CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 8226 depositata il 23 marzo 2023
Tributi – Avviso di accertamento in rettifica – ICI – Effetti del giudicato esterno in materia tributaria – Autonomia dei singoli periodi di d’imposta – Residenza abituale – Rigetto
Fatti di causa
– La ricorrente ha proposto sei motivi di impugnazione avverso la sentenza in epigrafe riportata, pronunciata dalla CTR del Lazio che, riformando la pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso introduttivo, in quanto proposto avverso un provvedimento (n. (…) emesso in sede di autotutela e avente portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in un altro avviso di accertamento in rettifica (n. (…), riguardante il pagamento dell’Ici relativa all’anno 2009 emesso dal Comune di Roma per l’importo di € 3.357,09;
– il provvedimento di annullamento parziale, n. (…), oggetto del presente giudizio aveva ridotto la pretesa impositiva a € 2.227,89;
– l’accertamento in rettifica n. (…) risultava anch’esso sub iudice, – la CTP aveva riconosciuto il diritto all’esenzione ritenendo che la ricorrente avesse dimostrato il requisito della dimora abituale presso l’immobile in via (…), pur avendo mantenuto la residenza anagrafica fino al 2010 in via (…);
– la CTR, in particolare ha ritenuto che:
– il provvedimento emesso in autotutela, di portata riduttiva rispetto all’originaria pretesa impositiva, non è autonomamente impugnabile, qualora il provvedimento originario sia stato già oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale e il relativo procedimento non si è ancora esaurito;
– a riprova di tale affermazione, avevano fatto riferimento all’altro giudizio, ognuna richiamando le sentenze emesse a proprio favore, e il provvedimento di annullamento parziale in autotutela è stato prodotto dal Roma Capitale nel giudizio relativo all’originario avviso di accertamento e preso in considerazione dalla CTP che su di esso si era pronunciata (sent. n. 8049/65/15);
– il controricorrente si è costituito con controricorso, la ricorrente ha depositato memoria, mentre il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso depositando osservazioni scritte.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa motivazione tout court in ordine all’eccezione e alla domanda formulata dalla ricorrente relativamente all’inammissibilità dell’appello proposto da Roma capitale, perché proposto in violazione dell’art. 342 c.p.c.
La ricorrente evidenzia in proposito che, nonostante l’eccezione sia stata riportata in sentenza, dalla stessa non risulta alcuna motivazione sul punto e ritiene che tale omessa pronuncia costituisca una violazione del principio di correlazione tra il chiesto e il pronunciato.
1.1 Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata, pur dando conto della preliminare eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c., ha deciso affermando l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
Essa, pertanto, ha implicitamente ritenuto assorbita l’indicata eccezione.
La decisione e corretta, in quanto, benché non esplicitata, è uniforme al principio di recente affermato in sede di legittimità, secondo cui, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992. (Cass. n. 6302/2022, Rv. 663885 – 01).
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa motivazione tout court in ordine all’eccezione formulata dalla ricorrente di estensione all’anno d’imposta 2009 del giudicato esterno formatosi relativamente all’anno di imposta 2008 e in relazione alla domanda di dichiarazione di improcedibilità dell’appello proposto da Roma capitale.
La ricorrente prospetta come decisiva l’eccezione sollevata, in quanto il suo accoglimento avrebbe comportato la dichiarazione di improcedibilità dell’appello e quindi la definitività della sentenza di primo grado favorevole alla contribuente.
Deve ritenersi che anche tale eccezione sia stata correttamente ritenuta assorbita, in ragione della dichiarazione dell’inammissibilità del ricorso introduttivo.
2.1. Sulla portata del giudicato esterno in materia tributaria, in ogni caso, si ricorda che l’efficacia espansiva del giudicato esterno nei rapporti di durata può in materia tributaria incontrare un limite nell’autonomia dei singoli periodi di d’imposta.
È stato da tempo chiarito in sede di legittimità che l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente (Cass. s.u. n. 13916/2006, Rv. 589696 – 01).
Ben vi possono essere, infatti, elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente, in quanto entrano a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta.
Così lo sono, ad es., le qualificazioni giuridiche che individuano vere e proprie situazioni di fatto (ad esempio “ente commerciale”, “ente non commerciale”).
La giurisprudenza ha chiarito che possono assumere carattere tendenzialmente permanente anche cd “elementi preliminari”, come la “categoria e la rendita catastale” o la “spettanza di una esenzione o agevolazione pluriennale”.
Tali elementi possono rimanere costanti anche oltre il limitato arco temporale del periodo di imposta.
