Corte di Cassazione sentenza n. 9127 depositata il 12 aprile 2018
Legittimo il licenziamento per incrementare la redditività aziendale
Fatti di causa
1. Con ricorso al Tribunale di Chieti ex lege n. 92 del 2012 PP impugnò il licenziamento a lui intimato in data 29 ottobre 2013 dalla F.lli DCF Spa per giustificato motivo oggettivo, affinché ne venisse dichiarata “la nullità e/o inesistenza e/o inefficacia e/o invalidità”.
Nel contraddittorio con la società convenuta il Tribunale adito, con ordinanza, accolse il ricorso limitatamente al motivo inerente l’omesso espletamento della procedura di conciliazione prevista dall’art. 7 della l. n. 604 del 1966, così come novellato dalla l. n. 92 del 2012, condannando la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto che quantificava in euro 4.094,88 ciascuna. In seguito ad opposizione del PP, il medesimo Tribunale riformava l’ordinanza esclusivamente in punto di quantificazione della retribuzione globale di fatto mensile che rideterminava in euro 4.824,02, confermando per il resto le precedenti statuizioni. Interposto reclamo in via principale dal PP ed in via incidentale dalla De Cecco, la Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza del 18 settembre 2015, in parziale modifica della sentenza impugnata, per il resto confermata, ha dichiarato il diritto di PP al pagamento dell’indennità risarcitoria pari a 18 mensilità della retribuzione globale di fatto, quantificata in complessivi euro 86,832,36, da cui andavano detratti euro 48.598,56 già versati dalla società, per un residuo ancora dovuto pari ad euro 38.233,80, oltre accessori; ha respinto l’impugnazione incidentale della società in relazione alla quantificazione della retribuzione globale di fatto dovuta; ha compensato le spese del grado. In estrema sintesi, la Corte territoriale, disattesi i motivi del reclamo principale circa la nullità del licenziamento per ritorsività e discriminatorietà del medesimo ovvero per inesistenza e carenza di specificità della motivazione, pur ritenendo sussistente l’effettività della soppressione della posizione organizzativa rivestita dal PP e l’affidamento di parte delle mansioni al direttore della divisione export, ha considerato che le “situazioni sfavorevoli” dedotte dalla società, pur esistenti, “non risultavano tali da influire in modo decisivo sulla normale attività, produttiva del settore di inquadramento”, per cui il licenziamento era illegittimo con conseguente risoluzione del rapporto di lavoro e riconoscimento della tutela indennitaria cd. “forte” prevista dai commi 7 e 5 dell’art. 18 l. n. 300 del 1970 novellato. 2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso principale PP con 11 motivi.
Ha resistito con controricorso la F.lli DCF Spa, contenente ricorso incidentale affidato a 2 motivi, illustrati poi da memoria ex art. 378 c.p.c..
Ad esso ha resistito con proprio controricorso il lavoratore.
Ragioni della decisione
1. I motivi del ricorso principale del PP possono essere come di seguito sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia violazione e/o erronea e/o falsa applicazione di norme di diritto per non avere la Corte di Appello ravvisato nel licenziamento impugnato la sussistenza di motivi illeciti di tipo discriminatorio e/o ritorsivi determinanti il recesso, con conseguente nullità del medesimo, anche tenendo conto delle “conversazioni fonoregistrate”.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18 della l. n. 300 del 1970 e 2 della l. n. 604 del 1966 per non avere la sentenza impugnata ritenuto “la nullità del licenziamento per inesistenza della motivazione”; in subordine si sostiene che la tutela indennitaria per detto vizio andrebbe cumulata con quella derivante dall’omissione della procedura ex art. 7 l. n. 604 del 1966.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 della l. n. 604 del 1966 e 1175 e 1375 c.c. per violazione del principio di immodificabilità della contestazione e di inutilizzabilità dei motivi aggiunti esposti in sede giudiziale, con conseguente mancanza di prova delle ragioni e dei fatti determinanti il licenziamento e con diritto al “rimedio reintegratorio” per il quale “si insiste”.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18 della l. n. 300 del 1970 e 2 della l. n. 604 del 1966 per non avere la sentenza impugnata ritenuto la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, con conseguente diritto del lavoratore al rimedio reintegratorio.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 della l. n. 300 del 1970 e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la sentenza impugnata “determinato la retribuzione globale di fatto escludendo da essa tutti gli emolumenti che il lavoratore avrebbe maturato od avrebbe potuto avere l’effettiva chance di maturare se il rapporto fosse proseguito anziché illegittimamente interrotto”, con errata valutazione di “tutta la documentazione necessaria per la sua verifica e individuazione”.
