Corte di Cassazione sentenza n. 826 depositata il 16 gennaio 2018
FALLIMENTO – EFFETTI SUI RAPPORTI PREESISTENTI – VENDITA – CON RISERVA DI PROPRIETÀ – FALLIMENTO DEL COMPRATORE – FACOLTÀ SPETTANTI AL VENDITORE – AZIONE DI RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO DEL FALLITO IN IPOTESI DI AVVENUTO SUBENTRO DEL CURATORE NEL RAPPORTO NEGOZIALE – IMPROPONIBILITÀ – FONDAMENTO
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. Il Fallimento della SOCIETà IRREGOLARE TRA (OMISSIS) (FALLIMENTO) impugna la sentenza definitiva App. Catania 4.1.2012, n. 16, in R.G. n. 677/06 con cui e’ stato rigettato il gravame interposto dal medesimo avverso la sentenza Trib. Siracusa n. 432/2011, che aveva dichiarato risolta la compravendita con patto di riservato dominio già conclusa da uno dei soci falliti ( B.F.) e avente ad oggetto un fondo rustico, cosi’ ordinandone la restituzione alla attrice I. (ISTITUTO di SERVIZI per il MERCATO AGRICOLO) già incorporante la Cassa per la formazione della proprietà contadina (ISMEA); invero la decisione impugnata seguiva ad altra, resa con sentenza non definitiva n. 664/2011 e con la quale la stessa Corte revocava la propria sentenza n. 713/2005 che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello del curatore, per difetto di autorizzazione all’azione;
2. secondo la Corte: a) il primo giudice aveva pronunciato su un capo di domanda ritualmente introdotto da ISMEA, che aveva chiesto lo “stralcio” dell’immobile dall’attivo fallimentare, per morosità dell’acquirente (poi fallito), dunque con risoluzione di diritto, anche in ragione del difetto della condizione soggettiva di “coltivatore diretto” in capo all’acquirente, requisito ostativo al subentro del curatore; b) mancava inoltre, al predetto subentro, l’autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell’art. 73 l.f., posto che vi era agli atti solo autorizzazione al curatore a resistere alla domanda di restituzione; c) non sussisteva prova delle migliorie e addizioni apportate dal fallito al fondo, cio’ rendendo inutile la CTU richiesta, ne’ risultava una chiara domanda originaria di restituzione da I. delle rate riscosse fino al fallimento ovvero di ingiustificato arricchimento;
3. in sei motivi il fallimento si duole di: a) violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la corte asseverato l’erronea qualificazione della domanda di mero stralcio del bene-risoluzione del contratto in domanda di accertamento della proprietà, sovrapponendo una affermazione di morosità del fallito invece esclusa dal tribunale ed anzi ancorando la risoluzione ad un inadempimento di cui non era emersa la gravità e del quale era stata avanzata la domanda in via tardiva e contestata perche’ nuova, oltre che smentita dalle conclusioni; b) violazione dell’art. 73 l.f., essendo in realtà la curatela, costituendosi, subentrata anche di fatto nel contratto, ne’ avendo necessità di alcun requisito soggettivo per la conduzione del fondo; c) erronea reiezione della CTU sul valore di migliorie e addizioni, considerate le risultanze della CT di parte; d) omessa condanna alla restituzione delle rate riscosse dal venditore, conseguenza naturale della disposta restituzione; e) violazione della domanda di ingiustificato arricchimento, a fronte di 12 annualità pagate dal fallito e lavori effettuati sul fondo; f) errata pronuncia sulle spese della sentenza che aveva revocato la prima pronuncia d’appello di inammissibilità;
Ritenuto che:
4. i primi due motivi di ricorso sono fondati, con efficacia assorbente di ogni altro esame dell’impugnazione, dovendosi porre alla base del giudizio la regola, non ottemperata dal giudice di merito, per cui “nella vendita con riserva di proprietà in corso al momento della dichiarazione di fallimento del compratore, il venditore puo’ richiedere la restituzione della cosa nell’ipotesi di scioglimento del contratto, quando ancora il curatore non si sia avvalso della facoltà di subentrare nel rapporto negoziale, oppure puo’ proseguire l’azione di risoluzione già intrapresa nei confronti dell’acquirente successivamente fallito; non puo’, invece, dopo la dichiarazione di fallimento e ove il curatore si sia avvalso della facoltà di subentrare nel contratto in corso, chiedere la risoluzione dello stesso – ancorche’ fondata su clausola risolutiva espressa – per il pregresso inadempimento del fallito, perche’ il fallimento determina la destinazione del patrimonio di quest’ultimo al soddisfacimento paritario di tutti i creditori, con l’effetto che la pronunzia di risoluzione non puo’ produrre gli effetti restitutori e risarcitori suoi propri, i quali sarebbero lesivi della “par condicio”” (Cass. 21388/2013);
5. la domanda di ISMEA, invero, puo’ essere ricostruita siccome domanda di accertamento della proprietà dell’immobile ancora in capo alla Cassa, in virtu’ del mancato perfezionamento del regolamento contrattuale, che prevedeva, in quanto proprio di vendita con riserva della proprietà, la esattezza del pagamento delle 30 rate annuali e la continuità soggettiva della coltivazione diretta del fondo, cosi’ configurandosi risoluzione di diritto in difetto; in realtà, nonostante una non perspicua ricostruzione del fatto processuale già nella sentenza ora impugnata ed una parzialmente lacunosa narrativa degli atti di parte, in questa sede emerge che entrambi i giudici di merito hanno preso in considerazione la vendita con riserva della proprietà come vicenda unitaria, negando rilevanza giuridica ad una disamina separata dei comportamenti esecutivi, rispetto alle obbligazioni contrattuali, rispettivamente anteriori o successivi al fallimento;