È solo in riferimento a tali elementi, dal carattere tendenzialmente permanente, che viene riconosciuta la capacità espansiva del giudicato, coerente, non solo, con l’oggetto del giudizio tributario, che mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria e, quindi, ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, ma anche con la considerazione unitaria del tributo, dettata dalla sua stessa ciclicità che impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale norma agendi cui devono conformarsi, sia l’Amministrazione finanziaria, sia il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta.
2.2. L’esenzione invocata dalla ricorrente nel caso di specie è contemplata dall’art. 8, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, come modificato dall’art. 1, comma 173, lettera b), della l. 27 dicembre 2006, n. 296, secondo cui: “Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”.
Nel caso in esame l’esenzione invocata poggia, non sul criterio legale principe della residenza anagrafica, ma su quello della residenza abituale, ovvero su un fatto suscettibile di modifiche nel tempo e rimesso alla prova contraria posta a carico del contribuente.
Ciò posto, non è possibile ascrivere tale elemento tra quelli suscettibili di assumere un carattere permanente.
In tal senso, la previsione di una detrazione rapportata al periodo dell’anno durante il quale si protrae la destinazione dell’unità immobiliare ad abitazione principale, contenuta nella diposizione sopra riportata, come evidenziato dal Procuratore Generale, costituisce espressione dell’alta possibilità che la residenza abituale subisca mutamenti e che pertanto, non possa assurgere ad elemento della fattispecie con carattere permanente o duraturo.
Va ricordato, inoltre, che l’efficacia preclusiva del giudicato non si estende, in generale, alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti (Cass. n. 24067/2006, Rv. 593953 – 01), ma copre soltanto le “qualificazioni giuridiche” o altri elementi “che abbiano un valore condizionante per la valutazione e la disciplina di una pluralità di altri elementi della fattispecie” (Cass. n. 7417/2019, Rv. 653514 – 01, n. 1300/2018, Rv. 646807 – 01).
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c. per motivazione perplessa, per manifesta e irriducibile contraddittorietà della stessa se rapportata alla sentenza della Cassazione n. 7511 del 2016 citata nella stessa sentenza impugnata.
Evidenzia che il precedente di legittimità risulta pronunciato rispetto ad atti impositivi divenuti definitivi, laddove nel caso di specie il provvedimento di accertamento non era definitivo, risultando pendente altro giudizio davanti alla Corte di Cassazione.
4. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta in via subordinata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione di norme di diritto in relazione alla sentenza della Cassazione n. 7511 del 2016, riprendendo sostanzialmente le ragioni già espresse nel terzo motivo.
5. I motivi non sono fondati e, stante la loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente.
Ritiene il Collegio del tutto condivisibile l’orientamento di legittimità secondo cui in tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela o, comunque, il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa (Cass. n. 7511/2016, Rv. 639628 – 01, nello stesso senso in materia di Iva, Cass. n. 22019/2014, Rv. 632768 – 01).
La conforme giurisprudenza successiva ha chiarito come l’autoannullamento parziale può presentare differenti cause giustificative, a seconda che esso integri la pura riduzione quantitativa dell’originario credito erariale (non importa se disposta d’ufficio ovvero su sollecitazione del contribuente la cui tesi difensiva sia in parte accolta), ovvero una riduzione non disgiunta dalla ripresa a tassazione di altri profili impositivi (ancorché di entità complessivamente inferiore a quella originariamente pretesa).
Nel primo caso, l’autoannullamento non comporta ‘nuova’ imposizione, bensì un semplice ridimensionamento unilaterale del credito tributario, così da ingenerare una situazione non dissimile da quella che si definisce, in ambito processuale, di mera riduzione del petitum (sempre ammissibile senza violazione del contraddittorio né dei divieti di mutatio e novità).
Nel secondo caso l’autoannullamento comporta ‘nuova’ imposizione (non importa se quantitativamente più contenuta rispetto a quella iniziale) mediante deduzione di presupposti e materie imponibili dapprima non rappresentati (per es., con ripresa a tassazione di altre voci e causali imponibili, non contemplate nel primo accertamento).
In tale evenienza non vi è dubbio che il contribuente debba essere posto in grado di contestare la nuova posizione assunta dall’ente impositore, mediante impugnazione dell’avviso di accertamento a tal fine notificatogli (Cass. n. 29595 del 16/11/2018, Rv. 651288 – 01).
Se è vero che i principi sopra riportati sono stati espressi in relazione a provvedimenti impositivi divenuti definitivi, da tali pronunce, derivano delle coordinate utili per la soluzione del caso di specie.
