Corte di Cassazione sentenza n. 6649 depositata il 16 marzo 2018
FALLIMENTO – CONCORDATO PREVENTIVO – RINUNCIA ALLA DOMANDA – DICHIARAZIONE DI IMPROCEDIBILITÀ – RICHIESTA DI FALLIMENTO DEL P.M. – ART. 7 LEGGE FALL. – INAPPLICABILITÀ – CONCLUSIONI ORALI DEL P.M. ALL’UDIENZA – AMMISSIBILITÀ – FONDAMENTO
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza del 6 agosto 2016 la corte d’appello di Catania ha respinto il reclamo proposto da (OMISSIS) S.a.s. e da L.F. nei confronti del Fallimento della società e del L., quale socio illimitatamente responsabile, nonche’ del pubblico ministero, contro la sentenza del locale tribunale che aveva dichiarato improcedibile la proposta di concordato avanzata dalla società reclamante, avendovi essa rinunciato, e, su istanza del pubblico ministero, aveva dichiarato il fallimento.
Per quanto rileva la corte territoriale ha ritenuto per un verso che, nel caso di rinunzia del debitore al concordato, il subprocedimento di cui alla L. Fall., art. 173, sia certamente destinato a venir meno e, per altro verso, che il pubblico ministero sia legittimato ad instare per la dichiarazione di fallimento dalla norma di carattere generale fissata dall’art. 7 della stessa legge.
2. – Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) S.a.s. e L.F. hanno proposto ricorso per un solo motivo illustrato da memoria.
Il Fallimento non ha spiegato difese.
Il procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso contiene un solo motivo rubricato: “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 7 e 173, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte d’appello di Catania erroneamente ritenuto che il pubblico ministero fosse legittimato ai sensi della L. Fall., art. 7, a proporre l’istanza di fallimento avverso la (OMISSIS), nonostante la rinuncia al concordato depositata dalla proponente”.
Hanno in breve sostenuto i ricorrenti che il pubblico ministero non fosse legittimato a chiedere il fallimento ai sensi del citato art. 173, comma 2, poiche’ il procedimento ivi disciplinato era ormai cessato con la rinunzia della società alla proposta concordataria, e che neppure fosse legittimato in forza della L. Fall., art. 7, poiche’ la comunicazione al pubblico ministero prevista dallo stesso art. 173 non era assimilabile alla segnalazione del giudice civile di cui all’ultima disposizione menzionata.
2. – Il ricorso va respinto, corretta la motivazione della sentenza impugnata ex art. 384 c.p.c., nei termini di seguito indicati.
2.1. – La vicenda, in fatto, e’ la seguente:
-) proposta dalla società ricorrente domanda di concordato in bianco, il tribunale di Catania ha nominato il commissario giudiziale e assegnato i termini previsti dalla L. Fall., art. 161, comma 6, termini entro i quali la società ha formulato la proposta, successivamente integrata e modificata a seguito di rilievi formulati sia dal tribunale che dal pubblico ministero, che avevano nel frattempo fatto istanza di dichiarazione di fallimento, sicche’, mentre quest’ultima istanza era stata oggetto di rinuncia, il tribunale, su conforme parere del pubblico ministero, aveva ammesso la società alla procedura, fissando l’udienza per l’adunanza dei creditori e le successive operazioni di voto;
-) essendo medio tempore emersa una cessione di crediti in precedenza operata dalla società ed opponibile alla procedura concordataria, il tribunale ha poi tuttavia dato corso al subprocedimento di revoca dell’ammissione al concordato di cui alla L. Fall., art. 173, fissando allo scopo l’udienza dell’11 aprile 2016, udienza prima della quale, il giorno precedente, (OMISSIS) S.a.s. ha rinunciato alla proposta concordataria;
-) nel corso dell’udienza dell’11 aprile 2016 il pubblico ministero ha quindi chiesto il fallimento, con conseguente rinvio del procedimento ad una successiva udienza, fissata al fine di consentire alla società ricorrente di controdedurre, all’esito della quale il tribunale ha come si diceva dichiarato l’improcedibilità della proposta di concordato ed il fallimento.
2.2. – Cio’ detto, con riguardo alla legittimazione del pubblico ministero alla “richiesta” – questa la locuzione adottata dall’articolo 6 della legge fallimentare, mentre i creditori agiscono con ricorso – occorre in generale dire che l’art. 7 della stessa legge, riconducibile alla previsione dell’art. 69 c.p.c., secondo cui “il pubblico ministero esercita l’azione civile nei casi stabiliti dalla legge”, riconosce al pubblico ministero l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento:
-) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dall’irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore;
-) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.
