Corte di Cassazione sentenza n. 8082 depositata il 23 aprile 2020
trust – imposte indirette
Svolgimento del processo
1.L’agenzia delle Entrate liquidava, a carico di S. F., l’imposta sulle donazioni, applicando l’aliquota dell’8% come previsto dall’art. 2 comma 49 D.L. n. 262/2006, dovuta sul valore di beni costituiti in trust – denominato trust “K. L.” – con cui il predetto si nominava trustee dei propri beni immobili, individuando quali beneficiari per il Fondo A) gli stessi disponenti( il S. F. e la di lui moglie) se in vita, ovvero i discendenti in caso di morte; per il Fondo E3) lo stesso disponente, il cognato e la madre dell’altra disponente se in vita, altrimenti i loro legittimi eredi.
La parte contribuente si opponeva dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Milano la quale respingeva il ricorso, sul presupposto che anche se gli immobili risultavano intestati al disponente, si realizzava comunque una segregazione dei beni che costituiva un trasferimento di diritti immobiliari.
L’appello proposto dal S. F. veniva accolto con sentenza n. 72/15/2012 depositata il 4.07.2012.
In particolare, i giudici regionali affermavano che nell’ipotesi di costituzione di un vincolo di destinazione manca l’arricchimento o l’incremento patrimoniale e, che in ogni caso, i vincoli di destinazione e i trust sono istituti diversi; aggiungendo che il disponente non aveva beneficiato di alcun arricchimento, mentre il presupposto dell’attuale imposta sulle donazioni e sulle successioni è “il concetto di liberalità che non ha animato il disponente”, di talchè la segregazione dei beni è esclusivamente sottesa alla destinazione del patrimonio segregato in trust.
Affermava il giudice di appello che, sotto il profilo temporale, il momento impositivo coincide con il trasferimento dal trustee ai beneficiari e non con quello del trasferimento dal disponente al trustee ( ovvero, nel caso di specie, a se stesso).
Per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso affidato a un mezzo.
Parte intimata resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale, in punto di spese, regolarmente notificato all’amministrazione finanziaria. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
2. Con l’unico motivo di ricorso rubricato «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 47, 48 e 49 dl. n. 262/2006, convertito in l. n. 286/2006, nonché degli artt. 2 e 10 d.lgs. n. 347/90 e dell’art. 1 Tariffa allegata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», l’Ufficio deduceva che con l’art. 2, comma 47 ss., d.l. 3 ottobre 2006 n. 262 conv. con modif. in l. 24 novembre 2006 n. 286 era stata «reintrodotta nell’ordinamento giuridico l’imposta sulle successioni e donazioni estendendone l’ambito di applicazione alla costituzione di vincoli di destinazione», ai quali doveva ricondursi anche la costituzione del trust oggetto di controversia atteso che con lo stesso erano stati conferiti beni a titolo gratuito «al trustee da immettere in trust> con efficacia «segregante», così come in effetti previsto dall’art. 2, comma 47 ss., dl. n. 262 cit. che espressamente assoggettava all’imposta sulle successioni e donazioni ex d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 gli atti di costituzione dei «vincoli di destinazione»; con la conseguenza che la CTR avrebbe errato a ritenere che mancasse il presupposto della tassazione, vale a dire il trasferimento di ricchezza a tiolo di liberalità e l’arricchimento di un soggetto conseguente alla liberalità ricevuta.
3. Il contribuente ha proposto ricorso incidentale in ordine alle spese di lite, assumendo la carenza dei gravi ed eccezionali esigenze di cui all’art. 92 c.p.c., applicabile ratione temporis, difettando la novità della questione assunta dalla CTR quale presupposto per l’operata compensazione delle spese processuali.
4. Il motivo di ricorso principale è destituito di fondamento.
La normativa sul trust (artt. 2, commi da 47 a 53, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, I, commi da 77 a 79, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 – legge finanziaria per il 2007 – e 1, comma 31, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 – legge finanziaria per il 2008 -), prevede l’applicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito “e sulla costituzione di vincoli di destinazione”, alla luce del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto “Salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”. L’ art. 2, comma 47, D.L. n. 262 del 2006, come convertito, prescrive che “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.