La ragione dell’articolata e del tutto condivisa soluzione interpretativa va rinvenuta nella necessità che il contribuente sia posto nelle condizioni di non subire lesioni dei propri interessi rispetto a pretesi crediti nuovi e nella superfluità di ulteriori azioni processuali, in nome della stabilità dei rapporti giuridici, nei casi in cui l’autoriduzione della pretesa tributaria non muti sostanzialmente il quadro delle ragioni sottese alle richieste impositive al contribuente già note.
Nel caso in esame l’amministrazione ha ridotto la pretesa impositiva da € 3.357,09 a €2.227,89, riducendo unilateralmente il preteso credito tributario.
È da escludere, sulla base di quanto prospettato dalle parti ed evincibile nella sentenza impugnata, che possa configurarsi una nuova imposizione nei termini sopra meglio chiariti.
L’originario provvedimento impositivo risulta, peraltro, pacificamente impugnato, ed effettivamente questo, pendente in sede di legittimità, viene deciso nella stessa udienza in cui è trattato presente procedimento.
È da escludere, quindi, una lesione degli interessi della ricorrente, in quanto gli elementi costitutivi della pretesa sono rimasti immutati, salvo una riduzione del quantum ed è, del pari da escludere una lesione dei suoi diritti di difesa in quanto l’impugnativa relativa all’originaria pretesa è ancora sub iudice e in quel procedimento, come correttamente ha evidenziato la sentenza impugnata, è stato acquisito fin dal primo grado anche l’ulteriore elemento del parziale annullamento della pretesa.
Restano, pertanto, in tale ipotesi salvaguardati, sia l’interesse della pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario, sia quello della ricorrente a negare la pretesa, in quanto il giudice di legittimità è chiamato oggi in un diverso procedimento a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale (in questo senso Cass. n. 18625 del 07/09/2020, Rv. 658662 – 01, Cass. n. 9521 del 2021).
Non ignora il Collegio una pronuncia più risalente di segno contrario, secondo cui è impugnabile, ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, l’annullamento parziale, adottato nell’esercizio del potere di autotutela, di un avviso impositivo già definitivo, trattandosi di un atto contenente la manifestazione di una compiuta e definitiva pretesa tributaria, rispetto a cui, pur se riduttivo dell’originaria pretesa, non può privarsi il contribuente della possibilità di difesa (Sez. 5, Sentenza n. 14243/2015, Rv. 635875 – 01).
Tenuto conto che si tratta di un’unica pronuncia, cui hanno fatto seguito diverse pronunce, anche successive, nel senso dell’inammissibilità dell’impugnazione dell’annullamento parziale adottato nell’esercizio del potere di autotutela, nei termini sopra esposti, deve ritenersi ormai superato quell’isolato orientamento.
6. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta in via subordinata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione di norme di diritto in relazione all’omesso riconoscimento dell’esenzione Ici come riconosciuto dalla sentenza di primo grado, nonostante fosse stata fornita la dimostrazione del fatto che l’abitazione principale si trovasse in via (…).
Il motivo è inammissibile, in quanto mira a sollecitare una nuova ricostruzione probatoria e in fatto, preclusa in questa sede.
Inoltre, una volta escluso dal giudice di merito il fatto dell’ubicazione dell’abitazione principale nell’immobile in questione, corretta è stata l’applicazione del regime giuridico di riferimento.
7. Con il sesto motivo si lamenta l’ingiustizia della condanna alle spese di lite liquidate in euro 500,00.
Il motivo è inammissibile, in quanto il suo accoglimento presuppone la cassazione della sentenza impugnata, ipotesi esclusa nella specie per tutte le ragioni sopra esposte.
8. Segue il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a pagare in favore del controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 750,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Commissione Tributaria Regionale per la Sardegna, sezione n. 4, sentenza n. 69 depositata il 24 febbraio 2020 - In tema di contenzioso tributario, l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 22445 depositata il 25 luglio 2023 - In tema di autotutela quando l'Amministrazione entra nel merito dell'istanza e dopo aver considerato i fatti e motivi prospettati dal richiedente si esprime in senso negativo,…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 11481 depositata l' 8 aprile 2022 - In tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 161 depositata il 3 gennaio 2024 - L'attribuzione al giudice tributario, da parte dell'art. 12, comma 2, della legge n. 448 del 2001, di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 maggio 2021, n. 12134 - In tema di contenzioso tributario, l'atto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 gennaio 2020, n. 2062 - In tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha natura tassativa, ma, in ragione dei principi…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…
- Nel giudizio civile con il gratuito patrocinio la
La Corte costituzionale con la sentenza n. 64 depositata il 19 aprile 2024, inte…
- Il titolare del trattamento dei dati personali é r
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-741/2021 depositat…