Corte di Cassazione sentenza n. 62 depositata il 4 gennaio 2018
APPALTO – GARANZIA PER LE DIFFORMITà E VIZI DELL’OPERA – RICONOSCIMENTO DEI VIZI DA PARTE DELL’APPALTATORE ED IMPEGNO AD ELIMINARLI – EFFETTO – INSORGENZA DI UN’AUTONOMA OBBLIGAZIONE DI FARE – CONSEGUENZE – SOGGEZIONE AL TERMINE DI PRESCRIZIONE ORDINARIA – SUSSISTENZA
FATTI RILEVANTI
Con sentenza pubblicata il 30.4.2006 il Tribunale di Padova condannava T.P., appaltatore, al pagamento in favore della G. Immobiliare, di R.P. e C.G.C. e C. s.a.s., committente, della somma di Euro 50.000,00 a titolo di risarcimento del danno per difetti di un’opera di pavimentazione (accoglieva anche la domanda riconvenzionale dell’appaltatore per il pagamento del residuo corrispettivo di Euro 13.588,41).
L’appello proposto dal T. era respinto dalla Corte distrettuale di Venezia con sentenza n. 21710 depositata il 7.6.2012, che compensava altresi’ le spese. Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte veneziana riteneva che a seguito delle contestazioni della società committente, l’appaltatore avesse riconosciuto i vizi dell’opera e si fosse obbligato a eliminarli. Circostanza, questa, che aveva comportato il sorgere di un’obbligazione, autonoma e soggetta all’ordinario termine di prescrizione, che il T. non aveva dimostrato di aver adempiuto.
La cassazione di tale sentenza e’ chiesta da Pasquale T. in base a quattro motivi.
La G. Immobiliare, di R.P. e C.G.C. e C. s.a.s. resiste con controricorso.
Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., comma 1, introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 – bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 2), la causa e’ stata rimessa in pubblica udienza.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1173, 1362, 1667, 1669 e 2729 c.c.. Sostiene parte ricorrente che la sostituzione dell’ordinaria garanzia per i difetti dell’opera appaltata, prevista dall’art. 1667 c.c., con un’obbligazione distinta e soggetta all’ordinario termine di prescrizione e’ soggetta ad un duplice requisito: che l’appaltatore riconosca i difetti ed assuma anche l’impegno di eliminarli a proprie spese. Il primo senza il secondo e’ inidoneo a produrre tale ulteriore effetto obbligatorio. Nel caso di specie, prosegue parte ricorrente, T.P. non ha mai assunto tale impegno, per cui l’azione ex art. 1669 c.c., risultava prescritta alla data d’introduzione della lite (1998).
2. – Connesso al primo il secondo motivo di censura, che lamenta il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto dell’avvenuta assunzione di un nuovo obbligo di garanzia, atteso che il T. non aveva affatto riconosciuto i difetti dell’opera, ma soltanto manifestato la propria disponibilità ad un incontro, volto a verificare difetti rilevati non da lui ma dalla soc. G.. Contesta, quindi, l’interpretazione che la Corte territoriale ha fornito della corrispondenza intercorsa fra le parti, da cui non sarebbe desumibile alcun riconoscimento e alcuna assunzione di obblighi ulteriori.
3. – Il terzo mezzo d’annullamento denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1965, 1362, 1665, 1667, 1669 e 2729 c.c.. La Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso che la scrittura privata del 26.6.1992 avesse natura transattiva e, dunque, estintiva di ogni garanzia in favore del committente, atteso che lo sconto di Euro 10.000,00 riconosciuto sull’importo finale della contabilità, sarebbe stato giustificato non con l’esistenza di una transazione sul danno, ma con la promessa d’un immediato pagamento del saldo.
Con tale atto successivo alle denunce dei difetti dell’opera, sostiene invece il ricorrente, le parti avevano convenuto la cifra finale spettante a saldo della contabilità dei lavori, risolvendo ogni controversia tra loro, con esclusione della sola questione riguardante il piazzale esterno.
4. – Il quarto motivo riproduce la medesima censura di cui sopra, ma sotto il profilo del vizio motivazionale, e deduce che non lo sconto di Euro 10.000,00, ma quello di ulteriori Euro 4.000,00 dimostrerebbe la natura transattiva dell’accordo, sconto, quest’ultimo, che la sentenza d’appello non ha considerato ai fini in oggetto.
5. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, sono infondati.