Quanto prospettato dall’Ufficio segue in buona sostanza il contenuto della circ. n. 48/E del 6 agosto 2007 – nonché quello della circ. n. 3/E del 22 gennaio 2008 – ( le quali non hanno contenuto vincolante) che nel loro «combinato disposto» sono nel senso di affermare che gli «effetti segreganti» del trust o meno danno luogo ad un trasferimento dei beni conferiti che deve assoggettarsi a tassazione secondo le regole di cui alla reintrodotta legge sulle successioni e donazioni ex d.lgs. 31 ottobre 1999 n. 346. E ciò, secondo l’Amministrazione, in ragione dell’art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. che prevede «l’istituzione» dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni anche «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» e nei quali si afferma debbono farsi pacificamente rientrare anche i trust «autodichiarati» o di natura diversa.
Tanto è vero che in assenza di conferimento di beni sono le stesse circolari n. 48/E e n. 3/E cit. a dire che il trust debba scontare soltanto l’imposta di registro in misura fissa atteso che in questo caso è mancante qualsiasi trasferimento di ricchezza, con la conseguenza che l’atto di costituzione del trust non accompagnato da alcun conferimento non andrebbe assoggettato all’imposta di successione e donazione proprio perché quest’ultima non è un’imposta d’atto e bensì un’imposta che tassa il trasferimento di ricchezza liberale.
5.Come noto, con numerose ordinanze questa Corte è giunta a diverse più radicali conclusioni – appunto disattendendo l’idea dell’Amministrazione appena veduta secondo cui in mancanza di conferimento di beni, l’atto di costituzione di trust autodichiarato o meno non dovrebbe essere assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni ex d.lgs. n. 346 cit., per la ragione che, in ipotesi, nessuna ricchezza potrebbe dirsi trasferita – ritenendo invece che l’art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. abbia istituito un’autonoma generale imposta «sulla costituzione dei vincoli di indisponibilità» la cui disciplina sarebbe stata indicata per relationem nelle regole contenute nel d.lgs. n. 346 cit. «concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni».
Sarebbe in tesi, un tributo che perciò prescinderebbe dal trasferimento di ricchezza discendente dal conferimento di beni e che per tal motivo troverebbe il suo presupposto impositivo nella semplice costituzione di vincoli di “indisponibilità” e includendovi tra questi ultimi il trust (Cass. sez. n. 4482 del 2016; Cass. sez. VI n. 5322 del 2015; Cass. sez. VI n. 3886 del 2015; Cass. sez. VI n. 3737 del 2015; Cass. sez. VI n. 3735 del 2015).
L’interpretazione in parola è per l’essenziale ricavata in via letterale dall’art. 2, comma 47, dl. n. 262 cit. laddove si stabilisce che è «istituita l’imposta sulle successioni e donazioni» tra l’altro anche «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» secondo quelle che erano già le disposizioni dell’abrogato d.lgs. n. 346 cit. e che sarebbe da leggersi nel senso che oltre alla reintroduzione dell’imposta sulle liberalità sarebbe stata anche ex novo introdotta una nuova autonoma generale imposta «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» ed entrambe disciplinate mediante rinvio alle norme di cui al d.lgs. n. 346 cit., che, prima della sua abrogazione, dettava esclusivamente la disciplina fiscale sulle successioni e sulle donazioni.
Secondo un altro indirizzo che sembrerebbe allo stato prevalente, il trasferimento del bene dal settlor al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust, sicchè detto atto sarebbe soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale (Sez. 5, Sentenza n. 975 del 17/01/2018).
In particolare, in tema d’imposta ipotecaria e catastale, l’istituzione di un “trust” cd. “autodichiarato”, con conferimento di immobili per una durata predeterminata o fino alla morte del disponente, i cui beneficiari siano i discendenti di quest’ultimo, sarebbe riconducibile alla donazione indiretta e sarebbe soggetto all’imposta in misura fissa, atteso che la “segregazione”, quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzano solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale (Sez. 5, Sentenza n. 21614 del 26/10/2016).
6.A fronte di tale orientamento, se ne pone un altro, secondo cui l’atto con il quale il disponente vincoli propri beni al perseguimento della finalità di rafforzare una generica garanzia patrimoniale già prestata, nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari, pur non determinando il trasferimento di beni ad un beneficiario e l’arricchimento di quest’ultimo, nondimeno è fonte di costituzione di un vincolo di destinazione, sicché resta assoggettato all’imposta prevista dall’art. 2, comma 47, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 23 novembre 2006, n. 286, la quale – accomunata per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali – a differenza delle imposte di successione e donazione, che gravano sui trasferimenti di beni e diritti “a causa” della costituzione dei vincoli di destinazione, è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione del vincolo (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3735 del 24/02/2015).
