Corte di Cassazione sentenza n. 8808 depositata il 10 aprile 2018
Fatti di causa
Con atto di citazione notificato in data 10 maggio 2004, la Fondazione Culturale AA evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Sassari sez staccata di Alghero, SA, esponendo di essere proprietaria degli appartamenti posti al piano terra, al primo ed al secondo piano del fabbricato, sito nell’abitato del Comune di Alghero, alla via Cavour n.27, distinti in catasto al foglio 97, mappali 468 sub 1, 468 sub 2- 466, 468 sub 3; che SA, proprietario dell’appartamento posto al secondo e terzo piano dello stesso immobile, aveva, abusivamente e senza il consenso di essa attrice, incorporato al proprio appartamento una rampa delle scale condominiali ed un pianerottolo, variato la struttura del tetto dell’edificio, destinato, a suo uso esclusivo, la soffitta condominiale e rimpicciolito il lucernario sovrastante la scala condominiale. Tanto premesso, chiedeva che venisse accertato, non avere, il convenuto, il diritto a mantenere le opere edilizie sopra indicate, con conseguente condanna del medesimo al ripristino dello stato dei luoghi, ovvero, in via subordinata, che il convenuto venisse condannato a corrispondere ad essa attrice una somma corrispondente al valore dell’immobile arbitrariamente occupato ed al risarcimento dei danni.
Si costituiva SA, eccependo che l’incorporazione della rampa di scale e del pianerottolo era, in realtà, avvenuta in epoca anteriore al proprio acquisto, perfezionatosi nel 1981 e, chiedendo in via riconvenzionale, che venisse accertato l’intervenuto acquisto per usucapione delle porzioni di immobile in contestazione; in ordine alla destinazione ad uso esclusivo della soffitta, rilevava come tale area, costituente in realtà un mero sottotetto, costituiva pertinenza del suo appartamento ed era pertanto di sua esclusiva proprietà; contestava, ancora, che fosse stato realizzato un rimpicciolimento del lucernario.” Il Tribunale di Sassari, sez staccata di Alghero, con la sentenza n.9/2009, accoglieva la domanda riconvenzionale di usucapione del SA, rigettando quelle dell’attrice, condannata, anche, alla rifusione delle spese processuali.
In particolare, secondo il Tribunale, l’esito della prova testimoniale dedotta dal convenuto aveva consentito di acclarare che lo stato dei luoghi- che aveva comportato l’impossessamento in via esclusiva del pianerottolo e di una rampa di scale, inglobati all’interno dell’appartamento del convenuto – era stato mutato quanto meno dal 1980/1981, mentre la prova dedotta dall’attrice non era rilevante, in quanto aveva riguardato lavori esterni effettuati successivamente al predetto periodo. Riguardo alla soffitta condominiale, i testi avevano precisato che si trattava di un semplice sottotetto, con funzione di isolamento e protezione dell’appartamento dell’ultimo piano, e, come tale, da considerare pertinenza di quest’ultimo.
Con la conseguenza che la sua modificazione rientrava nell’ambito dei poteri spettanti al proprietario. Avverso tale sentenza ha proposto appello la fondazione cui ha resistito, con memoria, il SA.
La Corte di Appello di Cagliari, sez. staccata di Sassari con sentenza n. 155 del 2014 accoglieva parzialmente l’appello e, per l’effetto, rigettava la domanda di usucapione proposta dal SA e lo condannava alla remissione in pristino stato del pianerottolo e della rampa di scala di accesso al piano di sua proprietà, compensava tra le parti le spese dei due gradi del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, SA non avrebbe dimostrato un possesso ventennale utile per usucapire la proprietà del bene di cui si dice. A sua volta, la Corte distrettuale ha confermato la sentenza di rigetto del riconoscimento della natura condominiale del sottotetto, posto che il condominio non ha dimostrato che l’area in questione fosse accessibile.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da SA con ricorso affidato a due motivi, illustrati con memoria. AA Fondazione Culturale ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1.= Con il primo motivo di ricorso SA lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo non controverso, ma reso oggetto di discussione tra le parti. Art. 360 n. 5 in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ed in violazione all’art. 111 comma 6 della Costituzione. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale non avrebbe preso atto che SA ha provato i fatti posti a fondamento del suo diritto e, cioè, l’inglobamento del vano scala di accesso, esclusivamente al suo appartamento in epoca anteriore al 1980. Così risulterebbe dalla dichiarazione del testimone Auneddu che nel 1980, nell’accertare lo stato di agibilità del solaio, in tale occasione, constatava che l’ultima rampe di scala chiusa da una porta si trovava all’interno dell’appartamento ora del Sala. La Corte distrettuale avrebbe dedotto in modo difforme dal dato istruttorio, basando la sua valutazione su una presupposizione strutturata su di un apodittico categoriale: se la ristrutturazione dell’immobile è stata realizzata nel 1984, il teste non poteva riferire sullo stato dei luoghi, se non collocandola in quella data.