Com’e’ noto, già nel 2005 le S.U. di questa Corte Suprema con sentenza n. 13294/05, componendo il contrasto (che in realtà ritennero sostanzialmente insussistente) con altre pronunce che, in materia di vendita, avevano escluso che il c.d. riconoscimento operoso avesse efficacia novativa, avevano corretto la piu’ volte affermata, in precedenza, novazione dell’originaria obbligazione di garanzia. L’impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso cui e’ destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico), osservarono le S.U., di per se’ non dà vita ad una nuova obbligazione estintiva sostitutiva (novazione oggettiva: art. 1230 c.c.) dell’originaria obbligazione di garanzia (art. 1490 c.c.), ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., ai fini dell’esercizio delle azioni (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo) previste in suo favore (art. 1492 c.c.), sostanziandosi tale impegno in un riconoscimento del debito, interruttivo della prescrizione (art. 2944 c.c.); infatti, solo in presenza di un accordo delle parti (espresso o per facta concludentia), il cui accertamento e’ riservato al giudice di merito, inteso ad estinguere l’originaria obbligazione di garanzia e a sostituirla con una nuova per oggetto o titolo, l’impegno del venditore di eliminare i vizi dà luogo ad una novazione oggettiva.
Ritennero al riguardo le S.U. che l’impegno del venditore a riparare la cosa viziata non avesse affatto valore novativo della precedente obbligazione, ma attuativo della stessa, nel senso che esso e’ esclusivamente preordinato ad attuare il risultato economico che il compratore si prefigurava di ottenere dal contratto di compravendita. L’impegno del venditore non rappresentava un quid novi con effetto estintivo – modificativo della garanzia, ma semplicemente un quid pluris volto ad ampliarne le modalità di attuazione, nel senso di consentire al compratore di essere svincolato dalle condizioni e dai termini di cui all’art. 1495 c.c., particolarmente brevi, come la prescrizione annuale, rispetto a quella decennale. Sicche’ dato l’impegno assunto dal venditore con il riconoscimento operoso, il compratore doveva considerarsi svincolato dai termini e dalle condizioni per l’esercizio delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli interventi del venditore finalizzati all’eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di frapporre ostacoli, secondo la regola della correttezza (art. 1175 c.c.), alla realizzazione della prestazione cui il venditore e’ tenuto.
Fecero seguito nel medesimo solco altre sentenze (la n. 11457/07 e la n. 6263/12) che pure ribadirono che l’appaltatore, attivandosi per rimuovere i vizi denunciati dal committente, tiene una condotta che costituisce tacito riconoscimento di quei vizi, e che – senza novare l’originaria obbligazione gravante sull’appaltatore – ha l’effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1667 c.c..
Nel 2012 due ordinanze di rimessione alle S.U., entrambe di questa seconda sezione civile, una in materia di vendita (n. 4844/12) l’altra in materia di contratto d’opera (n. 17497/12), sollecitarono una piu’ chiara presa di posizione sulla sorte del termine di prescrizione dell’obbligazione derivante dal c.d. riconoscimento operoso. E cioe’ se tale impegno comportasse la non necessità della denuncia dei vizi nei termini di decadenza e, con riferimento alla prescrizione, soltanto un’interruzione della stessa, destinata a decorrere ex novo secondo il regime speciale o in base al termine ordinario decennale.
Provvedendo solo sulla prima delle ordinanze di rimessione (in materia di vendita) le S.U. con sentenza n. 19702/12 affermarono che in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’art. 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 c.c., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale.
Quanto alla seconda ordinanza di rimessione (quella in materia di contratto d’opera), gli atti furono restituiti alla seconda sezione, che con sentenza n. 13613/13 prese atto che i principi appena ribaditi dalle S.U. avevano una valenza generale indipendente dalla tipologia contrattuale di riferimento, per cui anche in materia d’appalto e di contratto d’opera, il riconoscimento operoso costituisce fonte di un’autonoma obbligazione di facere, la quale si affianca all’originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, a meno di uno specifico accordo novativo, e rimane, pertanto, soggetta non ai termini di prescrizione e decadenza stabiliti per quella garanzia, ma all’ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l’inadempimento contrattuale.
Nel medesimo senso, da ultimo e con riguardo al contratto d’opera, si e’ espressa infine la sentenza n. 4908/15.
5.1. – A tale indirizzo conviene dare continuità anche in materia di appalto, per le ulteriori considerazioni che seguono.