Non manca, poi, chi sostiene che mediante il “trust” si costituirebbe un vincolo di destinazione idoneo a produrre un effetto traslativo in favore del “trustee”, sebbene funzionale al successivo ed eventuale trasferimento della proprietà dei beni vincolati ai soggetti beneficiari, che dovrebbe essere assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni, facendo emergere la potenziale capacità economica, ex art. 53 Cost., del destinatario del trasferimento.
In applicazione di tale principio, Sez. 5, Sentenza n. 13626 del 30/05/2018 ha ritenuto assoggettato a detta imposta, in luogo di quella di registro, un “trust” finalizzato alla liquidazione di beni nell’interesse dei creditori. In primo luogo, va evidenziato che, tra le pronunce che hanno avallato l’orientamento maggiormente rigoroso, solo una (la n. 21614/2016) ha analizzato una fattispecie soggetta ratione temporis all’art. 2 del d.l. n. 262 del 2006 (applicabile solo a decorrere dal 3 ottobre 2006), conv. in l. n. 286 del 2006 (avendo ad oggetto un trust autodichiarativo del 17.12.2012), laddove le altre due pronunce si riferiscono ad atti del 2003.
7.La prima questione che si pone, dunque, riguarda la natura del trust, dovendosi accertare se esso rientri nell’ambito dei ‘vincoli di destinazione’ che il comma 47 dell’art. 2 citato prende in considerazione (in alternativa ai trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito) ai fini della sottoposizione all’imposta sulle successioni e donazioni.
Ed invero la costituzione del trust – come è normale che avvenga per «i vincoli di destinazione» – produce soltanto efficacia «segregante» i beni eventualmente in esso conferiti e questo sia perché degli stessi il trustee non è proprietario bensì amministratore e sia perché i ridetti beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta (artt. 2 e 11 Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985, recepita in I. 16 ottobre 1989 n. 364). L’appena veduta osservazione è fondamentale perché consente di comprendere l’inconsistenza della censura denunciata dall’Ufficio che – pur riconoscendo anche nelle sue circolari che quella applicabile al trust è l’imposta sulle donazioni e sulle successioni che ha come presupposto l’arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità, tanto che la stessa non può applicarsi se il trust è stato costituito senza conferimento, scontando in questo caso soltanto l’imposta fissa di registro – sostiene l’erroneo convincimento che il conferimento di beni nel trust dia luogo a un reale trasferimento imponibile.
Un reale trasferimento che è invece all’evidenza impossibile perché del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che – come si ripete – prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua «segregazione» fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari.
Per l’applicazione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni manca quindi il presupposto impositivo della liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti (art. 1 d.lgs. n. 346 cit.).
Nemmeno può condividersi l’interpretazione letterale dell’art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. adottata dalle rammentate ordinanze di questa Corte al cui avviso sarebbe stata istituita un’autonoma imposta «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» disciplinata mercé il rinvio alle regole contenute nel d.lgs. n. 346 cit. e avente come presupposto la loro mera costituzione.
In verità neanche il dato letterale autorizza una tale conclusione, giacché ex art. 12, comma 1, prel. «il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» è proprio invece nel diverso senso che l’unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i «vincoli di destinazione», con la scontata conseguenza che il presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dall’art. 1 d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari.
8. Quella che in verità emerge chiara dall’art. 2, comma 47 ss., dl. n. 262 cit. è la preoccupazione – nei più esatti termini di cui all’art. 12, comma 1, prel. sarebbe «l’intenzione del legislatore» – di evitare che un’interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinata mediante richiamo al già abrogato d.lgs. n. 346 cit. potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse stato collocato all’interno di una fattispecie tutto sommato di «recente» introduzione come quella dei «vincoli di destinazione» e quindi per niente affatto presa in diretta considerazione dal ridetto vecchio d.lgs n. 346.
Questa sembra essere l’interpretazione non solo logicamente più corretta, ma anche quella che appare essere l’unica costituzionalmente orientata. E ciò atteso che l’art. 53 Cost. non pare poter tollerare un’imposta, a meno che non sia un’imposta semplicemente d’atto come per l’essenziale è per es. quella di registro, senza relazione alcuna con un’idonea capacità contributiva.