A quest’ultimo riguardo, rientra nel campo del “procedimento civile” anche l’istruttoria prefallimentare. Ed infatti, la formulazione del citato art. 7, che, senza porre limiti, ricollega l’iniziativa del pubblico ministero alla segnalazione del giudice civile, impone di ricomprendervi anche le segnalazioni effettuate nell’ambito delle procedure fallimentari. In tal senso le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che “le modifiche operate dal legislatore, per quanto certamente in parte sollecitate anche dalla intervenuta soppressione della dichiarazione di fallimento di ufficio, depongono per una previsione estensiva rispetto al passato del dovere di segnalazione, essendo stato sostituito il precedente riferimento allo stato di insolvenza risultante in giudizio civile… – e quindi non in una procedura prefallimentare – con quello della rilevazione effettuata nel corso di un procedimento civile… nel cui ambito va certamente annoverata anche quella prefallimentare” (Cass., Sez. Un., 18 aprile 2013, n. 9409). Sicche’, quando il procedimento finalizzato alla dichiarazione di fallimento non si concluda con una decisione nel merito, il tribunale fallimentare puo’ disporre, ai sensi dell’art. 7, la trasmissione degli atti al pubblico ministero affinche’ valuti se instare per la dichiarazione di fallimento (Cass., Sez. Un., 18 aprile 2013, n. 9409; nello stesso senso Cass. 30 settembre 2016, n. 19597).
In tale prospettiva, la ratio dell’art. 7 “va individuata nell’intento di favorire quanto piu’ possibile un ampio flusso informativo alla Procura della Repubblica, in ragione dell’interesse pubblico alla tempestiva instaurazione di una procedura concorsuale ove ne ricorrano i presupposti” (Cass., Sez. Un., 18 aprile 2013, n. 9409; analogamente Cass. 16 novembre 2016, n. 23391).
Passando poi all’esame della posizione del pubblico ministero nell’ambito del procedimento di concordato preventivo, le riforme della L. Fall. del 2006-2007, nell’escludere in ogni caso la dichiarazione del fallimento d’ufficio, hanno stabilito:
-) che il tribunale, quando dichiara l’inammissibilità della proposta concordataria, “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore” (art. 162, comma 2);
-) che, a conclusione del procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato preventivo il tribunale provvede con decreto “e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell’art. 18” (art. 173, comma 2);
-) che, se non si raggiungono le maggioranze richieste dalla legge per l’approvazione del concordato, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, “che deve provvedere a norma dell’art. 162, comma 2” (art. 179), dichiarando cioe’ il fallimento, in presenza dei presupposti di legge, anche su richiesta del Pubblico Ministero;
-) che, nel giudizio di omologazione del concordato, il tribunale, se denega l’omologazione, “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore, con separata sentenza, emessa contestualmente al decreto” (art. 180, u.c.).
Se poi si considera il dettato della L. Fall., art. 161, comma 5, secondo cui la domanda di concordato e’ comunicata al pubblico ministero, unitamente ai documenti depositati dal debitore e, in seguito, della relazione del commissario giudiziale di cui all’art. 172, non v’e’ dubbio che il pubblico ministero partecipi a pieno titolo al procedimento concordatario e, dunque, possa comparire in udienza ed interloquire nei termini ritenuti opportuni, rassegnando conclusioni e, in particolare, richiedendo nei casi previsti la dichiarazione di fallimento.
Il sistema che ne risulta si compendia in cio’, che, mentre nel quadro di applicazione della L. Fall., art. 7, il potere di iniziativa del pubblico ministero e’ innescato, per quanto qui interessa, dalla segnalazione del giudice civile, nel contesto del concordato preventivo, al cui procedimento il pubblico ministero come si e’ visto partecipa, il suo potere di richiedere il fallimento non e’ condizionato ad una qualche segnalazione del tribunale, ma e’ direttamente ed espressamente contemplato dalla legge, ogni qual volta il procedimento non attinga il suo esito fisiologico, con l’omologazione. E nondimeno la ratio sottesa all’art. 7 coincide con quella posta a base delle norme che conferiscono al pubblico ministero il potere di chiedere il fallimento nell’ambito del procedimento concordatario (Cass. 13 aprile 2017, n. 9574): “ampliare la legittimazione del pubblico ministero alla presentazione della richiesta per dichiarazione di fallimento tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis” (Cass. 5 ottobre 2015, n. 19797).