Con il sesto mezzo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e per omessa pronuncia su motivo di impugnazione riguardante l’illegittimità del licenziamento per violazione dei criteri di selezione, indicati dall’art. 5 della l. n.223 del 1991 e dagli artt. 1175 e 1375 c.c..
In subordine, qualora venisse ritenuta sussistente una pronuncia implicita sul punto, con il settimo motivo si denuncia omissione di pronuncia ed assenza di motivazione costituzionalmente rilevante con riguardo ad un capo di sentenza specificamente impugnato.
Con l’ottavo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art.112 c.p.c. per omessa pronuncia su motivo di impugnazione riguardante l’illegittimità del licenziamento per violazione dell’obbligo di repechage. In subordine, qualora venisse ritenuta sussistente una pronuncia implicita sul punto, con il nono motivo si denuncia omissione di pronuncia ed assenza di motivazione costituzionalmente rilevante con riguardo ad un capo di sentenza specificamente impugnato.
Il decimo motivo denuncia violazione di legge con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c. nonché 3 e 24 Cost. per errata compensazione delle spese della fase del giudizio. L’undicesimo mezzo denuncia, sempre riguardo le spese, vizio di motivazione costituzionalmente rilevante con riguardo ai motivi determinanti l’affermata soccombenza reciproca.
2. Quanto al ricorso incidentale della società, con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza o del procedimento per omessa pronuncia “su di una specifica domanda della De Cecco”, nonché “violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966”. Si lamenta che la Corte di Appello non avrebbe preso minimamente in considerazione talune argomentazioni spese nell’appello della società, in particolare che “era stato dimostrato che – per responsabilità del PP – non si era verificata la condizione a cui era subordinata la sua assunzione (ottenere un visto permanente per il Brasile e trasferirsi in tale paese per aprire un ufficio di rappresentanza)”.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 604 del 1966 per avere la Corte territoriale ritenuto illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, pur considerando sussistente, così come i giudici di prime cure, l’effettività della soppressione della posizione organizzativa rivestita dal PP e l’affidamento di parte delle mansioni al direttore della divisione export e nonostante la società avesse pure dato prova di una grave crisi finanziaria di carattere permanente e non episodica che coinvolgeva l’intera azienda.
3. I motivi dei ricorsi vanno esaminati secondo l’ordine logico-giuridico delle questioni. Il primo mezzo dell’impugnazione principale del lavoratore è inammissibile in quanto, ad onta del richiamo solo formale al vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., in realtà si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto insussistente il motivo illecito, discriminatorio o ritorsivo, a fondamento del licenziamento, invocando una rinnovata valutazione di elementi probatori chiaramente preclusa in sede di legittimità.
Infatti il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte, non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007).
Sicché il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.
Nel primo motivo del ricorso principale, nonostante l’invocazione solo formale di “violazione e/o erronea e/o falsa applicazione della legge”, nella sostanza la censura investe il convincimento in fatto espresso dai giudici del merito in ordine alla ritenuta insussistenza di un motivo di nullità del recesso datoriale; tale accertamento non è suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità perché prospettato attraverso un rinnovato apprezzamento del merito ben oltre i limiti imposti dall’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., novellato, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.