E’ vero che l’eliminazione dei vizi da parte dell’appaltatore (a differenza della vendita non consumeristica) rientra nel contenuto della garanzia ex art. 1668 c.c., sicche’ l’estensione del dictum delle S.U. alla materia dell’appalto non produrrebbe altro effetto che una proroga convenzionale della prescrizione, in violazione dell’art. 2936 c.c. Infatti, mentre nella vendita la prescrizione decennale dell’impegno di riparazione va da se’, in quanto tale obbligazione non rientra nel contenuto della garanzia tipica e dunque non soggiace al relativo termine breve, diversa e’ la situazione nell’appalto, in cui l’obbligo di riparazione e’ incluso nella previsione dell’art. 1668 c.c..
Tuttavia il sistema e’ agevolmente ricomponibile nella sua coerenza. Già nella motivazione di S.U. n. 13294/05 si osservava acutamente che “(s)i tratta di assegnare un significato, ai fini dell’esercizio delle azioni edilizie e del relativo termine prescrizionale, alla circostanza che fra le parti e’ in corso, per l’impegno assunto dal venditore, un tentativo di far ottenere al compratore il risultato che egli aveva il diritto di conseguire fin dalla conclusione del contratto di compravendita. E altro significato non puo’ essere che quello di svincolare il compratore dai termini e condizioni per l’esercizio delle azioni edilizie, atteso che queste non vengono da lui esercitate in pendenza degli interventi del venditore finalizzati all’eliminazione dei vizi redibitori, al fine di evitare di frapporre ostacoli, secondo la regola della correttezza (art. 1175 c.c.), alla realizzazione della prestazione cui il venditore e’ tenuto”.
Rapportando tali considerazioni all’appalto, si rileva che quando l’appaltatore non riconosce alcun difetto dell’opera, non vi e’ un termine d’adempimento in corso e dunque la prescrizione breve di cui all’art. 1667 c.c., comma 3, non trova ostacoli applicativi. Ma quando l’appaltatore riconoscendo il difetto si impegna a un (ri)facere per eliminarlo, il medesimo termine di prescrizione biennale dalla consegna, decorrendo in base all’art. 2944 c.c., dal riconoscimento stesso, sarebbe non già pieno, ma decurtato del tempo necessario all’appaltatore per rifare l’opera (in tutto o in parte). Ne deriva che detta prescrizione breve, mentre e’ compatibile con un’obbligazione già eseguita e di cui si discuta soltanto la conformità ex art. 1668 c.c., non e’ conciliabile con un’obbligazione contrattuale non ancora adempiuta e che necessita dei propri tempi tecnici di esecuzione. Ed allora ben si spiega l’applicabilità della prescrizione ordinaria, in difetto di un’altra che abbia pari base legale.
5.1.1. – Tanto chiarito, deve rilevarsi che l’assunto di parte ricorrente, secondo cui la Corte d’appello veneta nell’applicare il suddetto principio di diritto si sarebbe limitata a verificare il difetto dell’opera, ma non anche l’assunzione volontaria dell’impegno del T. ad eliminarlo, non trova riscontro. La sentenza impugnata, infatti, ha affermato che i difetti denunciati nel 1991 – 1992 erano stati “riconosciuti dall’appaltatore, il quale (aveva) assunto anche l’impegno di eliminarli”. “In effetti” si legge nella sentenza (v. pag. 8) “nella missiva del 6.4.1992 il T. nel riconoscere l’esistenza dei difetti ha sollecitato alla committente un incontro in cantiere “per definire quali sono le imperfezioni e il da farsi per ovviare le inidoneità dei pavimenti in calcestruzzo””.
Tale valutazione della condotta dell’appaltatore implica un apprezzamento di puro merito, che in quanto tale non e’ sindacabile in questa sede di legittimità mediante la diversa lettura delle emergenze processuali proposta da parte ricorrente (v. pagg. 21 e ss. del ricorso).
6. – Ragioni ostative affatto analoghe si frappongono all’accoglibilità dei restanti due motivi, anch’essi incentrati sulla mera valutazione dei fatti sostanziali di causa e (vanamente) indirizzati a provocare una diversa interpretazione della successiva condotta delle parti, nell’erronea supposizione che tutto cio’ sia compatibile con la natura del giudizio di cassazione.
7. – Il ricorso va dunque respinto.
8. – Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.
E’ appena il caso di rilevare che la richiesta di condanna del ricorrente alle spese “di tutti e tre i gradi di giudizio” (v. le conclusioni a pag. 70 del controricorso), non puo’ trovare seguito quanto alle fasi di merito, poiche’ una tale pronuncia avrebbe richiesto la proposizione d’un apposito ricorso incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 1 5 % e accessori di legge.