CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 6093 depositata il 28 febbraio 2023

 Cessione quota di partecipazione S.N.C. – Recupero a tassazione ai fini IRES di plusvalenza – Requisito della commercialità

Fatti di causa

1. La società contribuente S. s.r.l., a seguito della cessione della quota di partecipazione della società P.T. s.n.c., veniva attinta da un avviso di accertamento emesso dall’Ufficio ai sensi dell’art. 87, primo comma, TUIR per il recupero a tassazione ai fini IRES della plusvalenza di euro 2.216.000,00, derivante dalla suddetta partecipazione e portata in diminuzione del reddito complessivo, per supposta carenza del requisito della commercialità ex art. 55 TUIR. Parimenti l’Ufficio contestava l’assenza del requisito soggettivo previsto dall’art. 96 TUIR ai fini dell’integrale deduzione degli interessi passivi sugli immobili locati, con conseguente recupero a tassazione di euro 344.173,43.

2. Esperito infruttuosamente il procedimento di adesione, la società adiva il giudice di prossimità che aderiva tanto alle tesi dell’Ufficio ritenendo insussistente il requisito della commercialità sulla base della documentazione prodotta dall’Agenzia e cui rimandava, quanto a quella della contribuente ritenendo affetta da oggettiva incertezza la normativa applicata, così disponendo la non irrogabilità delle sanzioni.

3. Appellava la società contribuente cui resisteva l’Amministrazione finanziaria che promuoveva appello incidentale per la parte di sua soccombenza. La CTR rigettava ambedue gli appelli, confermando la decisione di primo grado. Peraltro si pronunciava anche sul secondo motivo dell’originario ricorso, e ignorato dalla CTP, svolto in ordine alla deducibilità degli interessi:

censura che parimenti rigettava non potendo la contribuente definirsi immobiliare di gestione, essendo tale categoria riservata ai soggetti economici che gestiscono il patrimonio mediante attività locatizia.

4. Ricorre per la cassazione della sentenza la società contribuente, che svolge quattro motivi di doglianza, cui resiste l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso e ricorso incidentale, a sua volta affidato a due motivi. In prossimità dell’udienza la parte contribuente ha depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la società ricorrente avanza censura ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. per nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 36, secondo comma, n. 4 d.lgs. 546/1992, dell’art. 156, terzo comma, c.p.c. e dell’art. 111, comma sesto, della Costituzione repubblicana.

1.1 In sostanza critica la sentenza, viziata sotto il profilo della motivazione apparente, per aver la CTR considerato solo i fatti “principali” addotti dall’Ufficio (in sostanza compravendite immobiliari), trascurando completamente l’esame di altri fatti “secondari” allegati dalla stessa ricorrente (richieste di autorizzazioni e permessi di costruire inviate alle p.a., disciplinari di incarico a professionisti e imprese, rapporti ambientali, determinazioni comunali etc.), e riportati in ricorso ai fini dell’autosufficienza, a comprova del processo di sviluppo immobiliare in essere in atto, quale attività imprenditoriale di cui all’art. 2195 c.c., e quindi della commercialità.

1.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (così Cass., V, n. 2916/2023; Cass. S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 13977/2019). Nel caso di specie, la CTR ha sinteticamente chiarito il percorso logico seguito, esprimendo delle deduzioni in diritto previa interpretazione della sentenza impugnata; interpretazione che, quand’anche fosse erronea, non integra il denunciato difetto di motivazione.

Principiando dal concetto di commercialità, intesa come attività diretta alla intermediazione dei beni, la CTR ha invero analizzate le attività compiute direttamente dalla società nel triennio precedente la vendita così come previsto dalla norma.

2. Con il secondo motivo la parte ricorrente svolge la medesima censura di cui al primo motivo ma sotto la diversa veste dell’omesso esame circa un fatto storico per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., avendo la CTR omesso l’esame dei fatti storici secondari.

3. Il motivo va disatteso poiché «il vizio di omesso esame di un documento decisivo non è deducibile in cassazione se il giudice di merito ha accertato che quel documento è stato prodotto in giudizio, non essendo configurabile un difetto di attività del giudice circa l’efficacia determinante, ai fini della decisione della causa. Allo stesso modo, la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ma di revocazione a norma dell’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c.» (Cfr. Cass., V, 31668/2022).

4. Con la terza doglianza la società ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 87 e 55 TUIR, dell’art. 12 delle preleggi nonché dei valori ordinamentali quali l’organicità e la coerenza del sistema legislativo, l’equa distribuzione della pressione fiscale in base all’effettiva manifestazione di capacità contributiva, la proporzionalità, la ragionevolezza, l’uguaglianza, il divieto di doppia imposizione interna e le simmetrie dei flussi reddituali in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.

5.1 In particolare deduce l’illegittimità della sentenza per aver la CTR confermato la legittimità dell’atto impositivo sul presupposto dell’assenza del requisito della commercialità previsto dall’art. 55 TUIR e del requisito organizzativo in capo alla società partecipata P.T.. Promanando dai principi della participation exemption e dalla ratio legis volta ad evitare le doppie imposizioni, critica la decisione della CTR che non ha tenuto conto della natura dell’attività della partecipata la quale, impegnata in un’attività di sviluppo immobiliare, svolgeva la sua attività imprenditoriale in outsourcing e quindi attraverso il contributo di professionisti ed imprese esterne, così potendosi prescindere dall’ «aspetto organizzativo», ferma ed impregiudicata tale «professionalità abituale».

