CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 6856 depositata il 7 marzo 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IRPEF – Dazione a mutuo (mediante cessione di crediti) di importo costituente la provvista necessaria all’acquisto immobiliare intervenuta fra il contribuente e il di lui padre – Simulazione negoziale assoluta – Inammissibilità
Fatti di causa
1. In esito ad un’attività di verifica fiscale relativa agli anni d’imposta 2007, 2009, 2010 e 2011, l’Agenzia delle entrate notificò a G.L.Z. un avviso di accertamento con il quale riprendeva a tassazione, a fini Irpef per il 2007, un maggior reddito pari ad € 1.600.000,00, oltre ad irrogare sanzioni.
Secondo l’Ufficio, il contribuente aveva omesso di indicare tale importo nella dichiarazione dei redditi, quantunque esso avesse costituito una plusvalenza.
Si trattava, infatti, dell’importo corrispondente al valore dell’aumento di capitale della società M. s.r.l., della quale egli era socio unico e legale rappresentante, avvenuto mediante conferimento al patrimonio sociale di un immobile di pari valore.
2. Il contribuente impugnò l’atto impositivo innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che accolse il ricorso.
La decisione venne integralmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, adìta con gravame dall’Amministrazione.
I giudici d’appello, in premessa, ricostruirono la vicenda in fatto nei termini che seguono:
– il contribuente, allo scopo di sottoscrivere l’aumento di capitale di M. s.r.l., aveva ricevuto l’importo in questione in mutuo dal padre;
– il mutuo era stato erogato sotto forma di cessione di crediti vantati nei confronti di altre due società dello stesso gruppo familiare, una delle quali era P. s.r.l., proprietaria dell’immobile;
– nello stesso giorno, il contribuente aveva a sua volta ceduto detti crediti alla società M. s.r.l., la quale aveva versato il corrispettivo a P. s.r.l. mediante parziale compensazione con il credito di cui sopra, del quale essa era già stata resa cessionaria.
Su tali premesse, e rilevati altresì il difetto di prova circa l’effettiva riscossione dei crediti ceduti – tutti derivanti da “finanziamento soci” – e lo stato di insolvenza o liquidazione di tutte le società debitrici, la CTR ritenne che nella specie il contribuente avesse dato vita a un negozio indiretto, che dissimulava l’effettiva operazione economica, consistita nel conferimento dell’immobile alla società M. s.r.l.; e ciò all’unico fine di eludere la tassazione derivante dalla plusvalenza, prevista dal combinato disposto degli artt. 9, comma quinto, e 67 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (t.u.i.r.).
3. G.L.Z. ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denunzia omesso esame di un fatto oggetto di discussione fra le parti e decisivo per il giudizio.
Il ricorrente contesta la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza d’appello, in particolare osservando: (a) che in essa si affermava che l’immobile sarebbe stato da lui acquistato, risultando al contrario dall’atto pubblico che l’acquisto era avvenuto direttamente da parte della M. s.r.l.; (b) che, ancora, vi si negava la possibilità di estinguere il debito del socio verso la società mediante compensazione, quando invece si tratta di meccanismo estintivo del debito che opera automaticamente;
(c) che, inoltre, i giudici d’appello non avevano preso in considerazione il fatto che l’importo fosse stato originariamente a lui mutuato dal padre; (d) che, infine, non fosse stato adeguatamente valorizzato il fatto che l’Agenzia delle entrate non avesse disconosciuto le operazioni finanziarie sottese al conseguimento, da parte sua, della provvista necessaria per estinguere la propria posizione verso la società cessionaria dell’immobile.
2. Con il secondo mezzo di impugnazione, il ricorrente denunzia violazione dell’art. 68 del t.u.i.r.
Al riguardo assume che, nel qualificare come plusvalenza personale l’importo corrispondente al prezzo di vendita dell’immobile, la C.T.R. avrebbe omesso di considerare i costi da lui sostenuti per il relativo acquisto, costituiti dal debito maturato nei confronti del padre.
3. Entrambi i motivi sono inammissibili.
3.1. Con il primo, dolendosi del mancato esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente evidenzia anzitutto alcune circostanze, delle quali, tuttavia, la sentenza d’appello non ha affatto trascurato la valutazione.
Come, infatti, risulta dal contenuto della pronunzia, già esposto nella premessa in fatto, si tratta di temi puntualmente evidenziati ed oggetto di specifica analisi sul piano della qualificazione del rapporto giuridico, soprattutto in ordine ai relativi effetti in ambito fiscale.
Di tali circostanze, non a caso, il ricorrente finisce per proporre un diverso apprezzamento, più consono alle proprie tesi difensive;
ma, così facendo, egli sollecita a questa Corte una tipica valutazione di fatto, estranea al perimetro del giudizio di legittimità.
In ogni caso, il ricorso manca di evidenziare quale sarebbe lo specifico fatto storico, munito di rilevanza ai fini di decisione della causa, non scrutinato dai giudici di merito; condizione, quest’ultima, necessaria a che il motivo superi il vaglio di ammissibilità.
3.2. Il secondo motivo non si confronta con la ratio decidendi.
La sentenza d’appello, infatti, muove dal fondamentale rilievo in base al quale l’intera ed articolata operazione negoziale – comprensiva della dazione a mutuo (mediante cessione di crediti) di importo costituente la provvista necessaria all’acquisto, intervenuta fra il contribuente e il di lui padre – avrebbe costituito un’ipotesi di simulazione negoziale assoluta, in quanto posta in essere all’unico scopo di sottrarre ad imposizione la plusvalenza realizzata con il trasferimento dell’immobile.
Il ricorrente non muove alcuna significativa critica a tale ricostruzione, limitandosi ad evidenziare la necessità di tener conto dei costi sostenuti per il finanziamento dell’acquisto, a fronte del chiaro rilievo di fittizietà di tale ultima operazione.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Sussistono i presupposti per la condanna del ricorrente al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115/2002, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 8.000,00 oltre spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti per la condanna del ricorrente al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115/2002, se dovuto.
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