Corte di Cassazione sentenza n. 6789 depositata il 19 marzo 2018
LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – GIUSTA CAUSA – RIFIUTO DELLA PRESTAZIONE – UTILIZZO DELLA PRESSA – MANCATA PRESENTAZIONE PRESSO LA DIREZIONE – SUSSISTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) La corte d’appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale di Spoleto del 10.7.2014 che aveva respinto il ricorso di M.G. diretto a far accertare l’illegittimità di una trattenuta di Euro 3893,00 operata sullo stipendio e l’illegittimità il licenziamento per giusta causa comminatogli con lettera del 30.7.2009 dalla datrice di lavoro spa Sitem, a seguito di lettera di contestazione con cui gli era stato addebitato di essersi rifiutato di prestare attività lavorativa su di una pressa senza giustificato motivo all’inizio di un turno e di non essersi poi recato dal direttore di stabilimento, benché convocato, per rendere spiegazioni.
2) La corte territoriale, dopo aver respinto delle eccezioni preliminari, ha ritenuto che andava confermato il giudizio del Tribunale secondo cui il M. aveva posto in essere una grave insubordinazione nei confronti dei superiori, atteso che il rifiuto di prestare la propria attività da parte del lavoratore è suscettibile di essere sanzionato con un provvedimento espulsivo, qualora sia particolarmente grave ed anche in essenza di precedenti disciplinari.
3) La corte ha rilevato che il M. aveva riqualificato solo in appello il rifiuto di lavorare sulla pressa Minster 6 come manifestazione di indisponibilità per ragioni di salute, mentre dalle prove testimoniali era emerso che si fosse rifiutato adducendo che tale macchina non era adatta a lui, circostanza non vera trattandosi di macchina in cui si lavoravano pezzi di peso non superiore ai 2 kg, a fronte del limite di 5 kg a lui consentito; che tale rifiuto aveva costretto la società a farlo lavorare su altro macchinario il cui utilizzo non era previsto in quel turno. Infine la Corte di merito ha ritenuto provato altresì l’ulteriore addebito, secondo cui il M. pur essendo stato convocato in tale giornata dal direttore di stabilimento, non si era recato da lui, rifiutandosi quindi di rendere spiegazioni del suo comportamento.
4) Tale comportamento di insubordinazione rientrava, secondo la corte, nel novero degli illeciti disciplinari sanzionati, sia dal CCNL all’art. 25, lett. B, sia dalla legge agli artt. 2104 e 2015 c.c. Infine è stato ha ritenuto provato anche l’omesso controllo da parte del lavoratore della qualità dei pezzi prodotti durante il suo turno, consistito anche nell’omessa comunicazione al capoturno di tale malfunzionamento, al fine di interrompere una produzione errata, che aveva cagionato il danno provato dal datore di lavoro.
5) Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M., affidato a sei motivi. Ha resistito la società con controricorso. Sono state depositate memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6) Con il primo motivo di ricorso il M. deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c., ex art. 360, comma 1, n. 3, per mancata considerazione di elementi di fatto già accertati nella sentenza di primo grado e non fatti oggetto di impugnazione, oltre che la sussistenza di un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché la corte di merito avrebbe preso a base della decisione una ricostruzione dei fatti errata rispetto a quanto riferito dal teste C., suo superiore, e a quanto ritenuto dal primo giudice, secondo cui egli si sarebbe rifiutato di lavorare sulla pressa Minster 6 ritenendo l’incompatibilità di detta macchina con le sue condizioni di salute.
7) Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la Corte di merito tenuto conto del dato istruttorio costituito dalla deposizione del teste C. il quale aveva riferito che “dalla macchina uscivano pacchetti di due/tre kg”, di non aver tenuto conto dei referti medici in cui era indicata la patologia di cui era affetto (stenosi del canale vertebrale e discopatie degenerative”) che gli avevano comportato un’invalidità del 50%. Per il ricorrente vi sarebbe stata anche la violazione dell’art. 2087 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché la corte d’appello non avrebbe considerato che da tale norma discende l’obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità psico fisica del dipendente.
8) Con il terzo motivo di gravame il M. lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oltre che violazione della L. n. 604 del 1966, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: secondo il ricorrente la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che egli avesse omesso di presentarsi, sebbene convocato, in direzione il giorno 16 alle ore 15,00 per un colloquio con il direttore sull’episodio verificatosi la mattina, ciò in quanto dalle testimonianze dello stesso direttore e del collega C. non sarebbe emerso che egli fosse stato effettivamente avvisato della richiesta di colloquio.
