CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 646 depositata il 12 gennaio 2023
Tributi – Rimborso di ritenute d’acconto – Polizze cc.dd. “con cedola” – Polizze index linked – Polizze vita a contenuto finanziario – Rigetto
Fatti di causa
1. – La società Z.I.L. s.p.a., esercente l’attività assicurativa nel ramo vita, richiedeva all’Agenzia delle entrate il rimborso delle ritenute d’acconto operate, per gli anni 2005-2006, nella misura del 12,50% e per un importo complessivo di € 3.122.212,42, sulle cedole periodicamente corrisposte in relazione alle polizze cc.dd. “con cedola”, e cioè prevedenti la corresponsione, oltre che di un capitale finale correlato all’andamento di titoli o di un determinato indice, anche di prestazioni pecuniarie periodiche all’assicurato (per l’appunto, le “cedole”), correlate alle somme versate a titolo di premio.
Deduceva, in particolare, la società contribuente, che tali ritenute non fossero dovute, in quanto – come affermato nella risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 138-E/2004 e nella successiva nota n. 954-148814 del 2006 – in caso di polizze siffatte solo alla scadenza del contratto (o al momento del riscatto anticipato) era dato sapere se la somma del capitale e delle cedole corrisposte sarebbe stata superiore all’ammontare dei premi pagati e, quindi, vi sarebbe stato un reddito imponibile da assoggettare alla suddetta ritenuta.
2. – Formatosi il silenzio-rifiuto su tale istanza di rimborso, ai sensi dell’art. 21, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la Z.I.L. s.p.a. proponeva ricorso, avverso tale silenzio-rifiuto, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano la quale, con sentenza n. 344/05/2011, lo accoglieva, ordinando il rimborso delle somme richieste.
3. – Interposto gravame dall’Amministrazione finanziaria, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 38/07/2013, pronunciata il 21 febbraio 2013 e depositata in segretaria l’8 marzo 2013, rigettava l’appello, compensando le spese di lite.
4. – Avverso tale ultima sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso la Z.I.L. s.p.a.
5. – Disposta, con ordinanza interlocutoria del 22 giugno 2021, l’acquisizione dei fascicoli della fase di merito, all’udienza pubblica del 20 settembre 2022 il consigliere relatore ha svolto la relazione ed il P.M. ed i procuratori delle parti hanno rassegnato le proprie conclusioni ex art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in l. 18 dicembre 2020, n. 176.
La controricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
6. – Si procede alla succinta descrizione dei motivi di ricorso.
6.1. – Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 44 e 45 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.) e dell’art. 26-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., rilevando che, benché i capitali corrisposti in dipendenza delle polizze in oggetto costituiscano reddito tassabile nella parte in cui l’ammontare percepito ecceda i premi pagati, le cedole corrisposte periodicamente costituirebbero qualcosa di diverso dal capitale erogato alla scadenza, in quanto correlate alla dazione del premio e assoggettabili alla ritenuta di cui all’art. 26-ter d.P.R. n. 600/1973, e non alla norma di cui all’art. 45, comma 4, T.U.I.R.
6.2. – Con il secondo motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 44 e 45 T.U.I.R., dell’art. 26-ter d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., evidenziando che, ove la polizza non garantisse che il coacervo tra capitale erogato e prestazioni periodiche fosse pari ai premi versati, la prestazione periodica non potrebbe costituire acconto sul capitale erogato alla scadenza, bensì prestazione autonoma da sottoporre a tassazione al momento della percezione con la ritenuta di cui all’art. 26-ter cit.
6.3. – Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto che l’Ufficio non avesse contestato i dati contenuti nella documentazione prodotta, evidenziandosi come i fatti in oggetto non sarebbero stati noti alla ricorrente.
6.4. – Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate eccepisce la nullità della sentenza per inosservanza e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ. laddove la sentenza impugnata afferma che la società contribuente aveva dato prova dei fatti costitutivi del diritto al rimborso.
6.5. – Con il quinto motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio e oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ. non essendovi prova della effettuazione delle ritenute e della correlazione con le polizze in oggetto.
6.6. – Con il sesto motivo di ricorso, infine, l’Agenzia delle entrate eccepisce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ., nella parte in cui viene accertato che la società contribuente avrebbe operato, nei periodi di imposta 2005 e 2006, delle ritenute su cedole corrisposte in relazione a polizze della tipologia in oggetto.