Si riconosce che nel ‘genere’ degli atti di “costituzione di vincoli di destinazione” di cui all’art. 2, comma 47, cit. rientri anche la ‘specie’ del trust; ha in proposito osservato Cass. n. 1131 del 2019 cit. che: “nell’ambito concettuale dei ‘vincoli di destinazione’ devono essere ricondotti non solo gli ‘atti di destinazione’ di cui all’art. 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall’ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo (…)”. Tale inclusione, tuttavia, non è ritenuta bastevole a giustificare l’imposizione del trust in quanto tale, ostandovi principalmente considerazioni di natura costituzionale. Ciò perché la tesi della ‘nuova imposta’ gravante sul vincolo di destinazione, assunto quale autonomo e sufficiente presupposto, non dà adeguatamente conto del fatto che la sola apposizione del vincolo non comporta, di per sé, incremento patrimoniale significativo di un reale trasferimento di ricchezza; con quanto ne consegue, appunto nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata, in ordine alla non ravvisabilità in esso di forza economica e capacità contributiva ex art.53 Cost.
Ha stabilito Cass. n. 975 del 2018 (e Cass. n.22756/2019) che: “Il trasferimento del bene dal “settlor” al “trustee” avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritras ferimento ai beneficiari del “trust”: detto atto, pertanto, è soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all’imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale“. La strumentalità dell’atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica, nei termini indicati, la fiscale neutralità.
Ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti impositivi, quest’ultima deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza e di non arbitrio (Corte Cost. n. 4 del 1954 e n. 83 del 2015), posto che la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese “esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza” (C.Cost. n. 394 del 2008).
In materia tale indice non prende consistenza prima che il trust abbia attuato la propria funzione. Non può negarsi che l’apposizione del vincolo, in quanto tale, determini per il disponente l’utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all’art. 2740 c.c.) in vista del conseguimento di un determinato risultato di ordine patrimoniale; ma detta utilità è stesso fondamento causale del trust, della cui validità e meritevolezza ex art. 1322 c.c., dopo la ratifica della Convenzione, non è invece più dato dubitare.
9.In altri termini, detta utilità non concreta, di per sé, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al disponente e nemmeno al trustee, quanto soltanto – ‘se’ e ‘quando’ il trust abbia compimento – in capo al beneficiario finale. Prima di questo momento, l’utilità’, insita nell’apposizione del vincolo, si risolve, infatti, dal lato del conferente, in una autorestrizione del potere di disposizione mediante segregazione e, dal lato del trustee, in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, transitoria, vincolata e strumentale (secondo appunto quanto stabilito dai su riportati artt. 2 e 11 della Convenzione).
Quanto osservato in ordine alla non individuabilità, nella costituzione del vincolo, di un autonomo presupposto di imposta vale anche ad escludere che l’atto istitutivo del trust e quelli di dotazione/provvista del medesimo siano alternativamente assoggettabili all’imposta sulle donazioni. Di questa mancano, infatti, gli elementi costitutivi rappresentati, sia dalla liberalità, sia dal concreto arricchimento mediante effettivo trasferimento di beni e diritti, secondo quanto evincibile dall’art. 1 TU n. 346 del 1990 cit. 13.
Si è detto che la complessità del problema deriva anche dal fatto che il trust è istituto multiforme.
L’orientamento al quale questa Corte di legittimità è da ultimo pervenuta (Cass. n. 1131 del 2019 cit.), tuttavia, è in grado di dare conto di tale aspetto, apprestando una soluzione che deve ritenersi estensibile a tutte le diverse forme di manifestazione. In ogni tipologia di trust, dunque, l’imposta proporzionale non andrà anticipata né all’atto istitutivo, né a quello di dotazione, bensì riferita a quello di sua attuazione e compimento mediante trasferimento finale del bene al beneficiario.
Si tratta di conclusione che può ricondurre ad unità anche quegli indirizzi che, pur condivisibilmente discostandosi dall’originaria posizione interpretativa di cui in Cass. nn. 3735, 3737, 3886, 5322 del 2015 cit., hanno tuttavia ritenuto di dover mantenere dei distinguo in relazione a fattispecie di trust reputate peculiari ed in qualche modo divergenti dal paradigma convenzionale.