4. Il secondo e terzo motivo del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente per reciproca connessione in quanto, al fine di ottenere la tutela reintegratoria, riguardano la motivazione dell’impugnato licenziamento, sono infondati. Innanzi tutto, così come, ad esempio, spetta al giudice del merito verificare – con accertamento di fatto non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistito da idonea motivazione – l’adeguatezza e la sufficienza della originaria comunicazione di avvio della procedura di mobilità prevista dall’art. 4, co. 3, l. n. 223 del 1991, (ex aliis, Cass. n. 15479 del 2007; Cass. n. 8971 del 2014; Cass.n. 7940 del 2015), resta parimenti fermo l’apprezzamento di competenza esclusiva del giudice di merito circa la completezza o meno della motivazione del licenziamento, apprezzamento sottratto al sindacato di questa Corte, come ogni accertamento di fatto, laddove non sia censurato e riscontrato il vizio previsto dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente. Inoltre, ai sensi dell’art. 18, co. 6, l. n. 300/70 novellato, la “violazione del requisito di motivazione di cui all’art. 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni” attribuisce al lavoratore il diritto ad una indennità risarcitoria tra 6 e 12 mensilità e non certo la reintegrazione nel posto di lavoro come richiesto dal PP (cfr., ad ex., quale ipotesi di vizio di forma attinente alla motivazione del recesso, giustificante la tutela indennitaria cd. “debole”, quella della contestazione disciplinare che non contenga una sufficiente e specifica descrizione della condotta tenuta dal lavoratore, in Cass. n. 16896 del 2016). Quanto alla richiesta subordinata, formulata nel secondo motivo di ricorso principale, di cumulare la tutela indennitaria per l’asserito vizio di motivazione del licenziamento con quella conseguente all’omissione della procedura ex art. 7 l. n. 604/1966 già riconosciuta, essa è istanza inammissibile perché presuppone l’esistenza di un vizio formale ex art. 2, co. 2, l. n. 604/1996 che è invece stato disconosciuto dai giudici del merito, con statuizione che ha superato il vaglio di legittimità.
5. Inammissibile in limine litis è pure il quinto motivo del ricorso principale con cui, ancora una volta sotto l’involucro solo formale della violazione e falsa applicazione di legge, anche attraverso l’improprio riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. (v. Cass. n. 13960 del 2014; Cass. n. 25192 del 2016), in realtà si contesta la determinazione dell’ammontare della retribuzione globale di fatto – spettante al PP anche per quantificare l’indennità dovuta per la violazione rappresentata dall’omesso espletamento della procedura di conciliazione – che è un accertamento di merito non sindacabile in questa di fuori dei limiti imposti dal novellato art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c., mediante un mezzo di gravame che trascura del tutto, anche attraverso il richiamo a documentazione depositata nel corso del giudizio di cui non si riporta neanche il contenuto, i precetti imposti da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 già citate. 6. A questo punto occorre esaminare il ricorso incidentale, avente ad oggetto quella parte della sentenza d’appello che ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed ha condannato la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 18 mesi della retribuzione globale di fatto e, quindi, alla corresponsione della somma residua di euro 38.233,80, oltre accessori, avendo la De Cecco già provveduto al versamento di 12 mensilità quale sanzione per il mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione prima del recesso.
Inammissibile è il primo mezzo di gravame in considerazione del suo carattere di novità, visto che, secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004). Nel caso non viene specificato in qual modo la questione del mancato verificarsi della condizione cui sarebbe stata subordinata l’assunzione del PP sia stata introdotta nell’ambito del processo di primo grado, non riportandosi il contenuto degli atti processuali introduttivi dai quali evincere che detta questione era stata posta, e, comunque, non realizzandosi certo la violazione dell’art. 112 c.p.c. sol perché la Corte territoriale non avrebbe confutato tutte le argomentazioni spese dalla società.
