà di stabilimento all’interno dell’Unione Europea garantita dall’art. 49 TFUE, posto che non si tratterebbe di costruzione di puro artificio, finalizzata a consentire alla società controllata di fruire di operatività finanziaria.
1.16. Con il sedicesimo motivo, indicato come n. XV, si deduce (benché non espressamente) in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione del principio del ne bis in idem delle sanzioni amministrative irrogate nel caso di specie. Osserva parte ricorrente come le sanzioni irrogate andrebbero qualificate come sanzioni penali, con violazione del suddetto principio, per esser stato il legale rappresentante della società contribuente già sottoposto a giudizio penale. Osserva parte ricorrente come detta sanzione si rivelerebbe afflittiva, in quanto parametrata al 100% dell’imposta che si assumerebbe non versata.
1.17. Con il diciassettesimo motivo, indicato come n. XVI, si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 6 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e dell’art. 8 d. lgs. n. 546/1992 circa l’irrogazione delle sanzioni, per non avere il giudice di appello disapplicato le sanzioni, stante l’incertezza normativa e l’insussistenza di colpevolezza. Osserva, quanto all’incertezza normativa, che non vi erano circolari e risoluzioni dell’Ufficio in tema di applicazione dell’art. 87 TUIR e che il riferimento contenuto nella sentenza impugnata a «scelte operative della contribuente» fosse espressione inconferente.
1.18. Con l’unico motivo del ricorso incidentale l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 10, primo comma, d.P.R. n. 633/1972, nonché degli artt. 3, primo comma e 7, terzo comma, nella formulazione pro tempore, del medesimo d.P.R., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che ai fini IVA trovi applicazione la suddetta disposizione in relazione alla maggiorazione di prezzo o increase. Osserva l’Ufficio nel proprio ricorso incidentale che il giudice di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che l’interesse degli acquirenti della partecipazione in G.A. S.p.A. fosse quello di ottenere l’esatto adempimento di obbligazioni di facere e non quello di ottenere disponibilità finanziarie, per cui tale prestazione si sarebbe dovuta ricomprendere tra le prestazioni generiche di cui all’art. 3, primo comma, d.P.R. n. 633/1972.
2. Il primo motivo del ricorso principale è palesemente infondato.
Non è stato censurato l’accertamento, compiuto dal giudice di appello, secondo cui la notificazione dell’atto impositivo è avvenuto con «notificazione effettuata direttamente dall’ente impositore a mezzo del servizio postale». Nel qual caso, a termini dell’art. 14 l. n. 890/1982, si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati e non quelle di cui alla suddetta legge concernenti esclusivamente la notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex art. 149 cod. proc. civ.; sicché non va redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, senza necessità di invio di raccomandata al destinatario (Cass., Sez. V, 14 novembre 2019, n. 29642; Cass., Sez. V, 15 luglio 2016, n. 14501).
3. Per questa forma di notificazione, consentita anche per gli atti giudiziari (Cass., Sez. V, 7 dicembre 2016, n. 25095), la giurisprudenza di questa Corte ritiene che debba seguirsi la disciplina del servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, non anche quella della l. n. 890/1982, attinente alla notificazione eseguita dall’ufficiale giudiziario (Cass., 5 agosto 2016, n. 16488; Cass., Sez. V, 4 luglio 2014, n. 15315; Cass., Sez. V, 17 dicembre 2010, n. 25616; Cass., Sez. V, 29 gennaio 2008, n. 1906). Nel caso, pertanto, di notifica a mezzo posta, le indicazioni che debbono risultare dall’avviso di ricevimento ai fini della validità della notificazione, quando l’atto sia consegnato a persona diversa dal destinatario, sono quelle prescritte dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria (Cass., Sez. V, 5 agosto 2016, n. 16488, cit.; Cass., Sez. VI, 25 luglio 2018, n. 19795).