Così avviene quando (Cass. n. 31445 del 2018; n. 31446 del 2018; n. 734 del 2019) si attribuisce rilevanza dirimente al fatto che il beneficiario sia designato già con l’atto istitutivo del trust, in modo da denotare ‘sin da subito’ la sussistenza nel disponente della volontà di trasferire a questi il bene in dotazione, con conseguente applicazione immediata dell’imposta proporzionale. Diversamente l’imposta dovrebbe essere applicata in misura fissa nella differente ipotesi di mancata designazione del beneficiario nell’atto istitutivo. Si osserva nella decisione n. 31445 del 2018 cit.: “Tuttavia, ciò non esclude tout court che in alcune fattispecie sia possibile valutare sin da subito se il disponente abbia avuto la volontà effettiva di realizzare, sia pure per il tramite del trustee, un trasferimento dei diritti in favore di terzo. (…) E’ chiaro, infatti, che, allorquando il beneficiario sia unico e ben individuato (determinando, nel caso di specie, in assenza di rapporti di parentela con la disponente, 16 l’applicazione dell’aliquota massima dell’8%) ed il negozio costitutivo non preveda, neppure in via subordinata, il ritorno dei beni in capo al settlor, l’operazione dismissiva evidenzi, in assenza di provati intenti elusivi, una reale volontà di trasferimento, con la conseguente applicabilità immediata dell’aliquota di volta in volta prevista“.
Oppure quando (Cass. n. 13626 del 2018) si individua, nel trust liquidatorio solvendi causa, un effetto traslativo immediato (con conseguente applicazione dell’imposta di donazione) nella volontà del disponente di realmente attribuire all’attuatore la proprietà dei beni, in modo tale che il vincolo di destinazione debba ritenersi “idoneo a produrre un effetto traslativo funzionale al (successivo ed eventuale) trasferimento della proprietà dei medesimi beni vincolati a favore di soggetti beneficiari diversi dal soggetto disponente senza alcun effetto di segregazione del bene”. Ha in particolare stabilito la decisione in esame che: “Il “trust” mediante il quale si costituisce un vincolo di destinazione idoneo a produrre un effetto traslativo in favore del “trustee”, sebbene funzionale al successivo ed eventuale trasferimento della proprietà dei beni vincolati ai soggetti beneficiari, deve essere assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni, facendo emergere la potenziale capacità economica, ex art. 53 Cost., del destinatario del trasferimento“, osservando quindi che: “Nella specie i contraenti vollero il reale trasferimento delle quote e dei relativi diritti al trustee, sia pure ai fini della liquidazione e quindi il reale arricchimento del beneficiario. E’ quindi corretta l’applicazione dell’imposta nella misura del’8% prevista dalla lett. c) del comma 49 del D.L. n. 262 del 2006 che sottopone all’imposta di donazione la costituzione di vincoli di destinazione con beni devoluti a soggetti diversi da quelli previsti nelle lettere a), a bis) e b“.
Nella prima ipotesi il fatto che il beneficiario sia individuato fin dall’atto istitutivo non comporta, di per sé, necessaria deviazione dal tipo negoziale del trust e, soprattutto, non pare giustificare l’immediata tassazione proporzionale, dal momento che la sola designazione, per quanto contestuale e palese (c.d. trust ‘trasparente’), non equivale in alcun modo a trasferimento immediato e definitivo del bene, con quanto ne consegue in ordine all’applicazione dei già richiamati principi impositivi. Anche questa fattispecie può dunque rientrare nel delineato sistema di imposizione proporzionale eventuale e differita.
Nella seconda ipotesi non si dubita della effettività del trasferimento al trustee dei beni da liquidare, ma ciò non esclude che, anche in tal caso, sia connaturato al trust che tale trasferimento sia mero veicolo tanto dell’effetto di segregazione quanto di quello di destinazione. Ancora una volta, dunque, si tratterà di individuare e tassare gli atti traslativi propriamente detti (che sono quelli di liquidazione del patrimonio immobiliare di cui il trust sia stato dotato), non potendo assurgere ad espressione di ricchezza imponibile, né l’assegnazione-dotazione di taluni beni alla liquidazione del trustee in funzione solutoria e nemmeno, in tal caso, la ripartizione del ricavato ai beneficiari a dovuta soddisfazione dei loro crediti.
In entrambe le ipotesi, poi, non è inutile osservare come, qualora sia davvero individuabile un effetto traslativo immediato propriamente detto, perché realizzato in via diretta e senza alcuna volontà di segregazione/destinazione, sembri addirittura dubitabile la stessa ravvisabilità in concreto della causa negoziale di trust. Nel qual caso non è più un problema di fiscalità del trust quanto, se mai, di attribuzione all’atto della sua più appropriata qualificazione secondo intrinseca natura ed effetti giuridici; ciò perché non è in discussione che, come i ‘creditori comuni’ possono allontanare da sé gli effetti di un trust solo apparente e rispondente a finalità deviate (proponendo azione di simulazione o revocatoria), così il ‘creditore fisco’ è ammesso a far prevalere la ‘sostanza sulla forma’ mediante disconoscimento degli effetti dell’atto previa sua riqualificazione ex art. 20 d.P.R. n.131 del 1986 o, al limite, contestazione di abuso/elusione ex art. 10 bis l. n. 212 del 2000.
