Corte di Cassazione sentenza n. 7326 depositata il 23 marzo 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – RICONOSCIMENTO DELLA RENDITA O DELL’INDENNIZZO PER L’IPOACUSIA – RICORSO IN CASSAZIONE – NON SUSSISTE
FATTO
che, con sentenza depositata il 20.7.2016, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di V.F. volta a conseguire la rendita o l’indennizzo che assumeva spettargli per l’ipoacusia di cui egli è portatore;
che avverso tale pronuncia V.F. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo plurimi profili di censura; che l’INAIL ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
DIRITTO
che costituisce orientamento ormai consolidato di questa Corte il principio secondo cui il fatto che ciascun motivo di ricorso sia articolato in più profili di doglianza, ognuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, a condizione però che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. S.U. n. 9100 del 2015);
che, nella specie, l’esposizione dei motivi d’impugnazione è condotta da pag. 2 a pag. 10 del ricorso mediante una mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, deducendosi senza soluzione di continuità plurime violazioni di legge sostanziale e processuale e vizi di insufficiente e contraddittoria motivazione con riguardo all’accertamento dei fatti di causa;
che l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti la verifica dell’interpretazione della legge compiuta dal giudice del merito, della correttezza o meno della sussunzione dei fatti accertati entro il paradigma normativo ritenuto applicabile e degli eventuali vizi logici dell’accertamento compiuto sui fatti di causa non può tradursi in una rimessione al giudice di legittimità del compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, dal momento che, così facendo, si attribuirebbe inammissibilmente al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. in tal senso già Cass. n. 19443 del 2011; più recentemente Cass. nn. 21611 del 2013, 18021 del 2016 e 17089 del 2017);
che, pertanto, in disparte il fatto che le doglianze argomentate con riguardo a documenti e atti processuali sono dedotte in violazione del canone di specificità di cui all’art. 366 nn. 4 e 6 c.p.c., non riportandosi il contenuto dei documenti e degli atti processuali ignorati o erroneamente interpretati dalla Corte di merito né provvedendosi a indicare con chiarezza dove essi sarebbero attualmente reperibili (v. in tal senso Cass. nn. 14784 del 2015, 18679 del 2017 e, con specifico riferimento alle doglianze concernenti la consulenza tecnica, Cass. nn. 16368 del 2014 e 11482 del 2016), il ricorso va dichiarato inammissibile; che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.700,00, di cui € 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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