Corte di Cassazione sentenza n. 9637 depositata il 13 aprile 2017
sanzioni fiscali – soci accomandanti
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., delibera di procedere con motivazione sintetica ed osserva quanto segue.
P.A. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione della contribuente avverso quattro avvisi di accertamento per gli anni 2002 – 2005, relativi all’IRPEF.
Nella decisione impugnata, la CTR ha affermato che dall’esame della documentazione risultava come l’accertamento nei confronti della TCR s.r.l. fosse stato notificato anche alla P., sicchè ella avrebbe potuto far valere il vizio di omessa allegazione del PVC già in sede di impugnazione dell’accertamento della società. Sarebbe stata inoltre applicabile nei suoi confronti la sanzione di infedele dichiarazione.
Col primo, si lamenta violazione dell’art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, della L. n. 241 del 1990, art. 3 comma 1 e L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1; omessa, contraddittoria e lacunosa motivazione su un punto determinante della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5.
La sentenza impugnata avrebbe ritenuto tardivo il rilievo sulla mancata allegazione del PVC, perchè sollevato nei motivi aggiunti. In realtà, la facoltà del contribuente sarebbe rimasta invariata per tutto il primo grado, nè sarebbe stato ipotizzabile un allargamento del thema decidendum..
Col secondo, si deduce violazione degli artt. 2291 e 2313 c.c., nonchè violazione del D.Lgs n. 472 del 1997, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La responsabilità del singolo socio per violazioni amministrative non potrebbe discendere dalla mera qualità di socio ed identificarsi in essa.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Il primo motivo non merita accoglimento.
Per altro verso, nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado. Ne consegue che il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso, il cui ambito può essere modificato solo con la presentazione di motivi aggiunti, ammissibile, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 24, esclusivamente in caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” (Sez. 5, n. 15051 del 02/07/2014; Sez. 5, n. 23326 del 15/10/2013).
Pertanto, va confermata l’inammissibilità della memoria integrativa dei motivi del ricorso, con cui era stato dedotto per la prima volta il vizio di nullità della notifica dell’atto impositivo già impugnato, giacchè, proprio in ragione dell’intervenuta impugnazione dell’atto notificato, il contribuente doveva necessariamente conoscerlo al momento della presentazione del ricorso introduttivo, mentre non era stata articolata alcuna prova per dimostrare la mancata o il diverso momento di conoscenza.
Il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone, ed imputato al socio ai fini dell’IRPEF, a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5, (poi sostituito dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5), in proporzione della relativa quota di partecipazione, comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 46, in quanto ai soci di società di persone è consentito il controllo dell’amministrazione sociale, e la verifica dell’effettivo ammontare degli utili conseguiti. La sanzione non viene quindi irrogata sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, consistendo la colpa, per i soci non amministratori, nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sullo svolgimento degli affari sociali e di consultazione dei documenti contabili, e del diritto ad ottenere il rendiconto dell’attività sociale, mentre la colpa, per i soci amministratori, deriva dai poteri di gestione, direzione e controllo dell’attività sociale (Sez. 5, n. 9221 del 21/04/2011; Sez. 5, n. 12177 del 26/05/2009).
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dell’Agenzia, nella misura indicata in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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