7. – Così riassunti brevemente i motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
7.1. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
In primo luogo, i motivi in questione sono da ritenersi ammissibili, poiché con essi viene denunciata la violazione e la falsa applicazione di specifiche norme di legge (artt. 44 e 45 T.U.I.R., art. 26-ter d.P.R. n. 600/1973 e art. 2697 cod. civ.), e quindi l’erronea applicazione che di tali norme ha fatto la C.T.R. in relazione alle polizze assicurative in oggetto, nella parte in cui ha escluso l’assoggettamento delle somme erogate, quali cedole periodiche derivanti da polizze assicurative sulla vita, all’imposta sostitutiva prevista dall’art. 26-ter, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, ed ha considerato tali somme quali acconti sul capitale, da qualificare redditi ex art. 44, comma 1, lett. g-quater), T.U.I.R. da sottoporre ad imposta unicamente nei limiti di cui all’art. 45, comma 4, T.U.I.R., e cioè nella parte relativa alla differenza tra i premi pagati e l’ammontare percepito.
I motivi, tuttavia, sono infondati.
La presente controversia riguarda la richiesta di rimborso di imposte versate ex art. 26-ter d.P.R. n. 600/1973 sulle prestazioni periodiche ricorrenti (cc.dd. “cedole”) corrisposte dalla compagnia Z.I.L. s.p.a. ai propri assicurati negli anni 2005-2006, sulla base di polizze che prevedono la possibile corresponsione finale di un capitale correlato all’andamento di titoli e/o fondi comuni di investimento (cc.dd. polizze unit linked), ovvero all’andamento di determinati indici (cc.dd. polizze index linked), nonché, nel periodo di vigenza contrattuale, di prestazioni pecuniarie periodiche, denominate, per l’appunto, cedole.
Le polizze vita a contenuto finanziario sono caratterizzate dal rischio finanziario che, in quelle cd. linked “pure”, grava interamente sull’assicurato, non garantendo la compagnia la restituzione del capitale, né eventuali rendimenti minimi; esse conferiscono all’impresa di assicurazioni, al posto dell’obbligo restitutorio, una sorta di mandato di gestione del denaro investito, rispetto al quale l’investitore matura il diritto al mero risultato di detta gestione, che varia in base ad una serie di fattori, quali l’andamento del mercato o dei titoli (polizze ccdd. unit linked ed index linked, il cui rendimento è parametrato, rispettivamente, all’andamento di fondi comuni di investimento e ad indici di vario tipo, generalmente consistenti in titoli azionari). In esse la componente vita ed investimento risulta, pertanto, preponderante rispetto a quella demografico-previdenziale tipica delle assicurazioni sulla vita cd. “tradizionali” ex art. 1882 c.c., con la stipulazione delle quali l’assicurato mira, generalmente, a garantire la disponibilità di una somma ai familiari ovvero a terzi al momento della propria morte ed il rischio di perdita del capitale è pari a zero, essendo predeterminato l’importo da erogare al contraente o al beneficiario alla scadenza del contratto (Cass. 22 ottobre 2021, n. 29583).
Tali polizze, peraltro, oltre alla corresponsione di un capitale alla fine della durata ovvero in caso di riscatto anticipato, possono prevedere (ed è l’ipotesi della fattispecie in esame) l’erogazione di prestazioni periodiche ricorrenti, variamente denominate, generalmente commisurate ad una percentuale fossa o variabile della prestazione.
Orbene, l’art. 44, comma 1, lett. g-quater), T.U.I.R. include fra i redditi di capitale soggetti ad imposta quelli «compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione», che il successivo art. 45, al comma 4, determina nella «differenza fra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati».
Pertanto, rientrano in tale novero i redditi dei contratti di assicurazione che prevedono come prestazione principale l’erogazione di un capitale (anche convertibile in una rendita), che vanno assoggettati ad imposta sostitutiva ai sensi dell’art. 26-ter del d.P.R. n. 600/1973.
Ciò posto, è noto che, nell’ambito dei contratti di assicurazione, è diffuso il ricorso a tipi negoziali caratterizzati da una marcata finalità di investimento, nei quali il meccanismo produttivo di interessi, tipico della negoziazione in strumenti finanziari, è ricalcato mediante la previsione del versamento periodico al beneficiario di importi commisurate ad una percentuale, fissa o variabile, della prestazione, denominati “cedole”.