6. quanto invero ai primi, il tribunale – già lo riporta espressamente la corte d’appello – ebbe a negare che vi fosse morosità del Bosco; si tratta di circostanza che, in un contesto per il quale e’ pacifico che prima del fallimento nessuna azione di risoluzione contrattuale era stata esercitata dalla Cassa, avvalora la possibile applicazione del citato istituto concorsuale, con le prerogative di subentro del curatore ex art. 73 l.f., a nulla rilevando l’inadempimento della massa dei creditori delle rate annuali, nemmeno se concretatosi nella misura di innesco della clausola risolutiva di diritto del contratto, inopponibile al fallimento; sul punto la sentenza e’ errata;
7. quanto invece ai secondi, viene in evidenza che anche invocare il difetto della condizione di coltivatore diretto del fondo in capo al soggetto subentrante nel contratto, cioe’ il curatore, ed alla stregua di pari causa di risoluzione (ratio decidendi della prima sentenza, assorbita per la seconda), e’ questione superata dalla intempestività dell’azione, promossa – come detto – solo dopo il fallimento e, in ogni caso, infondata, posta la specialità dell’art. 73 l.f. che permette e disciplina gli effetti del subentro del curatore nelle vendite con riserva della proprietà, senza che nemmeno sia stata allegata dal controricorrente – e la lacuna e’ speculare in sentenza – quale normativa diversa si dovesse imporre al momento del fallimento;
8. anche a volere seguire peraltro la trascrizione di precedenti di questa Corte, per come riportati in controricorso, ai sensi del D.L. 24 febbraio 1948, n. 114, art. 1 nel testo modificato dalla L. 11 dicembre 1952, n. 2362, art. 4 la perdita della qualità di coltivazione del fondo e’ stata considerata quale “cessazione volontaria della coltivazione diretta” (Cass. 7498/1996), evento dismissivo invece non proprio del fallimento, ne’ quanto alla condizione professionale del fallito ne’ quanto a quella del curatore; e d’altronde, il proposito di favor incrementativo della proprietà contadina, alla base dello scrupolo pubblicistico delle vendite di fondi a coltivatori diretti con patto di riservato dominio da parte della Cassa per la Formazione della Proprietà contadina, istituita con il D.L. 5 marzo 1948, n. 121, art. 9 ben va tutelato evitando abusi nella circolazione dei beni, non consona al loro sfruttamento agricolo, cioe’ alla “dedizione abituale della propria attività manuale alla lavorazione della terra”; ma il sopraggiunto fallimento del coltivatore-acquirente con riserva della proprietà e gli obblighi del curatore che subentri nel contratto, instaurano un coordinamento piu’ generale con il profilo proprietario, ove anche vulnerato nei requisiti d’acquisto negoziati, contemperando i diritti dei creditori nel frattempo sorti e che confidano anche su quel bene a garanzia, ai sensi degli artt. 42-51 l.f.;
9. applicandosi dunque un orientamento consolidato (Cass. 2261/2004) che conferisce alla prerogativa riservata al curatore la scelta se subentrare o meno nel contratto di cui all’art. 73 l.f., rilevante nel testo antevigente alla riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006, anche nella vicenda si osserva che nessuna causa ostativa poteva la corte addurre facendo leva sull’omessa autorizzazione del giudice delegato, del tutto ricompresa invece – dalla disamina dell’atto riportato – già nell’autorizzazione a resistere proprio alla domanda di restituzione del fondo; e in ogni caso va ricordato il principio generale, già operante per i rapporti pendenti ed estensibile alla fattispecie, per identità di ratio, per cui “l’esercizio da parte del curatore della facoltà di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi dell’art. 72 legge fall. (nel testo, vigente “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 5 del 2006), puo’ anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non amministrazione e dunque non ricorrendo la necessità dell’autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale del curatore. Ne consegue che, una volta manifestata da parte del curatore la volontà di subentrare nel contratto, viene meno la facoltà di scioglimento prevista dall’art. 72 legge fall., pertanto il promissario acquirente, cui quella dichiarazione sia stata rivolta, puo’ pretendere l’esecuzione del contratto stesso da parte della curatela, la quale subentra nelle obbligazioni del promittente venditore fallito” (Cass. 25876/2011, 787/2013);
10. l’assorbimento dei restanti motivi motiva dunque l’accoglimento dei primi due, con cassazione e rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, quanto ai primi due motivi, assorbiti i restanti, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.
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