Corte di Cassazione sentenza n. 7171 depositata il 22 marzo 2018
VENDITA – OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE – CONSEGNA DELLA COSA – TRASFERIMENTO DEL POSSESSO REALE E NON SOLO GIURIDICO – NECESSITÀ – FATTISPECIE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata il 14/5/2013, riformata la sentenza emessa da Tribunale di Alba, Sezione Distaccata di Bra, in data 30/3/2011, rigetto’ l’opposizione di N. D. s.r.l. avverso il Decreto Ingiuntivo emesso in favore di A.s.p.a. per l’importo di Euro 13.818,82, oltre accessori; condanno’ A. al pagamento della somma di Euro 1.275,70; rigetto’ ogni altra domanda proposta.
Nel rispetto del perimetro decisorio di legittimità, il difforme decisum consiglia di esporre i termini salienti della vicenda, siccome riferita dalla Corte d’appello. N., con contratto del 19/12/2007, integrato e modificato con accordi sopravvenuti del 31/7/2008 e del 23/12/2008, aveva promesso di vendere ad A. un’area industriale sulla quale insisteva un fabbricato, sita in (OMISSIS), per il prezzo di 970.000 Euro, ricevendo in acconto la somma di 20.000 Euro. Inoltre, era stata pattuita la cessione immediata di mobilio, arredi e infrastrutture dell’edificio. Alla promissaria acquirente era stata consegnata la chiave d’accesso al compendio immobiliare, per consentirle di far luogo ai necessari rilievi tecnici. Individuati nell’accordo due contratti collegati, ma autonomi (l’uno, definitivo, di vendita dei beni mobili di cui detto e l’altro, preliminare di compravendita immobiliare), la Corte locale aveva reputato, venuto meno il contratto preliminare (si veda appresso), che l’acquirente aveva ingiustamente denegato il pagamento della fattura, emessa dalla venditrice, riportante il corrispettivo per la cessione dei beni mobili, non potendo l’acquirente rifiutare il pagamento sul presupposto che una parte dei mobili (fatta consegna in corso di causa dalla N., erano rimasti da consegnare i termosifoni e il relativo impianto) non le fosse stata messa a disposizione, avendo essa avuto la possibilità materiale di espiantare i mobili infissi o incassati nella struttura muraria, avendo a disposizione la chiave d’accesso allo stabile. Ne’ potevasi addebitare all’alienante l’onere dell’asportazione, che non faceva parte della previsione negoziale, diretta alla cessione dell’intero compendio immobiliare, corredato dai beni strumentali pertinenziali. Quanto alla promessa di vendita dell’immobile, la Corte di Torino, dissentendo anche in questo caso dal Tribunale, aveva addebitato l’inadempimento alla promissaria acquirente, spiegando che le irregolarità urbanistiche ed edilizie erano note a quest’ultima, che le aveva accettate (scrittura del 31/7/2008), assumendosi l’onere di far luogo alle necessarie pratiche amministrative di sanatoria, fermo restando che, tenuto conto dell’epoca della costruzione, si trattava di difformità che non avrebbero invalidato il contratto di trasferimento e solo se, al momento del confezionamento dell’atto definitivo fosse emersa una situazione di perdurante e non rimediabile irregolarità la promissaria avrebbe potuto eccepire l’inadempimento; di conseguenza il negozio si era risolto di diritto per colpa di quest’ultima, sulla base dell’accordo del 23/12/2008.
Avverso la statuizione d’appello propone ricorso pere cassazione la s.p.a. N. Due corredato da cinque motivi di doglianza, ulteriormente illustrati da memoria.
La controparte non ha svolto difese in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1476, 1477, 1510, 1803 e 1804 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Con il secondo motivo si allega violazione e falsa applicazione degli artt. 1374, 1375, 1476, 1477, 1510 e 818 c.c., in relaziona all’art. 360 c.p.c., n. 3.
I due motivi, tra loro correlati, possono sintetizzarsi nei termini che seguono.
