Corte di Cassazione sentenza n. 8582 depositata il 6 aprile 2018
SOCIETA’ DI CAPITALI – CANCELLAZIONE VOLONTARIA – ESTINZIONE – EFFETTI – CREDITO SOCIALE SUB JUDICE – GIUDIZIO COLTIVATO DAL LIQUIDATORE ANTE ESTINZIONE – INTERESSE DEI SOCI ALL’ACCERTAMENTO DEL CREDITO DOPO LA CANCELLAZIONE – SUSSISTENZA – FONDAMENTO
FATTI DI CAUSA
La società C. srl, in qualità di obbligata principale, e i sig.ri C.A., Ar. e I.E., G.O. e L.V., in qualità di fideiussori, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, la Banca IntesaBci spa, al fine di ottenere, dichiarata la nullità di un contratto di conto corrente – in particolare della clausola di determinazione degli interessi e di quella che consentiva la capitalizzazione trimestrale dei medesimi – ed accertato il reale saldo contabile del predetto conto, la condanna della banca alla restituzione delle cambiali precedentemente sottoscritte dalla società e dai fideiussori, a causa di inesistenza di qualsivoglia posizione debitoria nei confronti della banca, ed al pagamento di quanto indebitamente riscosso. I fideiussori chiedevano dichiararsi nulle le fideiussioni prestate a favore della banca, per violazione della L. n. 154 del 1992. La I. spa, costituitasi in qualità di procuratrice e mandataria con rappresentanza di Banca IntesaBci spa, contestava le domande attoree e proponeva, a sua volta, domanda riconvenzionale, volta ad ottenere il pagamento in solido, dalla società e dai fideiussori, della somma di Euro 35.789,67, a titolo di saldo debitore del conto corrente, oltre ad interessi e spese di giudizio.
Il Tribunale di Catania respingeva le domande attoree, per carenza di prova sull’esistenza del credito vantato e validità delle fideiussioni, e, accolta la domanda riconvenzionale della banca convenuta, ritenendo che la determinazione del credito potesse essere compiuta sulla base di una presunto riconoscimento di debito che la società aveva effettuato con una scrittura privata, condannava la società ed i fideiussori al pagamento di Euro 21.691,00.
Avverso tale pronuncia, proponevano gravame, in via principale, a C. srl in liquidazione ed i fideiussori, chiedendone la riforma integrale, ed, in via incidentale, la Italfondiario spa; quest’ultima, premettendo la cessione alla C. Finance srl, di cui si dichiarava procuratrice, delle posizioni della Banca Intesa spa, chiedeva la condanna della società e dei fideiussori al pagamento di Euro 35.798,67, a fronte di quanto accertato dal gudice di primo grado. La Corte d’appello di Catania, sospesa la provvisoria esecuzione della sentenza impugnata ed espletata consulenza tecnico-contabile, con sentenza non definitiva, rigettava l’appello incidentale di Italfondiario spa ed, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarata la nullità delle clausole relative alla determinazione degli interessi in misura extralegale ed alla capitalizzazione trimestrale, condannava l’appellata Italfondiario alla restituzione di due vaglia cambiari, emessi contestualmente alla stipula della scrittura privata, disponendo i rinnovo della espletata consulenza tecnico contabile.
Nelle more del giudizio d’appello, la Italfondiario rilevava che la società appellante era “cessata” e che la causa non poteva proseguire nei confronti dei fideiussori, i quali non avevano dimostrato di avere pagato in nome e per conto della debitrice principale. Con comparsa di costituzione volontaria, intervenivano in giudizio i sig.ri Cu.Ar., A., I.E., G. G. e L.V., quali ex soci della C. srl, deducendo che quest’ultima era stata cancellata d’ufficio, ex art. 2490 c.c., nel 2010, dal Registro delle Imprese e che, per effetto della intervenuta estinzione della società, i singoli soci erano legittimati a succedere, in ragione delle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale, nei diritti della predetta società estinta. L’appellata Italfondiario spa chiedeva l’interruzione del giudizio, ai sensi dell’art. 299 c.p.c., per effetto dell’intervenuta perdita della capacità ad agire della C. srl, non potendo la causa proseguire nei confronti degli ex soci, privi di legittimazione processuale e sostanziale.
La Corte d’appello, con ordinanza del 2013, ritenuto validamente costituito il contraddittorio, respingeva la richiesta di interruzione del processo, essendo i legittimi contraddittori tutti presenti in causa, da un lato, la Banca creditrice/debitrice, appellante incidentale ed appellata, e, dall’altro lato, gli ex soci, appellanti principali ed appellati, legittimati a succedere nelle posizioni debitorie, nei limiti della responsabilità della società di capitali prescelta, e nei diritti di credito, ancora sub judice.
La stessa Corte d’appello, con sentenza n. 1323 del 2014, in totale riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva il gravame proposto da C. s.r.l. e proseguito dai suoi soci, contro Italfondiario s.p.a, condannando quest’ultima al pagamento, di Euro 33.776,54 a titolo di ripetizione di quanto indebitamente corrisposto dalla società a Banca Intesa s.p.a., per interessi ultralegali ed anatocistici, maturati sul conto corrente intrattenuto dalla società medesima presso la banca.