9) Con il quarto motivo di gravame il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 10 del CCNL del settore industria metalmeccanica privata, dell’art. 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: la corte territoriale avrebbe fatto in primo luogo erroneo riferimento alla fattispecie contrattuale di cui all’art. 25 del CCNL del 7.5.2003, non più in vigore all’epoca dei fatti, inoltre non si sarebbe comunque uniformata alla definizione contrattuale di licenziamento per mancanze, non integrando le condotte contestate alcuna delle ipotesi previste contrattualmente, neanche di insubordinazione lieve, sanzionabile con provvedimento conservativo. Ed infatti secondo il ricorrente il semplice rifiuto di lavorare sulla macchina Minster 6 sarebbe dipeso esclusivamente dalle sue condizioni di salute ed essendosi egli reso disponibile a lavorare su altra macchina, mentre mancava ogni prova del fatto che egli fosse stato avvisato della richiesta del direttore di recarsi da lui.
10) Con il quinto motivo di ricorso il M. lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oltre che la violazione di legge con riferimento agli artt. 1218 e 2697 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto che andasse addebitato al M. il danno verificatosi per una produzione sbagliata di 2538 pezzi, dovuta ad un’errata impostazione del macchinario, di cui il M. non si sarebbe accorto. Secondo il ricorrente la corte non avrebbe esaminato le testimonianze dalle quali era emerso chiaramente che l’ordine di produzione e di impostazione della macchina non spettava al M., così che nessun inadempimento poteva essergli addebitato.
11) Con il sesto motivo di ricorso il M. lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, degli artt. 420 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, oltre che la violazione anche dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la corte di merito ritenuto che il M. non avesse mai contestato, se non in sede di giudizio di appello, l’ammontare della somma addebitatagli a titolo risarcitorio, laddove invece tale contestazione era stata svolta dal lavoratore già nel ricorso ex art.414 c.p.c. ove si faceva riferimento ad una lettera inviata alla società dal legale del M., contenente precisa contestazione in ordine all’an ed al quantum della pretesa della datrice di lavoro.
12) I primi due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono inammissibili per due ordini di ragioni. Sono inammissibili per difetto di autosufficienza, in violazione dell’art. 366 c.p., comma 1, n. 6, laddove si lamenta una violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. per non avere la corte di merito tenuto conto di elementi di fatto accertati in primo grado e non “fatti oggetto di impugnazione in appello”. Ed infatti non vengono trascritti nel ricorso di legittimità i passaggi essenziali del ricorso di primo grado contenenti le deduzioni in ordine alle ragioni del rifiuto di lavorare alla macchina Minster 6, al fine di verificare quale fosse l’esposizione della causa petendi, dunque l’allegazione dei fatti e delle ragioni di diritto, oggetto delle domande svolte in primo grado, che la corte di merito ha ritenuto diverse da quelle connesse alle condizioni di salute, solo in appello dedotte.
13) Ma comunque la corte distrettuale ha fondato la sua decisione su un’ulteriore ratio decidendi, perché ha motivato ritenendo che dalle testimonianze raccolte era emerso che il lavoratore aveva rifiutato di lavorare sulla pressa Minister 6 nonostante non vi fossero controindicazioni di salute, rientrando i pezzi da lavorare in un peso di due/tre kg, inferiore a quello di 5 kg, limite di cui beneficiava il M. per prescrizione medica. La corte quindi, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ha esaminato i fatti – anche le condizioni di salute emergenti dalle documentazioni mediche prodotte -, ma ne ha ricavato un giudizio diverso dal M., valutazione in questa sede a maggior ragione non sindacabile stante la nuova formulazione del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.