Questi contratti, infatti, prospettano al beneficiario un rendimento ancorato all’andamento di alcuni indici di mercato o di panieri a composizione mista (nei quali, cioè, convivono titoli obbligazionari ed altri prodotti finanziari a finalità speculative, rispetto ai quali l’investimento è connotato da maggior rischio); l’ammontare delle cedole periodiche dipende dunque dall’andamento dei titoli ai quali il contratto è indicizzato.
Anche le cedole, essendo configurabili come prestazioni in forma di capitale, sono soggette all’imposta sostitutiva; ma occorre sempre che sia rispettato il dettato dell’art. 45, comma 4, T.U.I.R., a mente del quale il capitale imponibile è solo quello che risulta dalla differenza fra ammontare percepito e premi pagati.
Per questo, l’imposizione spetta soltanto per la quota di cedola proporzionale ai rendimenti finanziari maturati a favore del beneficiario; quota che, per essere individuata, deve aver assunto carattere di certezza alla data della sua corresponsione.
Su tali basi, con la risoluzione n. 138/E/2004 del 17 novembre 2004 e la nota n. 954-148814 del 3 novembre 2006, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che, in conformità alla ratio dell’art. 45, comma 4, T.U.I.R., le cedole versate nel contesto di polizze-vita vanno assoggettate ad imposizione soltanto per l’eventuale reddito differenziale che emerga dal confronto tra capitale erogato e premi pagati.
Una tale emergenza, tuttavia, sussiste solo al momento della cessazione del rapporto (per naturale scadenza o riscatto anticipato), momento nel quale viene corrisposto il capitale minimo garantito ed è quindi possibile accertare se esso è stato o meno superato dall’ammontare delle cedole precedentemente versate (in questo senso, di recente, Cass. 17 maggio 2022, n. 15670).
Secondo l’Amministrazione ricorrente, questa impostazione, se è coerente con il modello di polizza-vita che garantisce un capitale minimo alla cessazione del rapporto, non è invece acconcia ai contratti qui in esame, che non garantiscono la corresponsione di un importo minimo alla cessazione del rapporto.
Al contrario, è proprio per tale ragione che i contratti in questione consentono l’accertamento di un reddito differenziale solo ed esclusivamente al momento della cessazione del rapporto.
Nelle polizze-vita, infatti, la previsione dell’obbligo di erogare un capitale minimo consente di imputare lo stesso a restituzione totale o parziale dei premi, e quindi di tassare le cedole ogni qual volta il loro importo, aumentato del capitale minimo garantito, ecceda i premi versati; ma qui, in mancanza di una garanzia siffatta, non vi è modo di accertare con anticipo l’emergenza di un reddito da capitale.
La diversa tesi sostenuta in giudizio dalla ricorrente, secondo la quale le cedole attribuiscono un’utilità economica al beneficiario per effetto del mero decorso del tempo e, come tali, sono immediatamente tassabili, finisce con l’assoggettare ad imposizione un reddito in un periodo di imposta diverso da quello, necessariamente successivo, nel quale ne diverrà certo il conseguimento, ponendosi in contrasto con il disposto dell’art. 45, comma 4, T.U.I.R.
Ne consegue, pertanto, che la natura delle “polizze con cedola” legate all’andamento di un titolo strutturato – che devono essere assimilate appieno al sistema (anche fiscale) delle “polizze vita”, già oggetto della risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 138/E-2004, ribadita con la nota n. 954-148814/2006 – non consente la tassazione delle cedole versate in costanza di rapporto, dato che il reddito imponibile, solo eventuale, può essere determinato con certezza solo alla scadenza del contratto o nel caso di riscatto anticipato. Da ciò discende la legittimità della ripetizione di quanto erroneamente versato dal sostituto di imposta su tali cedole, ai sensi del citato articolo 26-ter d.P.R. 600/1973.
Pertanto, quanto al primo motivo di ricorso, è infondata la prospettazione dell’Agenzia, per cui le cedole corrisposte periodicamente costituirebbero altro rispetto al capitale erogato a scadenza in quanto correlate al premio e, pertanto, assoggettabili a ritenuta ex art. 26 d.P.R. n. 600/1973. La C.T.R., infatti, ha correttamente riconosciuto – in linea con la menzionata giurisprudenza di legittimità – che le cedole assicurative per cui è causa non costituivano reddito soggetto a tassazione, poiché l’ammontare del capitale corrisposto a scadenza risultava (pacificamente) collegato al rendimento di un titolo (piuttosto che di un paniere di titoli o di un determinato indice sottostante la polizza) e non era possibile, all’atto di erogazione della cedola, computare se vi sarebbe stato un quid pluris rispetto al mero disinvestimento, e poiché l’imposta è dovuta solo sui redditi realmente percepiti dal contribuente, e non già su quelli che egli avrebbe potuto in astratto percepire.