6. In materia questa Corte ha affermato che «Tale nozione di commerciabilità, presupposto per usufruire del regime agevolativo della c.d. participation exemption, ha trovato conferma anche nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass 12138/2019, richiamata da Cass. 26532/2020) «pertanto, la ratio del legislatore è quella di concedere il beneficio dell’esenzione da imposta delle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni purché la società partecipata svolga effettivamente ed in concreto attività commerciale, seppure nella nozione allargata di cui all’art. 55 Tuir, ma comunque, non una attività limitata alla gestione dei beni immobili, costituenti in misura prevalente il valore del patrimonio, concessi in locazione o in affitto di azienda», ed ancora con riferimento al rapporto tra attività commerciali e atti preparatori «perché si possa considerare sussistente il requisito della commercialità è necessario che l’impresa sia dotata di una struttura – frutto di una attività di organizzazione e predisposizione delle risorse necessarie – idonea all’avvio del processo produttivo in tempi ragionevoli in relazione all’oggetto dell’attività d’impresa» (Cfr. Cass., VI, n. 38066/2021). In altri termini il requisito della commercialità può considerarsi sussistente solo quando il contribuente si è dotato di un apparato organizzativo autonomo e di tali principi la CTR ha fatto buon governo.

7. Con l’ultima doglianza la società contribuente prospetta censura per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 d.P.R. n. 917/1986 nel testo vigente ratione temporis dell’art. 12 delle preleggi, dell’art. 23 Cost., nonché dei valori ordinamentali quali la certezza del diritto, la tutela del legittimo affidamento e l’equa distribuzione della pressione fiscale in base all’effettiva manifestazione di capacità contributiva in parametro all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. In buona sostanza lamenta l’illegittimità della sentenza che aveva negato l’integrale deduzione degli interessi passivi sui mutui contratti per gli immobili destinati alla locazione, tenuto conto che l’unico vincolo formalmente previsto dall’art. 96 TUIR sarebbe la presenza di un’ipoteca sugli immobili destinati alla locazione.

8. Giova ricordare che «L’art. 1, comma 35, legge finanziaria del 2008 ha chiarito che gli interessi passivi relativi a finanziamenti contratti per l’acquisizione dei beni immobili (cd. «immobili patrimonio»), che non costituiscono beni strumentali all’attività d’impresa né beni merci, concorrono alla determinazione del reddito d’impresa. Ne consegue che ai fini dell’Ires gli interessi passivi di finanziamento contratti per l’acquisto di questi ultimi sono deducibili nei limiti e alle condizioni previste dall’articolo 96 t.u.i.r. Il successivo comma 36, tuttavia, ha previsto che non rilevano ai fini dell’articolo 96 t.u.i.r. (e sono, pertanto, integralmente deducibili) gli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione.. [..].. In questo senso si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate con la circolare del 22 luglio 2009 n. 37, ove si è precisato che l’ambito di applicazione del comma 36 citato è limitato alle cd. immobiliari di gestione, ovvero alle società la cui attività consiste nell’utilizzo passivo degli immobili patrimonio.» (cfr. Cass., V, n. 2472/2023). Nella fattispecie in esame è incontroverso tra le parti che la ricorrente non sia una “immobiliare di gestione” sicché il motivo va respinto.

In conclusione, il ricorso principale è infondato ed è ora possibile passare allo scrutinio del ricorso incidentale promosso dal patrono erariale.

9. Con il primo motivo di ricorso incidentale l’Avvocatura generale dello Stato avanza censura ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. per nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., dell’art. 36, secondo comma, n. 4 d.lgs., dell’art. 8 d.lgs. 542/92 (ndr art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992), dell’art. 10 l n. 212/2000 nella parte in cui la CTR ha disposto l’annullamento delle sanzioni irrogate, ivi stabilendo che “la materia di particolare complessità e l’obiettiva incertezza sulla portata applicativa porta a ritenere corretta la non applicazione delle sanzioni”.

Il motivo merita accoglimento.

10. Questa Corte ha stabilito che «si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (Cfr. Cass., V, n. 15135/2022; VI, n. 37507/2022). Nella fattispecie in esame la motivazione addotta è talmente laconica che non è dato comprendere il ragionamento logico seguito dalla CTR nel rigettare il motivo di appello incidentale svolta dal patrono erariale. Infatti, il Collegio non ha indicato le ragioni sottese alla confermata disapplicazione delle sanzioni.

Peraltro, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi dell’art. 10 della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. V, n. 3108/2019). Donde dev’essere esplicitato il profilo argomentativo che induce il giudice di merito a ritenere sussistente -secondo tale parametro – l’oggettiva incertezza.

11. Con il secondo motivo di ricorso incidentale il patrono erariale lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 d.lgs. 546/1992, dell’art. 10 L. n. 212/2000 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. Segnatamente, il patrono erariale svolge in via gradata la stessa censura di cui al motivo precedente ma sotto il profilo della violazione di legge.

Il motivo resta assorbito.

12. In conclusione va rigettato il ricorso principale, mentre va accolto il primo motivo di ricorso incidentale e dichiarato assorbito il secondo. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice d’appello che provvederà a nuova valutazione delle questioni di merito, fornendo adeguata e congrua motivazione, nonché alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo di ricorso incidentale e dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per l’Emilia-Romagna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.