CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 6094 depositata il 28 febbraio 2023
Violazione dell’obbligo di monitoraggio fiscale – Procedura di voluntary disclosure – Mancata presentazione del modello RW – Sanzione amministrativa
Fatti di causa
1. I contribuenti M.N. e F.R., coniugi, venivano attinti da un avviso di accertamento ciascuno con cui l’Ufficio di Varese irrogava la sanzione amministrativa di euro 131.856,20 per violazione dell’obbligo di monitoraggio fiscale ex art. 4, co. 1, d.l. n. 167/1990 in relazione all’anno 2005. Tuttavia, le due istanze di adesione alla procedura di “voluntary disclosure” presentate dai contribuenti non si perfezionavano stante il versamento di sole due delle tre rate pattuite. Conseguentemente, e tenuto anche conto della mancata presentazione del modello RW per l’anno 2005, l’Ufficio notificava in data 20.12.2016 i due atti impositivi, ivi applicando le sanzioni di cui al comma 2 dell’art. 2 d.l. n. 78/2009 e nei termini raddoppiati previsti da successivo comma 2-ter.
2. I contribuenti adivano pertanto il giudice di prossimità che accoglieva i gravami sul presupposto dell’inapplicabilità retroattiva del raddoppio dei termini previsto dall’art. 12, comma 2–ter, d.l. 78/2009.
3. Ricorreva in appello l’Ufficio, cui resistevano i contribuenti anche con appello incidentale. La CTR accoglieva l’appello ritenendo applicabile il raddoppio dei termini e legittima l’irrogazione delle sanzioni, non aderendo alla tesi prospettati dai contribuenti di aver subito la condotta delittuosa del consulente fiscale, che si sarebbe indebitamente appropriato di tali somme.
4. Ricorrono per la cassazione della sentenza i contribuenti che svolgono quattro motivi di ricorso, cui resiste l’Avvocatura dello Stato con tempestivo controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso i contribuenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 2-ter e dell’art. 3 L. n. 212/2000 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. In sostanza criticano la sentenza nella parte in cui la CTR ha ritenuto l’applicabilità retroattiva del raddoppio dei termini previsto dall’art. 12, comma 2-ter d.l. 78/2000 (ndr art. 12, comma 2-ter d.l. 78/2009) in ragione della sua natura sostanziale e non procedurale, anche alla luce dell’art. 3 dello Statuto del Contribuente.
In materia «Questa Corte ha ritenuto, con pronunce alla quale il Collegio aderisce e alla quali intende dare continuità (si vedano in termini sia Cass. Sez. 5, Sent. n. 29632 del 14/11/2019 sia la precedente Cass. Sez. 6/5, Ord. n. 2662 del 02/02/2018) che la presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, secondo comma, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1 luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale – sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Costituzione, l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione – con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva;
contestualmente, si è precisato che invece hanno natura procedimentale e non sostanziale e soggiacciono perciò al principio “tempus regit actum”, le previsioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter del medesimo art. 12 in parola, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero; – esse si applicano pertanto anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1° luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, secondo comma;» (Cfr. Cass., V-6, n. 23614/2022).
Di tali principi ha fatto buon governo la gravata sentenza e, quindi, il motivo è infondato.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 10, primo e secondo comma, l. n. 212/2000 in parametro all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. per il mancato perfezionamento della procedura di collaborazione volontaria.
Lamentano l’irrogazione delle sanzioni nonostante il mancato perfezionamento della procedura per fatto dell’Ufficio e senza colpa dei contribuenti, quali persone offese dalla condotta delittuosa del loro consulente fiscale, appropriatosi delle ingenti somme, in violazione del principio di tutela di buona fede dei contribuenti, e la conseguente inapplicabilità delle sanzioni.
3. Con la terza censura i ricorrenti avanzano censura ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 6 d.lgs. n. 472/1997 e inapplicabilità delle sanzioni per non punibilità della mancata compilazione del quadro RW. Deducono l’illegittimità della gravata decisione che ha ritenuto insussistenti i presupposti di cui all’art. 6 d.lgs. 472/97 citato, ossia l’incertezza sull’ambito di applicazione della norma, a fronte della certa omissione della presentazione del quadro RW. Affermano che alcuna colpa poteva essere loro imputata, avendo emendato l’errore commesso ed essendo la loro incolpevolezza stata riconosciuta anche nel provvedimento di diniego di autotutela, di cui omettono però la trascrizione.
4. Le censure possono essere scrutinate congiuntamente, proponendo una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito operata dai giudici del gravame in ordine alla sussistenza del momento soggettivo e alla irrilevanza dell’affermato spossessamento delle somme occultate nel momento del loro trasferimento a Dubai (cfr. Cass., n. 24679/2013, n. 27197/2011, n. 7921/2011) e, in sintesi, la valorizzazione di elementi (buona fede) nemmeno astrattamente previsti dalla norma (cfr. Cass., VI, 25411/2022). A ciò aggiungasi che i ricorrenti hanno omesso la trascrizione del provvedimento di diniego di autotutela, su cui fondano in parte qua il motivo di ricorso.
4.1 In ogni caso, per costante orientamento di questa Corte «in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, terzo comma, del d.lgs. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione» (così, da ultimo Cass. n. 23845 del 23/11/2016; conf. Cass. n. 4522 del 22/02/2013; Cass. n. 3245 del 11/02/2013; Cass. n. 18434 del 26/10/2012)» (Cfr. Cass., V, n. 10662/2018). Nella fattispecie in commento i ricorrenti non deducono alcuna condizione di incertezza della norma quanto una loro personale e pretesa incolpevolezza, con conseguente incensurabilità della decisione impugnata.
5. Con l’ultima doglianza i contribuenti prospettano la nullità della sentenza per omessa pronuncia per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in parametro all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. In sostanza prospettano il vizio di omessa pronuncia per non essersi la CTP pronunciata sulla domanda subordinata, svolta nell’appello incidentale, in relazione all’applicazione della sanzione nella misura del 5% ciascuno in ragione della minor somma detenuta.
Il motivo va disatteso giacché «non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537)» (Cass., V, n. 7662/2020). Nella fattispecie in esame la CTR ha disatteso tout court la disapplicazione delle sanzioni anche in ragione delle dichiarate disponibilità finanziarie dei contribuenti sicché era incompatibile con detto assunto la pretesa di una loro decurtazione in ragione delle minor somme detenute.
In conclusione, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in € settemila/00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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