7. Il Collegio reputa, invece, meriti accoglimento il secondo motivo del ricorso incidentale, con cui si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 604/1966” per avere la Corte territoriale negato la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. I giudici d’appello hanno convenuto con “quanto già affermato dal Tribunale di Chieti, sia nella fase sommaria che nella sentenza impugnata, circa l’effettività della soppressione della posizione organizzativa rivestita dal PP e l’affidamento di parte delle mansioni al direttore della divisione export Enrico Iannone … non si è infatti trattato della semplice modifica di modalità operative delle attività di vendita, ma della eliminazione di una posizione organizzativa stabilmente ubicata all’estero”.
Tuttavia, secondo la Corte abruzzese, la società, “che ne era onerata”, non avrebbe fornito “adeguata prova che la ristrutturazione organizzativa attuata era diretta a fronteggiare ” <situazioni sfavorevoli non contingenti che influiscano decisamente sulla normale attività produttiva imponendo una effettiva necessità di riduzione dei costi.>
Considerando che “le dedotte situazioni sfavorevoli, pur esistenti, non risultavano tali da influire in modo decisivo sulla normale attività produttiva del settore di inquadramento”, la Corte distrettuale ha concluso: “il licenziamento del PP è pertanto illegittimo”.
Orbene l’assunto non può essere condiviso alla stregua della più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 25201 del 7 dicembre 2016) che ha statuito: “ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare”, sì da assurgere “a requisito di legittimità intrinseco” al recesso “ai fini dell’integrazione della fattispecie astratta”, escludendo così che la tipologia di licenziamento in discorso possa dirsi giustificata solo in <situazioni sfavorevoli non contingenti che influiscano decisamente sulla normale attività produttiva imponendo una effettiva necessità di riduzione dei costi> come richiesto dalla giurisprudenza richiamata dalla Corte Aquilana (al principio di diritto è stata data continuità con numerose pronunce: v. Cass. nn. 4015, 9869, 10699, 13607, 13808, 14178, 14872, 14873, 18190, 19655 del 2017).
E’ piuttosto “sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro” causalmente “determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa”.
In ogni caso – secondo questa Corte – tra le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro “non possono essere aprioristicamente o pregiudizialmente escluse quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero anche quelle dirette ad un incremento della redditività d’impresa”, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro “sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità”, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost..
Pertanto la sentenza impugnata che, in mancanza di prova da parte del datore di lavoro dell’esigenza di fare fronte a sfavorevoli situazioni economiche che imponessero la riduzione dei costi, ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento, nonostante “l’effettività della soppressione della posizione organizzativa rivestita dal PP e l’affidamento di parte delle mansioni al direttore della divisione export Enrico Iannone”, è errata in iudicando e deve essere cassata in accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale, con rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito con il principio di diritto innanzi richiamato.
8. In conseguenza di tale accoglimento restano assorbiti: il quarto motivo del ricorso principale, che attiene alla tutela applicabile e presuppone il difetto di giustificato motivo oggettivo del recesso invece ancora sub iudice; il sesto, settimo, ottavo, nono motivo del medesimo ricorso in quanto relativi ad ulteriori profili di illegittimità del licenziamento non esaminati dalla Corte territoriale e che potranno essere delibati in sede di rinvio nei limiti in cui siano stati fatti valere con l’originario reclamo del lavoratore; il decimo e l’undicesimo mezzo dell’impugnazione principale in quanto il governo finale delle spese è demandato alla Corte del rinvio all’esito del giudizio ad essa affidato.
9. Conclusivamente devono essere respinti il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo del ricorso principale; dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale, va accolto il secondo mezzo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello di L’Aquila in diversa composizione; gli altri motivi del ricorso principale restano assorbiti.
Occorre dare atto della sussistenza per il PP, stante il mancato accoglimento del suo ricorso, dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo, secondo, terzo e quinto motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di L’Aquila in diversa composizione. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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