Secondo l’assunto impugnatorio la Corte locale non aveva considerato che il venditore non si libera dall’obbligo di consegnare il bene mobile venduto provvedendo solo ad una formale sua messa a disposizione, tale da non soddisfare in concreto l’interesse dell’acquirente. Nella specie, senza la collaborazione della venditrice non sarebbe stato possibile soddisfare la creditrice dei beni, i quali andavano espiantati dalla Abet, la sola legittimata ad opere distruttive della struttura muraria di sua proprietà (tanto che, fatta eccezione per i macchinari non infissi nel fabbricato, era stata proprio la A. a far luogo alla effettiva consegna, sia pure in corso di causa, fatta eccezione, appunto, per l’impianto di riscaldamento). Peraltro, soggiunge la ricorrente, la detenzione qualificata dell’immobile da parte della medesima era finalizzata esclusivamente ai rilevamenti tecnici e l’invasiva asportazione degli accessori di cui si discute avrebbe causato danni al fabbricato, dei quali la medesima sarebbe stata chiamata a rispondere. Una tale collaborazione della venditrice, dovuta nel rispetto del canone della buona fede negoziale, costituiva necessaria e consequenziale integrazione dei patti negoziali.
Infine, ai sensi dell’art. 818 c.c., l’obbligo di separare i beni andava posto in capo alla Abet.
Entrambi i motivi meritano accoglimento.
Non e’ in questa sede controverso che le parti ebbero a stipulare due contratti collegati, ma autonomi: un preliminare di compravendita del compendio immobiliare e un contratto di compravendita ad effetti reali dei beni mobili di cui s’e’ detto.
Venuto meno il primo contratto, la parte venditrice restava tenuta ad adempiere all’obbligazione principale di consegnare le cose mobili (art. 1476 c.c.). Il trasferimento deve concernere il possesso materiale, o reale che dir si voglia, non soddisfacendo il diritto dell’acquirente l’effetto giuridico traslativo derivante dalla legge (art. 1376 c.c.), ove la situazione fattuale sia tale da non consentire l’automatica apprensione.
Nel passato questa Corte, proprio al fine di assicurare la tutela dell’acquirente ha chiarito che il venditore deve trasferire al compratore non soltanto la proprietà ed il possesso giuridico, ma anche il possesso reale o di fatto del bene venduto, senza che rilevi la circostanza che l’acquirente sia a conoscenza al momento della conclusione del contratto di una occupazione in atto del bene compravenduto (cfr., Sez. 2, n. 5394, 17/6/1997, Rv. 505229).
A completamento del ragionamento si e’ anche affermato che la consegna – costituente una delle obbligazioni del venditore – e’ l’atto con cui il compratore e’ posto nella condizione non solo di disporre materialmente della cosa trasferita nella sua proprietà, ma anche di goderla secondo la funzione e destinazione in considerazione della quale l’ha comprata. Pertanto, quando dal contratto risulta che il venditore si e’ obbligato a mettere a disposizione il suo personale specializzato, sia pure verso compenso da conteggiarsi a parte, per la messa in opera della macchina – che indica nel linguaggio tecnico la collocazione di un apparecchio o di una struttura o delle parti di un impianto nel luogo in cui devono funzionare – deve ritenersi che le parti abbiano inteso che a carico del venditore sussiste l’obbligo di provvedere al montaggio come requisito indispensabile per l’adempimento dell’obbligazione di consegnare, con la conseguenza che, ai fini dell’individuazione del locus destinatae solutionis, si deve avere riguardo allo stabilimento dell’acquirente dove, col montaggio della macchina, viene effettuata quella consegna nel senso sopra indicato (Sez. 2, n. 4818, 25/7/1981, Rv. 415526).
Se, invero, in genere l’obbligazione principale del venditore si esaurisce nel mettere a disposizione la cosa nel luogo ove essa si trova (artt. 1477 e 1510 c.c.), si riscontrano ipotesi nelle quali cio’ non risulta soddisfattivo del diritto dell’acquirente a cagione del modo d’essere della cosa, della sua collocazione o, comunque, della sua condizione tale da non consentirne immediata apprensione.
In tali casi non par dubbio che costituisca obbligo del venditore, tenuto ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), adoperarsi fattivamente perche’ l’acquirente prenda in materiale consegna il bene compravenduto.
Nel caso in esame, sulla scorta di quanto presupposto in fatto, rimasta la proprietà dell’immobile in capo alla Abet, senza la fattiva collaborazione di quest’ultima, la N. non avrebbe potuto apprendere i beni mobili, costituenti accessorio tecnologico dell’edificio (l’impianto di riscaldamento). Collaborazione che avrebbe potuto consistere anche nell’autorizzazione ad effettuare l’asportazione, implicante opere demolitorie, e, comunque, pregiudicanti l’integrità del fabbricato. Ove la compratrice avesse proceduto in assenza di una tale cooperazione sarebbe incorsa in responsabilità. La stessa poteva accedere all’edificio, infatti, al limitato fine, contrattualmente stabilito, di far luogo alle misure e rilevazioni occorrenti in vista dell’atto di compravendita dell’immobile. In presenza di un siffatto titolo di mera detenzione, sia pure qualificata, una tale condotta avrebbe assunto carattere illecito, in assenza di specifica autorizzazione. Autorizzazione che, nel caso, neppure consta essere stata allegata.