10.Ciò divisato, giova osservare che, da quanto si evince dalla pronuncia impugnata, il trust in questione è per la quota A) un trust “autodichiarato”, istituito dal disponente che ha nominato se stesso quale trustee; istituendo come beneficiari se stesso e la moglie, altra disponente, se in vita, e dopo la morte i legittimi eredi; per il Fondo B) nel quale ha istituito quali beneficiari se stesso, ed altri parenti.
Come invero già evidenziato da questa Corte il tipo di trust «autodichiarato» pervenuto all’esame costituisce una forma di donazione indiretta, nel senso che per suo mezzo il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti non direttamente, bensì a mezzo del trustee in esecuzione di un diverso programma negoziale (Cass. sez. trib. n. 25478/ 2018)
11.La soluzione sopra illustrata, dunque, può trovare applicazione anche nel caso del c.d. trust autodichiarato, connotato dalla coincidenza di disponente e trustee; fattispecie, questa, nella quale è pure ravvisabile, nonostante la mancanza di un trasferimento patrimoniale intersoggettivo con funzione di dotazione, sia la volontà di segregazione, sia quella di destinazione. Anzi, è proprio la mancanza di quel trasferimento patrimoniale intersoggettivo a rendere, in tal caso, ancor più evidente e radicale l’incongruenza dell’applicazione dell’imposta proporzionale sull’atto istitutivo e su quello di apposizione del vincolo all’interno di un patrimonio che rimane in capo allo stesso soggetto (applicazione già esclusa, nel trust autodichiarato, da Cass.n. 21614 del 2016 e da Cass. n.22756/2019; n. 22758/2019; Cass. n. 16699/2019 ; Cass n. 19167/2019; Cass.n. 30821/2019; n. 30816/2019;).
In definitiva, deve qui affermarsi che:
– la costituzione del vincolo di destinazione di cui all’art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, conv. in l. n. 286 del 2006, non integra autonomo e sufficiente presupposto di una nuova imposta, in aggiunta a quella di successione e di donazione;
– per l’applicazione dell’imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale;
– nel trust di cui alla L. n. 364 del 1989, di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’ Aja 1^ luglio 1985, un trasferimento così imponibile non è riscontrabile, né nell’atto istitutivo, né nell’atto di dotazione patrimoniale tra disponente e trustee – in quanto meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di destinazione – ma soltanto in quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo. Nell’ipotesi di specie, ove la figura del disponente e del trustee coincidono, in cui vi è anche la possibilità che il beneficiario finale si identifichi con il disponente stesso, manca per le ragioni sopra esposte il presupposto impositivo del reale arricchimento effettuato attraverso un effettivo trasferimento di beni e diritti. Con tale tipo di trust, definito autodichiarato, il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti o anche sé stesso, se ancora in vita al momento della scadenza ( cfr. Cass n. 21614/2018 cit; Cass. nn. 16701,16704, 16705,19319,22755, 22754 del 2019)
12.Del pari infondato è il ricorso incidentale proposto da S. F..
L’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche.
In particolare, anche la novità delle questioni affrontate integra la suddetta nozione, se ed in quanto sia sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente, ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio e, quindi, da valutare con riferimento al momento in cui la lite è stata introdotta o è stata posta in essere l’attività che ha dato origine alle spese, sempre che si tratti di questioni sulle quali si sia determinata effettivamente la soccombenza, ossia di questioni decise ( Cass. n. . 21521 del 2010;, n. 20457 del 2011; n. 2572 del 2012; n. 24234 del 2016).
Nella specie, all’epoca della pronuncia impugnata, la questione non era stata affrontata esaustivamente e unanimamente dalla giurisprudenza, con la conseguenza se non la novità, ma l’evoluzione progressiva della giurisprudenza legittimano la compensazione operata dai giudici di merito.
L’assenza di univocità dei precedenti di legittimità nelle fasi dei giudizi di merito giustificava la compensazione delle spese di lite.
Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo alle obiettive incertezze indotte dal quadro normativo di riferimento, alle antinomie ed oscillazioni, emerse negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Per la parte soccombente ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non trova applicazione il citato art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale;e compensa le spese dell’intero giudizio;
– Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.