CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 6689 depositata il 6 marzo 2023
Licenziamento – Dichiarazione di illegittimità del licenziamento e reintegrazione – Pagamento con riserva del T.F.R. – Rimborso del T.F.R. – Rimborso delle maggiori ritenute IRPEF – Errore di fatto ed error in iudicando – Rigetto
Fatti di causa
1. Con istanza presentata all’Agenzia delle entrate il 29 gennaio 2010 C.R. chiedeva il rimborso della somma di € 5.353,02, a suo avviso indebitamente versata al Fisco.
2. Formatosi il silenzio-rifiuto da parte dell’Amministrazione, questo veniva impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Teramo la quale, con sentenza n. 117/02/2012 del 27 aprile 2012, rigettava il ricorso.
3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, con sentenza n. 46/03/2013 del 24 giugno 2013 rigettava l’appello, confermando la sentenza impugnata.
4. Avverso tale ultima sentenza proponeva ricorso per revocazione ex art. 395, num. 4), cod. proc. civ., il sig. C., che veniva dichiarato inammissibile dalla C.T.R. dell’Abruzzo con sentenza n. 1111/04/2015, pronunciata il 29 gennaio 2015 e depositata in segreteria il 22 ottobre 2015.
Avverso tale ultima sentenza propone ricorso per cassazione C.R., sulla base di un unico motivo.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
5. All’udienza pubblica dell’8 novembre 2022 il consigliere relatore ha svolto la relazione ed il P.M. ed i procuratori delle parti hanno rassegnato le proprie conclusioni ex art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in l. 18 dicembre 2020, n. 176.
Ragioni della decisione
6. Il contribuente ha proposto istanza di revocazione della sentenza della C.T.R. dell’Abruzzo n. 46/03/2013 del 24 giugno 2013, assumendo che: i) nel febbraio 1997 gli era stato intimato il licenziamento dalla S. s.p.a., oggetto poi di impugnazione dinanzi al Tribunale sezione lavoro; ii) in pendenza di detto giudizio, esso contribuente aveva richiesto il pagamento con riserva del T.F.R. spettantegli, ottenendo quindi dall’INPS il pagamento della somma di € 18.193,66 (lire 35.227.830), sul quale erano state trattenuti, dal sostituto d’imposta, € 5.353,02 (lire 10.364.900), con corresponsione quindi di un netto di € 12.840,63 (lire 24.862.930); iii) il giudice del lavoro aveva successivamente dichiarato illegittimo il licenziamento e ordinato la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro; iv) a seguito di tale reintegrazione, l’INPS comunicava al ricorrente che, in ossequio alla vigente disciplina, il lavoratore era tenuto a rimborsare il T.F.R. lordo, pari ad € 18.193,66; v) che, effettuata la restituzione della somma, l’Agenzia delle entrate suggeriva di esporre l’intera somma restituita quale onere deducibile ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. d-bis), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), e di operare la deduzione della somma restituita all’INPS (€ 18.193,66) dall’ammontare delle imposte dovute dal ricorrente, che la operava nella dichiarazione unica relativa all’anno 2008; vi) l’avvenuta decurtazione della somma comportava una decurtazione dell’imponibile relativo a tale anno (da € 55.510,00 ad € 37.316,34), e conseguentemente una decurtazione dell’imposta dovuta per l’anno 2008, pari ad € 10.280,00; vii) il sostituto d’imposta presso il quale il sig. C. aveva ripreso il lavoro aveva tuttavia operato, sulle retribuzioni corrisposte per l’anno 2008, la ritenuta di € 17.429,00; viii) esso ricorrente sarebbe stato quindi creditore di due somme: a) € 5.353,02 a titolo di differenza tra il netto percepito a titolo di T.F.R. ed il lordo restituito all’INPS; b) € 7.013,00 quale differenza di imposta pagata in più per l’anno 2008.
7. Così delineati i termini della questione, va rilevato che la C.T.R. dell’Abruzzo, con la sentenza n. 46/03/2013 depositata il 24 giugno 2013, aderendo alla tesi dell’Ufficio, confermava la sentenza di primo grado della C.T.P. di Teramo, che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente, ritenendo, per l’appunto, che l’importo di € 5.353,02, oggetto della richiesta di rimborso, fosse ricompreso nell’importo già rimborsato di € 7.013,00.
La stessa C.T.R., con la sentenza odiernamente impugnata, dichiarava inammissibile la domanda di revocazione proposta avverso la sentenza n. 46/03/2013 della stessa C.T.R., in quanto le censure proposte non riguardavano un errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa, trattandosi di doglianze riguardanti la valutazione delle risultanze processuali, non ascrivibile ad un difetto di percezione.
8. Orbene, con l’unico motivo di ricorso per cassazione il contribuente eccepisce omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc .civ., nonché agli artt. 64 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 395, num. 4), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. non avrebbe tenuto conto che, in base a quanto già indicato nel ricorso per revocazione, ed in base alla contabilità corretta, la somma di € 5.353,02 richiesta in restituzione si aggiungeva a quella già oggetto di rimborso, pari ad € 7.013,00, e non era in questa ricompresa.
Il motivo è infondato.
Esso, invero, non fa che reiterare le doglianze già avanzate in sede di ricorso per revocazione, e cioè che la precedente sentenza della C.T.R. (n. 46/03/2013 depositata il 24 giugno 2013) avrebbe operato una indebita confusione tra il credito vantato dal contribuente a titolo di rimborso di una parte del T.F.R. restituito all’INPS, ed il diverso credito vantato a titolo di rimborso delle maggiori ritenute IRPEF operate dal datore di lavoro sui redditi del 2008.
Senonché la C.T.R., investita in sede di revocazione, ha già avuto modo di precisare che l’errore denunciato dal contribuente non rappresentava un errore di fatto, ma integrava, piuttosto, un error in iudicando, che avrebbe dovuto essere censurato attraverso i normali rimedi impugnatori.
Questo profilo non è stato assolutamente censurato in questa sede dal ricorrente, il quale, anziché evidenziare l’eventuale sussistenza dei presupposti per la revocazione (e cioè che la censura proposta in sede di impugnazione straordinaria riguardasse un errore di fatto, e non un’erronea valutazione delle risultanze processuali), ha semplicemente reiterato, in questa sede, le doglianze relative alla asseritamente errata ricostruzione della contabilità operata dall’Ufficio e dai giudici di primo e secondo grado, richiedendo quindi una ennesima ricostruzione nel merito della vicenda.
Peraltro, il ricorrente non ha indicato quale sarebbe stato il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso, vizio che nella specie non sussiste, in quanto la C.T.R. ha preso in esame tutte le circostanze oggetto di domanda di revocazione, ritenendo poi inammissibile il ricorso.
8. Consegue quindi il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per tale impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna C.R. alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 1.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per tale impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
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