Avverso tale pronuncia, Italfondiario s.p.a propone ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo. Gli ex soci della C. srl resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 2495 c.c., per avere i giudici della Corte d’appello di Catania riconosciuto, in capo ai singoli soci, il diritto di proseguire il giudizio e di usufruire dei relativi sviluppi, in assoluta carenza di interesse ad agire in capo ai medesimi, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., poiche’ le mere pretese ed i diritti di credito non ancora liquidi costituiscono situazioni giuridiche non trasmissibili, in ipotesi di cancellazione della società dal R.I., ai soci, qualora il liquidatore non abbia esercitato o coltivato un’apposita azione giudiziaria, senza inserire tale pretesa creditoria nel bilancio di liquidazione, dovendosi interpretare tale comportamento come una rinuncia implicita al credito in contestazione.
2. Il motivo non e’ fondato. Le Sezioni Unite, nelle sentenze nn. 6070/13, 6071/13 e 6072/13, hanno precisato che, a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese (e la disposizione non puo’, secondo la Corte, non essere estesa anche alle società di persone, determinandosi, dall’entrata in vigore della Novella del 2003, l’estinzione della società di capitali e la presunzione di estinzione della società di persone, salva prova contraria), viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – il che sacrificherebbe ingiustamente i diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, quali, quanto ai debiti sociali, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate, mentre, quanto alle sopravvenienze attive, si determina un acquisto in comunione tra i soci de; diritti e beni non compresi nel bilancio finale di liquidazione, escluse le mere pretese e le ragioni creditorie incerte, la cui mancata liquidazione manifesta rinuncia (”a) l’obbligazione della società – “il medesimo debito che faceva capo alla società” – non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorche’ azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una piu’ rapida conclusione del procedimento estintivo”). In sostanza, laddove l’evento estintivo si verifichi nel corso del giudizio di merito, i soci, successori della società, subentrano nella legittimazione processuale facente capo all’ente (Cass., S.U., n. 6070/2013) – la cui estinzione e’ equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. – in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, in quanto la morte di una parte, nel corso del giudizio di primo grado, determina la trasmissione della sua legittimazione processuale, attiva e passiva, agli eredi, litisconsorti necessari per ragioni processuali, sicche’ in fase di appello deve essere ordinata d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti di ciascuno di essi.
Vero che, con riguardo ad ipotesi di cancellazione volontaria di una società dal registro delle imprese, effettuata in pendenza di un giudizio risarcitorio introdotto dalla società medesima, questa Corte ha, piu’ volte, avuto modo di affermare che deve presumersi che la società “abbia tacitamente rinunciato alla pretesa relativa al credito, ancorche’ incerto ed illiquido, per la cui determinazione il liquidatore non si sia attivato, preferendo concludere il procedimento estintivo della società; tale presunzione comporta che non si determini alcun fenomeno successorio nella pretesa “sub iudice”, sicche’ i soci della società estinta non sono legittimati ad impugnare la sentenza d’appello che abbia rigettato questa pretesa”(Cass. nn. 23269/2016, 15782/2016, 25974/2015, 21517/2015).
Tuttavia, nella specie, va considerato, da un lato, che il liquidatore della società aveva coltivato l’azione giudiziaria volta a sentire accertare la pretesa creditoria vantata nei confronti della banca (ponendo dunque in essere proprio quella “attività ulteriore da parte del liquidatore” menzionata dalle Sezioni unite del 2013) e, dall’altro lato, che si verte in ipotesi non di cancellazione volontaria della società, ma di cancellazione d’ufficio, ai sensi dell’art. 2490 c.c., u.c., per mancata presentazione per oltre tre anni consecutivi del bilancio annuale, in fase di liquidazione. Non emergeva pertanto una inequivoca volontà abdicativa della società, non avendo la stessa posto in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quella azione, facendo cosi’ venir meno l’oggetto stesso di una trasmissione successoria ai soci (cfr. Cass: S.U. 6070 e 6072/2013; Cass. 16758/2010 e Cass. 23269/2016; Cass. 21517/2016, ove, in fattispecie simile alla presente, si e’ affermato che “la estinzione di una società determinata dall’avvenuta sua cancellazione dal registro delle imprese per omesso deposito del bilancio per oltre tre anni consecutivi, non determina il venir meno dell’interesse alla decisione di un giudizio risarcitorio, pendente, intrapreso dal suo liquidatore: cio’ sia per la difficoltà di distinguere, in assenza del bilancio di liquidazione, tra i diritti in cui siano succeduti i soci, ove all’estinzione societaria non sia seguito il venir meno di tutti i rapporti giuridici facenti capo all’ente estinto, e quelli destinati all’estinzione; sia, soprattutto, perche’ l’instaurazione e la prosecuzione di quel giudizio da parte del liquidatore non consentono di ritenere che la società avesse rinunciato alla pretesa ivi azionata”).
3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonche’ rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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