La mancanza della relata di notificazione (come anche delle altre formalità menzionate dal ricorrente) non può incidere sulla validità del procedimento notificatorio. Né tanto meno (di qui la palese infondatezza) la mancanza di tali formalità potrebbe comportarne l’inesistenza, essendo la fattispecie della inesistenza della notificazione confinata a casi del tutto eccezionali, in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto come notificazione, come nei casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente (Cass., Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916).
4. Il secondo motivo del ricorso principale è infondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall’art. 12, comma 5, l. n. 212/2000, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, scelta giustificata dal mancato coinvolgimento dei diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (Cass., Sez. V, 14 marzo 2022, n. 8274; Cass., Sez. V, 27 gennaio 2017, n. 2055; Cass., Sez. V, 15 aprile 2015, n. 7584; Cass., Sez. V, 05 ottobre 2012, n. 17002).
5. Il terzo motivo, in relazione a tutti i tre profili in cui il motivo è stato subarticolato, è inammissibile, in quanto il ricorrente – in disparte la novità delle questioni in tema di contratto autonomo di garanzia – pur denunciando un apparente profilo di violazione di legge, intende ottenere la rilettura del materiale probatorio al fine di giungere a un diverso accertamento in fatto, non consentito nel giudizio di legittimità.
Così facendo il ricorrente, pur deducendo una violazione di norme di legge, mira alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758), ponendo a fondamento della censura non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8315).
6. Nella specie, risulta che il giudice di appello ha esaminato congiuntamente il contratto di cessione delle partecipazioni (datato 19 dicembre 2007) e il contratto tra i cedenti delle partecipazioni medesime (contratto in data 19/20 marzo 2008 tra la contribuente e S.V.S. S.a.r.l.) e ha raggiunto la conclusione che l’incremento di prezzo non fosse da ascrivere alla cessione della partecipazione azionaria ma a obbligazioni assunte dalla contribuente nei confronti dell’altra cedente, distinta dalla cessione delle quote.
Decisivo è apparso al giudice di appello il riconoscimento – fondato sull’esame e la lettura testuale della documentazione contrattuale, riportata tra virgolette – dell’«increase quale specifico corrispettivo riconosciutole per l’assunzione di partecipazioni stipulato in data 19.12.2007», nonché la circostanza del rilascio di quietanza liberatoria all’altra venditrice in corrispondenza con la ricezione della somma, quale comportamento concludente. Da tali puntuali accertamenti in fatto, incensurabili con il vizio di violazione di legge, il giudice di appello ha tratto la conclusione che l’incremento di prezzo fosse prova (ma soprattutto oggetto) di un autonomo contratto con l’altro venditore delle quote, «volto a far assumere a [G.] un ruolo importante ai fini della conclusione dell’affare di cessione della G.A. SpA dietro il riconoscimento di uno specifico corrispettivo, ulteriore rispetto al valore delle partecipazioni possedute» nello specifico interesse dell’altro venditore.
7. Il quarto motivo è inammissibile, stante l’applicazione nel caso di specie – in disparte l’osservazione che l’omesso esame di documenti non rientra nel vizio in oggetto – del principio di cui all’art. 348-ter cod. proc. civ., non avendo il ricorrente messo in evidenza, agli effetti dell’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ. le eventuali differenze tra le ragioni di fatto poste a base della sentenza di appello rispetto a quelle poste a base della sentenza di primo grado (Cass., Sez. VI, 15 marzo 2022, n. 8320).
8. Il quinto motivo è infondato. Non ricorre omessa pronuncia ove il giudice abbia omesso di pronunciarsi su una eccezione ove la abbia implicitamente rigettata, secondo il principio di diritto consolidato, secondo cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass., Sez. V, 6 dicembre 2017, n. 29191). Nel qual caso è sufficiente quella motivazione che fornisca una spiegazione logica e adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass., Sez. V, 2 aprile 2020, n. 7662).
Nella specie, il giudice di appello ha ritenuto che la natura di ricavo dell’incremento di corrispettivo (increase) era da ricercare nella volontà contrattuale espressa dalla contribuente nell’accordo del 19/20 marzo 2008, collaterale al negozio di cessione di partecipazioni e distinto da esso e questo comporta rigetto implicito dell’argomentazione secondo cui l’attività svolta dalla contribuente fosse incompatibile con l’attività statutaria, in quanto a essa estranea.