Quanto esposto trova conferma empirica nella condotta tenuta dalla A. in fase di esecuzione secondo buona fede del contratto: appresi dall’acquirente i beni strumentali e i mobili non infissi nelle opere murarie, il resto del compendio mobiliare venne messo a disposizione dalla parte venditrice (anche in corso di causa), salvo, appunto, l’impianto di riscaldamento.
Con il terzo motivo la N. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455 e 1460 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Con il quarto motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
I due motivi, tra loro correlati, possono sintetizzarsi nei termini che seguono.
La sentenza censurata si era limitata a verificare la messa a disposizione da parte della società promittente della sola documentazione necessaria per la stipulazione dell’atto definitivo, senza tener conto che andava regolarizzata la posizione dell’immobile, cosi’ da permettere alla società di leasing, interessata dalla promissaria, di partecipare all’atto e, dovendo agire secondo buona fede, la A. avrebbe dovuto fare quanto di necessario per consentire alla ricorrente di concludere l’affare con la partecipazione della società di leasing.
Inoltre, non risultava essere stato effettuato il necessario giudizio di comparazione fra i reciproci inadempimenti, giudizio che avrebbe implicato una valutazione unitaria, la quale non avrebbe potuto non tenere conto della intensa attività messa in atto dalla N. al fine di regolarizzare l’edificio, con esborso di significative somme di denaro, nel mentre la controparte non aveva provato, come era suo onere, il proprio adempimento. La condotta di quest’ultima, connotata da violazione del principio di buona fede, adduceva ad una situazione di stasi indefinita, costituente chiaro inadempimento.
Entrambi i motivi sono infondati.
La circostanza che l’edificio necessitasse di sanatoria edilizia era noto alla ricorrente, risultando contemplato negli accordi integrativi del primo.
Al contrario di quanto asserito il Giudice del merito ha proceduto, dopo aver individuato i rispettivi obblighi contrattuali, a bilanciare i rispettivi interessi e le rispettive contestate condotte inadempienti (pagg. 20-24). Il giudizio che ne e’ scaturito di addebito prevalente alla ricorrente non e’ in questa sede censurabile, attenendo al vaglio di merito.
Ne’ merita correzione l’affermazione di cui alla sentenza gravata secondo la quale “l’incapacità della promittente venditrice di consegnare alla controparte (…) i documenti (…) avrebbe dovuto essere in concreto verificata nell’incontro davanti al notaio per la stipula del contratto definitivo, prima della sua conclusione”, stante che fino a quel momento la stessa non avrebbe potuto dirsi inadempiente.
Quanto alla prospettata necessità per la promissaria acquirente di far intervenire nell’atto una società di leasing, la quale aveva ricusato il proprio intervento essendo rimaste insoddisfatte le garanzie richieste a riguardo del completamento di tutte le pratiche amministrative concernenti la conformità edilizia dell’immobile, deve osservarsi non constare che una tale esigenza fosse stata contrattualmente contemplata.
Con il quinto motivo si prospetta omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Deduce il ricorso che la Corte torinese non aveva considerato che “A. non ha mai prodotto, in corso di giudizio, “la documentazione a suo carico richiesta nell’ambito della pratica di sanatoria edilizia”, sulla base delle univoche risultanze istruttorie.
La doglianza non merita di essere accolta.
Con la stessa, infatti, la N., a dispetto dell’intestazione, propone surrettiziamente critica della valutazione di merito effettuata dalla Corte di Torino, la quale ha, peraltro ampiamente, preso in considerazione i reciproci obblighi e tenuto conto che pur vero “che in concreto A. s.p.a. non mise mai a disposizione i documenti di cui si discute, ma e’ altrettanto vero che la società appellante ha sempre affermato – e riscontrato attraverso le produzioni in atti, pure di parte appellata – di aver dato piena disponibilità alla produzione documentale alla controparte, che avrebbe effettuato solo contestualmente alla fissazione, nel rispetto del termine contrattuale, della data per la stipula del contratto definitivo”.
In relazione all’esposto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio solo in relazione ai primi due motivi. Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi e rigetta nel resto; cassa e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Torino, altra sezione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
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