14) Ad analogo giudizio di inammissibilità deve giungersi con riferimento al terzo motivo di censura, perché anche il tal caso il fatto decisivo di non essersi presentato in direzione per rispondere del suo rifiuto di lavorare alla pressa è stato oggetto di esame da parte della corte territoriale, che ha fondato il proprio convincimento circa la sussistenza dell’addebito sulla testimonianza del dipendente C., capoturno del M., di cui ha riportato in sentenza la parte della deposizione concernente tale fatto. Analogo giudizio su detta circostanza è stato emesso peraltro anche dal giudice di primo grado nella sentenza appellata, trascritta sul punto nel controricorso. Ne consegue pertanto un’inammissibilità del motivo anche ai sensi del combinato disposto dell’art. 360, comma 1, n. 5 e dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (cfr Cass. n. 5528/2014, Cass. n. 23073/2015, Cass. 24909/2015, Cass. n. 11629/2016).
15) Il quarto motivo è infondato. Va preliminarmente rilevato che l’errore nel richiamo fatto dalla Corte di merito all’art. 25 del ccnl 2003, anziché all’art. 10 del CCNL del 2008 è puramente formale e dunque irrilevante, atteso che è stata ben individuata dalla corte distrettuale la fattispecie di addebito contestato, che risulta essere comunque la “grave insubordinazione ai superiori “, ipotesi di illecito previsto in identica formulazione nelle due norme, che rientra in quelle per cui è prevista la massima sanzione espulsiva. La corte ha peraltro fatto riferimento non solo a detta ipotesi di illecito disciplinare, prevista dal contratto collettivo, ma ha altresì richiamato gli artt. 2104 e 2006 c.c., ritenendo comunque che il rifiuto ingiustificato di lavorare sulla pressa e il non presentarsi in direzione come richiestogli dal superiore, costituissero una grave insubordinazione, suscettibile di licenziamento in tronco. La Corte di merito ha svolto un accertamento in concreto, motivando anche sulla proporzionalità della sanzione, in ragione del danno che il rifiuto di lavorare sulla pressa aveva provocato alla produzione aziendale e del disservizio organizzativo creato dalla necessità di mettere in opera un’altra pressa, non prevista in funzione in detta giornata, per far lavorare il M..
16) Come già ritenuto da questa Corte, la giusta causa di licenziamento è una nozione legale, così che non essendo il giudice vincolato dalle previsioni del contratto collettivo, può ritenere configurabile una giusta causa anche in presenza di un grave inadempimento o comportamento del lavoratore contrario a norme di comune etica o del vivere civile che, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. Allo stesso modo il giudice può escludere che il comportamento del lavoratore possa costituire di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (così Cass. n. 4060/2011 e Cass. n.2830/2016).
17) Il quinto ed il sesto motivo sono egualmente inammissibili. Ed infatti, quanto al quinto motivo, le censure del ricorrente di fatto muovono soltanto da una critica all’iter motivazionale della sentenza con riguardo alle risultanze testimoniali, ricadendo quindi nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e non nella violazione di legge, pure invocata. La corte territoriale ha esaminato compiutamente il fatto – mancato controllo dell’altezza dei pezzi in produzione sulla macchina, impostata dal caporeparto – e, sulla base delle risultanze testimoniali riportate in sentenza, ha tratto il convincimento dell’inadempienza del M. e della sua conseguente responsabilità per il danno verificatosi a causa di una produzione di pezzi non rispondenti all’ordine del cliente. Peraltro la Corte di merito sul punto ha espressamente precisato di confermare la ricostruzione dei fatti così come effettuata dal primo giudice, discendendone pertanto l’inammissibilità del motivo anche ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5.
18) L’inammissibilità del sesto motivo, attinente alla quantificazione del danno cagionato alla datrice di lavoro, trova fonte ancora una volta nella violazione del principio di autosufficienza in cui è incorso il ricorrente. La corte di merito ha ritenuto tardiva, perché sollevata solo in appello, la contestazione dell’importo così come quantificato dalla società e trattenuto al lavoratore sullo stipendio. Tuttavia il M. nel sostenere un error in procedendo, per avere a suo dire tempestivamente contestato l’importo richiesto dalla Sitem spa, ha fatto riferimento soltanto ad una lettera, inviata alla società da un avvocato su suo incarico, in cui si contestava l’asserito danno ed il relativo importo, ma non ha specificatamente indicato dove e con quale precisa allegazione tale contestazione fosse stata effettuata in primo grado, o nel ricorso introduttivo oppure successivamente, in risposta alla memoria di costituzione della società. Tale omissione viola il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, perché non consente di esaminare “il fatto processuale” di cui richiede il riesame. (cfr ultimo Cass. n. 2771/2017).
19) Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna del ricorrente, soccombente al pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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