9. Il sesto motivo è infondato. Il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che possono essere esaminate e si convertono, all’evidenza, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. con conseguente nullità della sentenza – di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940). Il giudice di appello ha rispettato – come osservato anche dal Pubblico Ministero – il minimo costituzionale sotteso all’obbligo motivazionale. Nella specie, l’imponibilità IRAP è conseguita alla qualificazione dell’incremento di corrispettivo come prestazione di servizi di garanzia e non quale corrispettivo da cessione di una partecipazione iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie.
10. Il settimo motivo è inammissibile nella parte in cui si tende a riqualificare il finanziamento come apporto in sorte capitale, in quanto tende a un accertamento in fatto diverso da quello del giudice del merito, che ha accertato l’esistenza di finanziamenti. Il motivo è, inoltre, inammissibile, in quanto motivato unitamente in relazione al richiamo a un precedente di questa Corte (Cass., n. 27087/2014, cit., seguito da Cass., Sez. V, 17 luglio 2015, n. 15005), superato dalla successiva giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. V, 15 aprile 2016, n. 7493; Cass., Sez. V, 30 giugno 2016, n. 13387; Cass., Sez. V, 15 novembre 2017, n. 27018; Sez. V, 17 gennaio 2019, n. 1102; Cass., Sez. V, 9 ottobre 2020, n. 21828), secondo cui, pur non essendo l’art. 110, settimo comma TUIR norma antielusiva, la stessa si applica, in una prospettiva di comparazione con analoghe operazioni effettuate tra imprese indipendenti e in libera concorrenza, ai finanziamenti infruttiferi tra imprese infragruppo transfrontaliere attesa l’esigenza, in funzione dell’unitaria ratio dell’istituto, di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali, senza che ne siano alterati gli equilibri civilistici tra i contraenti. Nella specie, non è stata in concreto mossa alcuna specifica censura (salvo il richiamo al menzionato e superato precedente di questa Corte) all’applicazione del transfer pricing ai finanziamenti infragruppo transfrontalieri e, in particolare, alle ragioni per le quali risulti illegittima la deduzione di fruttuosità del finanziamento, per effetto della comparazione, anche nel quantum, con analoghe operazioni effettuate tra imprese indipendenti.
11. L’ottavo, il decimo, il dodicesimo e il quattordicesimo motivo, i quali possono essere valutati congiuntamente, sono inammissibili, non avendo il ricorrente trascritto specificamente e le doglianze contenute nel ricorso originario, se non attraverso un richiamo generico alla disposizione dell’art. 110, settimo comma TUIR. Appare, del resto, sin anche evidente che la complessità delle deduzioni di parte ricorrente introdotte in grado di appello («inesistenza dei componenti di reddito da sottoporre a rettifica e illegittimità della riqualificazione dell’operazione gratuito in operazione onerosa», erroneo computo del valore normale, «mancato coordinamento dell’art. 110, comma 7, TUIR con le disposizioni recate dalla Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni tra Italia e Lussemburgo», violazione del principio eurounitario di libertà di stabilimento) non possano esaurirsi nella mera contestazione di violazione della norma di diritto interno, articolata in prime cure.
12. Il nono, l’undicesimo, il tredicesimo e il quindicesimo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili. Il giudice di appello ha preliminarmente ritenuto inammissibili tali doglianze e, poi, le ha rigettate nel merito. Nel qual caso deve ritenersi che il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito nel qual caso, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare la statuizione nel merito, essendo ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Cass., Sez. U., 20 febbraio 2007, n. 3840; Cass., Sez. VI, 17 gennaio 2019, n. 1093), persistendo la potestas iudicandi nel diverso caso in cui il giudice del merito abbia aderito a più di una ratio decidendi attinenti al merito della causa (Cass., Sez. III, 13 giugno 2018, n. 15399).