Con riferimento, invece, al secondo motivo di ricorso, la censura dell’Agenzia, per cui le cedole in esame non costituirebbero acconti/anticipi del rimborso del premio, quanto invece “attribuzioni patrimoniali autonome” da sottoporre a imposizione al momento della corresponsione, è parimenti infondata. Anche in questo caso la C.T.R. ha correttamente riconosciuto (come conferma anche Cass. n. 15670/2022) che le polizze con “cedola”, in esame, recanti la corresponsione di un capitale a scadenza, sono assimilabili alle “polizze vita” di cui alla nota dell’Agenza n. 954-148814 del 3 novembre 2006.
Pertanto, le cedole non costituiscono attribuzioni patrimoniali autonome e, conseguentemente, non è possibile ravvisarsi un reddito da capitale al momento dell’erogazione della cedola che, diversamente, risultava eventualmente configurabile solo al momento della scadenza del contratto assicurativo o del riscatto anticipato, allorquando il differenziale risultante dal confronto tra il capitale erogato e i premi pagati (giusta l’art. 45, comma 4, T.U.I.R.) sarebbe divenuto certo.
7.2. – Il terzo motivo di ricorso deve ritenersi infondato.
La ricorrente, invero, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), dello stesso codice, avendo ritenuto, la C.T.R., che, non avendo l’Ufficio contestato i dati contenuti nella documentazione prodotta, tali dati avrebbero potuto essere posti a fondamento della decisione, nel mentre, secondo l’odierna ricorrente, i giudici d’appello non avrebbero potuto applicare il principio di non contestazione, trattandosi di fatti ad essa non noti, o comunque per i quali la C.T.R. non aveva accertato che fossero noti.
Ora, a parte la circostanza dell’erroneo richiamo all’ipotesi di cui al n. 5) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., anziché al n. 3) dello stesso comma, verosimilmente frutto di errore materiale (non avendo, la ricorrente, dedotto in alcun modo l’omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di contestazione tra le parti), va osservato che, comunque, la C.T.R. ha fatto corretta applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., con riferimento alla circostanza dell’avvenuto versamento delle somme richieste a rimborso, avendo riscontrato (con accertamento di fatto insindacabile in questa sede) che, a fronte delle allegazioni della Z.I.L. s.p.a., l’Agenzia delle entrate non aveva comunque adeguatamente contestato le circostanze di fatto indicate, trattandosi, peraltro – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – di fatti comunque conosciuti tramite, per l’appunto, le relative allegazioni sia in sede stragiudiziale, con l’istanza di rimborso, sia in sede giudiziale.
7.3. – Anche il quarto motivo di ricorso è infondato.
L’Agenzia ricorrente, invero, eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, sussistendo, a suo dire, una motivazione apparente in merito alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dalla contribuente.
Deve osservarsi, al contrario, che la sentenza della C.T.R. impugnata è, sul punto, adeguatamente motivata, avendo i giudici ritenuto sufficienti i documenti prodotti, dai quali era possibile dedurre le somme richiesta a rimborso, nonché il loro pagamento, ed avendo ritenuto, altresì, che sul punto non vi fosse una specifica contestazione.
7.4. – Infondati sono anche il quinto ed il sesto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto sostanzialmente identici e sovrapponibili.
Con tali motivi, invero, l’Agenzia contesta – in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ. – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento alla prova dell’effettuazione e del versamento delle ritenute, ed all’inidoneità della documentazione prodotta in tale senso dalla Z.I.L. s.p.a.
Deve tuttavia rilevarsi che, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, la C.T.R. ha esaminato la documentazione prodotta, ritenendola idonea a provare l’effettuazione ed il versamento delle ritenute, con accertamento di fatto insindacabile in questione sede, e, come già rilevato, adeguatamente motivato.
8. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
In considerazione della peculiarità del caso concreto, sussistono giustificati motivi per la compensazione integrale delle spese del presente grado di giudizio.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
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