1.1.= Il motivo è inammissibile.
Come insegnano le Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione (Cass. n. 8053 del 07/04/2014) l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato, comunque, preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Ora, nel caso concreto, il ricorrente non ha prospettato un omesso esame di un fatto decisivo, ma, tutt’al più, l’omessa considerazione delle risultanze della prova testimoniale. Epperò, non solo la Corte distrettuale non ha omesso di considerare le risultanze della prova testimoniale dei testi Auneddu e Cidda, ma, al contrario ha interpretato quelle risultanze in modo diverso da quanto sollecitato, o ritenuto, dalla parte ricorrente, ma, soprattutto, una diversa interpretazione, di uno, o dei dati processuali, nel caso in esame delle risultanze della prova testimoniale di Auneddu, non integra gli estremi di un omesso esame di un fatto o di una prova decisiva del giudizio, denunciabile nel giudizio di cassazione.
1.2. = Senza dire che il ragionamento della Corte distrettuale che ha comportato l’esclusione della prova di un possesso ventennale, affonda le sue radici, proprio sulla prova testimoniale di Auneddu. Infatti, come afferma la sentenza impugnata “(….) pertanto, i capitoli di prova dedotti dall’appellato – in quanto relativi ai lavori effettuati dal medesimo – non possono che riguardare lavori ed interventi successivi all’inglobamento del pianerottolo e della rampa di scale che consentiva l’accesso al piano di proprietà attuale del SA. Dal che discende che la deposizione del teste Auneddu – intervenuto per conto del Comune di Alghero – non può che riferirsi agli anni 1984/1985, allorquando il SA ha deciso di trasformare il “sottotetto/soffitta” in mansarda: e poiché l’atto di citazione è notificato nel 1984, è agevole rilevare che la sua deposizione non consente di ritenere provato il possesso ventennale utile ai fini dell’usucapione. Stesso discorso deve essere fatto per il teste Cidda, muratore, chiamato a fare i lavori all’interno dell’appartamento del SA: lavori che, per quanto detto sopra, non possono che essere quelli oggetto del nulla osta per la sostituzione del solaio, svoltisi successivamente al settembre 1984. Con la conseguenza che, essendo inverosimile il suo sopralluogo nel 1980 – dunque, prima ancora che il SA sia divenuto proprietario dell’immobile in questione deve ritenersi che esso sia avvenuto in epoca prossima al predetto mese di settembre 1984. Complessivamente, dunque, l’appellato non ha dimostrato l’esecuzione dei lavori in epoca antecedente al 1984, né, prima ancora, ha dimostrato l’esecuzione dei lavori da parte della propria dante causa (….)”.
2.= Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza art. 360 n. 4 in relazione agli artt. 132 cod. proc. civ. e 111 comma 6 della Costituzione. Secondo il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica incoerente e, soprattutto, avulsa dalle risultanze di causa. In particolare, sempre secondo il ricorrente, la Corte avrebbe disatteso le affermazioni congiunte ben collocate nel tempo e nello spazio dei testi che distinguono il periodo del sopralluogo effettuato nel 1980/1981 per verificare lo stato del solaio, da quello dell’esecuzione dei lavori a seguito di un iter concessorio nel 1984.
2.1.= Anche questo motivo è inammissibile.
Va qui premesso che l’omessa pronunzia si sostanzia nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manca completamente, perfino, di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, indispensabile alla soluzione del caso concreto. A sua volta il vizio motivazionale previsto dal nuovo testo del n. 5) dell’art.360 c.p.c. presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla “totale pretermissione” di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto I ‘aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza della motivazione”. Ora, la sentenza impugnata, ictu oculi, non presenta il difetto denunciato perché indica le ragioni poste a fondamento della decisione e tali ragioni sono, non solo comprensibili, ma anche, condivisibili. Infatti, tenuto conto di quanto ciò detto, esaminando il primo motivo di ricorso ed, in particolare, tenuto conto delle affermazioni della Corte distrettuale già in precedenza riportate, la sentenza impugnata appare del tutto coerente con le risultanze processuali, sia con le deposizioni dei testi e sia con la documentazione prodotta in atti. Piuttosto, a fronte della conclusione cui è pervenuta la Corte secondo cui “(….) complessivamente, dunque, l’appellato non ha dimostrato l’esecuzione dei lavori in epoca antecedente al 1984, né, prima ancora, ha dimostrato l’esecuzione dei lavori da parte della propria dante causa (….)”, parte ricorrente si limita a contrapporre proprie valutazioni, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, né può il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perché la valutazione delle accertate circostanze di fatto, come operata dal giudice di secondo grado, non collima con le proprie aspettative e confutazioni. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., condannato a rimborsare a parte controricorrente, le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in C. 3.200,00, di cui C. 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % del compenso ed accessori come per legge; dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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