13. Il sedicesimo motivo (in disparte l’inammissibilità per aspecificità delle argomentazioni) è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. V, 30 novembre 2021, n. 37366), la natura penale di una sanzione va individuata secondo i criteri enunciati sentenza «Engel» (Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel c/Paesi Bassi; Cass. pen., Sez. III, 21 aprile 2016, n. 25815, Scagnetti; Cass. pen., Sez. IV, 10 dicembre 2020, n. 35055, Naso). La giurisprudenza della Corte EDU ha elaborato – a partire dalla richiamata pronuncia del 1976 – tre criteri, tra loro alternativi, al fine di stabilire la qualificazione di un’infrazione come penale da un punto di vista sostanziale, consistenti nella qualificazione giuridica della sanzione, nella natura e nella finalità dell’infrazione e (infine) nel grado di severità della sanzione stessa (profili non approfonditi dal ricorrente).
14. Occorre, peraltro, osservare che il carattere sostanzialmente penale di una sanzione va valutato in relazione al massimo edittale della sanzione applicabile a priori (Corte EDU, Grande Stevens c/Italia, 3 marzo 2014, par. 98) e non dalla sua applicazione in concreto. Né parte ricorrente ha dedotto se e in che termini le sanzioni applicate siano prive di una funzione compensativa del danno erariale applicato e, invece, siano volte a realizzare una funzione afflittiva e deterrente, che è criterio utile al fine di dedurre la natura sostanzialmente penale della sanzione (Corte EDU, Jussila c/Finlandia, 23 novembre 2006; Corte cost., 21 marzo 2019, n. 63; Corte cost., 16 aprile 2021, n. 68).
15. Va, comunque, osservato nel merito che non sarebbe, in ogni caso, possibile dedurre dall’art. 4 prot. 7 un divieto assoluto per gli Stati di imporre una sanzione amministrativa (ancorché qualificabile come «sostanzialmente penale» ai fini delle garanzie dell’equo processo) per quei fatti di evasione fiscale in cui è possibile, altresì, perseguire e condannare penalmente il soggetto, in relazione a un elemento ulteriore rispetto al mero mancato pagamento del tributo, come una condotta fraudolenta, alla quale non potrebbe dare risposta sanzionatoria adeguata la mera procedura amministrativa (Corte EDU, 15 di 17 A e B c/Norvegia del 15 novembre 2016, par. 123; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2019, n. 34219).
16. Sotto quest’ultimo profilo, deve osservarsi come possa istituirsi una complementarità tra gli scopi perseguiti con le due sanzioni, penale e amministrativa, secondo i dettami della Corte EDU (A e B c/ Norvegia, cit.: Cass., Sez. V, 22 aprile 2022, n. 12846), non configurandosi un «bis processuale», in quanto i due procedimenti (penale e tributario) possono sorgere e proseguire «in parallelo quali ambiti autonomi, benché coordinati, rendendo palese la ratio dell’intervento normativo fondato su un globale ed unitario apprezzamento legislativo funzionale ad una risposta punitiva articolata e concretamente dissuasiva. Il necessario avvio del procedimento sanzionatorio, infatti, trova il suo bilanciamento nella previsione del comma 2 [dell’art. 21 d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74], il quale esclude che la sanzione possa essere posta in esecuzione (salvo che per i soggetti solidalmente responsabili non concorrenti nel reato) fino a che il giudizio penale è pendente. Solo la definizione del giudizio penale è suscettibile di attivare la procedura di esecuzione ma in termini selettivi» (Cass., Sez. V, 8 ottobre 2020, n. 21694).