Va da se’ che, sebbene non espressamente contemplata dalla legge, la dichiarazione d’improcedibilità del concordato per rinunzia alla proposta concordataria, quantunque intervenuta nel corso del subprocedimento di revoca di cui all’art. 173, si colloca, attesa l’assimilabilità degli effetti processuali, consistenti nella chiusura del procedimento concordatario in difetto dell’omologazione, sul medesimo piano della dichiarazione di inammissibilità di cui alla L. Fall., art. 162, comma 2, con conseguente potere del pubblico ministero di richiedere il fallimento, ovviamente prima che l’improcedibilità sia stata dichiarata, rimanendo successivamente impregiudicato il potere di chiedere il fallimento in presenza dei presupposti di cui all’art. 7: dichiarazione di improcedibilità e dichiarazione di fallimento sono poi suscettibili di essere pronunciati con la medesima decisione, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità, che puo’ essere contenuta nella sentenza di fallimento (Cass. 22 maggio 2014, n. 11423).
Vero e’, d’altro canto, che la rinunzia alla proposta concordataria conduce alla dichiarazione di improcedibilità: ma cio’ non vuol dire che, come talora ritenuto da qualche pronuncia di merito, il procedimento di concordato preventivo – indipendentemente dalle questioni, che si collocano al di fuori del tema su cui la Corte e’ chiamata a pronunciarsi: se la rinunzia alla originaria domanda di concordato e la rinunzia alla proposta concordataria si pongano sullo stesso piano; se la rinunzia, atteso il collocarsi del concordato sul crinale tra negozio e processo, richieda l’accettazione dei creditori; se sia ammissibile una rinuncia sopravvenuta all’apertura del giudizio di revoca – cessi automaticamente per effetto della rinunzia, cosi’ da collocare la richiesta di fallimento da parte del pubblico ministero al di fuori di esso, occorrendo per l’appunto che detto procedimento, lungi dal rimanere sospeso nel vuoto in assenza di una pronuncia terminativa – nel qual caso, tra l’altro, in ipotesi di riproposizione della domanda concordataria, si troverebbero ad essere pendenti due procedimenti di concordato-, si concluda con la dichiarazione menzionata.
E’ dunque evidente che i ricorrenti non hanno richiamato a proposito la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui, in pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico ministero, puo’ essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162, 173, 179 e 180 e cioe’, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l’ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all’esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato (Cass., Sez. Un., 15 maggio 2015, n. 9935; successivamente v. Cass. 8 settembre 2016, n. 17764; Cass. 18 gennaio 2017, n. 1169). Tale pronuncia si misura difatti con i rapporti fra concordato preventivo e procedimento per dichiarazione di fallimento, in relazione al principio di prevalenza del concordato preventivo rispetto al fallimento, ma non contiene alcun elemento, non solo esplicito, ma neppure implicito dal quale desumere che la rinunzia alla proposta concordataria privi il pubblico ministero del potere di chiedere il fallimento.
Sicche’ occorre piuttosto far riferimento al principio – riferito alla pronuncia di inammissibilità ed adattato a quella assimilabile di improcedibilità per intervenuta rinunzia alla proposta concordataria – recentemente affermato da questa Corte secondo cui, alla richiesta di fallimento formulata dal pubblico ministero ai sensi della L. Fall., art. 162, comma 2, quale conseguenza dell’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, non si applica il disposto della L. Fall., art. 7, alla cui ratio, peraltro, anche la specifica disciplina della richiesta in questione si conforma. Invero, il pubblico ministero, informato della proposta di concordato preventivo (art. 161, comma 5), partecipa ordinariamente al procedimento, nel rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa delle altre parti, mediante la presenza in udienza, ivi compresa quella fissata dal tribunale ai fini della declaratoria di inammissibilità della domanda, rassegnando le proprie conclusioni orali, che comprendono, oltre alla valutazione negativa sulla proposta concordataria, anche l’eventuale richiesta di fallimento in ragione della ritenuta insolvenza dell’imprenditore, di cui e’ venuto a conoscenza a seguito della partecipazione alla procedura (Cass. 13 aprile 2017, n. 9574). Ne’ puo’ mancarsi di rammentare infine che già Cass. 14 gennaio 2015, n. 495, ha confermato la decisione di merito che, sulla rinuncia della società debitrice alla proposta di concordato, espressa in sede di procedimento di revoca, con contestuale presentazione di nuova proposta, aveva revocato la precedente ammissione al concordato per l’intervenuta rinuncia, dichiarato l’inammissibilità della nuova proposta e dichiarato il fallimento.
3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; nulla per le spese; dichiara, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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