17. Il diciassettesimo motivo è infondato in relazione ad entrambi i profili denunciati. Quanto all’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi dell’art. 10 della l. n. 212/2000 come anche dell’art. 8 d.lgs. n. 546/1992 (le cui disposizioni devono ritenersi sovrapponibili), la stessa ricorre ove l’incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria («obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione») sia riferita al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (Cass., Sez. V, 10 febbraio 2019, n. 3108). Tale incertezza sussiste in caso di contrasto interpretativo assunto nella giurisprudenza di legittimità, alla quale soltanto spetta assicurare l’uniforme interpretazione della legge, senza che assumano rilevanza eventuali contrasti nella giurisprudenza di merito (Cass., Sez. V, 19 novembre 2019, n. 29983; Cass., Sez. V, 6 febbraio 2019, n. 3431; Cass., Sez. V, 1° febbraio 2019, n. 3108).
La dedotta assenza da parte del ricorrente di circolari o di risoluzioni dell’Ufficio, non vincolanti per il giudice, non può essere posta a presupposto per l’incertezza normativa.
18. Infondato è, ulteriormente, il riferimento alla assenza di colpevolezza, posto che – per costante giurisprudenza di questa Corte – pur non essendo sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato ed essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, una volta ritenuta la coscienza e la volontà della condotta, non è necessario dimostrare dolo o colpa, presumendosi la colpa fino a prova contraria della sua assenza; tale prova contraria è, peraltro, distinta dalla prova della buona fede, che rileva come esimente solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile (Cass., Sez. V, 6 aprile 2022, n. 11111; Cass., Sez. V, 30 gennaio 2020, n. 2139).
Nella specie, il giudice di appello ha correttamente accertato la coscienza e volontarietà dell’operazione negoziale, in quanto riferibile a «scelte operative della contribuente».
19. Il ricorso incidentale è fondato. Dispone l’art. 10, primo comma, n. 1, d.P.R. n. 633/1972 nella formulazione pro tempore che sono esenti IVA «le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti le operazioni di finanziamento; l’assunzione di impegni di natura finanziaria, l’assunzione di fideiussioni e di altre garanzie e la gestione di garanzie di crediti da parte dei concedenti». La norma costituisce attuazione dell’art. 135, par. 1, lett. c) Dir. 2006/112/CE, secondo cui gli Stati membri esentano «la negoziazione e la presa a carico di impegni, fideiussioni e altre garanzie». La norma è sostanzialmente sovrapponibile all’art. 13, parte B, lett. d), punto 2 della Sesta Direttiva IVA che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, configura operazioni ascrivibili a servizi finanziari per le quali opera l’esenzione IVA (CGUE, 19 aprile 2007, Velvet & Steel Immobilien, C-455/05, punto 21). Tuttavia, la ratio dell’esenzione è data dalla necessità di ovviare alle difficoltà finanziarie collegate alla determinazione della base imponibile nonché dell’importo dell’IVA detraibile e di evitare un aumento del costo del credito al consumo (CGUE, 10 marzo 2011, Skandinaviska Enskilda Banken, C-540/09, sentenza 19 aprile 2007, C-455/05, punto 21; CGUE, Velvet & Steel Immobilien, cit., punto 24).
20. Tali difficoltà che non si rinvengono in un contratto che, come accertato dal giudice di appello, aveva la funzione di garantire non solo la solidità della società ceduta, ma anche «la gestione della stessa nell’interesse degli acquirenti», prestazione di servizi il cui prezzo è, peraltro, stato esattamente quantificato in sede di cessione delle partecipazioni. E’, quindi, fondato quanto deduce il ricorrente incidentale, ove osserva che l’interesse degli acquirenti della partecipazione in G.A. era quello dell’esatto adempimento alle obbligazioni di facere assunte dai cedenti, accertata nel suo contenuto dallo stesso giudice di appello, ove osserva che si tratta di «corrispettivo di una prestazione di servizi (di garanzia e di gestione)».
Per espressa qualificazione operata dal giudice di appello, tale prestazione non può costituire prestazione avente natura finanziaria. La sentenza non ha, pertanto, fatto corretta applicazione del suddetto principio e va cassata, dovendosi procedere alla riqualificazione dell’operazione di cui al rilievo impugnato ai fini IVA.
21. Il ricorso principale va pertanto rigettato e va accolto il ricorso incidentale, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente principale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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