CORTE DI CASSAZIONE, sentenza penale, sentenza n. 18263 del 2 maggio 2019
Contratto di subappalto – Durc – Falsificazione – Delitto di falsità materiale in certificato amministrativo di cui agli artt. 477- 482 c.p.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa il 9.03.2017 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva dichiarato S.G. responsabile del reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen., per avere, quale rappresentante legale della E.S. s.a.s., contraffatto due certificati amministrativi denominati DURC, consegnandoli alla E. Costruzioni per ottenere indebitamente la commissione di lavori in subappalto.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di S.G., Avv. M.A., deducendo quattro motivi di ricorso.
2.1. Vizio di motivazione in ordine al motivo di appello concernente l’ordinanza pronunciata sulla prova dell’appartenenza del documento e dell’utenza fax all’imputato.
2.2. Violazione di legge in ordine alla natura di atto pubblico del DURC, documentazione proveniente da un ente privato, la Cassa Edile, la cui falsificazione sarebbe punibile solo ai sensi dell’art. 485 cod. pen.
2.3. Vizio di motivazione in ordine alla attribuibilità della condotta all’imputato, in quanto il DURC può essere predisposto anche da un commercialista.
2.4. Violazione di legge per l’omessa motivazione in ordine alla richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. .
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile
2. Il primo ed il terzo motivo, oltre ad essere generici, propongono doglianze di fatto concernenti la riferibilità all’imputato dei documenti e dell’utenza fax da cui sono stati trasmessi gli stessi, evidentemente non consentite in sede di legittimità.
Va, al riguardo, premesso che l’imputato, quale legale rappresentante della E.S. aveva stipulato due contratti di subappalto con la E. Costruzioni s.r.I., trasmettendo a mezzo fax i certificati attestanti la regolarità contributiva; certificati ideologicamente falsi, essendo la società gravata da pendenze contributive.
I giudici di merito hanno rigettato la richiesta di integrazione probatoria dell’imputato, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., di accertare l’intestatario dell’utenza telefonica da cui erano stati trasmessi i documenti, sul rilievo che l’asserita trasmissione all’insaputa del S. fosse oggetto di mera deduzione, sfornita di qualsivoglia riscontro, e che, comunque, l’imputato avesse attestato la regolarità contributiva della propria azienda con dichiarazione resa e sottoscritta in sede di stipula del contratto di subappalto, sul quale sono riportati i medesimi codici di iscrizione agli enti indicati sul DURC.
Il vizio di omessa motivazione dedotto con il ricorso in esame, dunque, non sussiste, avendo la Corte territoriale giustificato il rigetto della richiesta con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità.
Né, del resto, la doglianza può rilevare quale mancata assunzione di una prova decisiva, che può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, Fiaschetti, Rv. 269270).
Anche il terzo motivo, con il quale si sostiene che il DURC potrebbe essere stato redatto da un commercialista, è inammissibile, in quanto generico, essendo fondato su una deduzione meramente congetturale e priva di specificità, oltre che irrilevante, in quanto ciò che rileva, ai fini dell’affermazione di responsabilità, è che l’imputato, in qualità di legale rappresentante della società, abbia rilasciato attestazioni ideologicamente false.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Invero, il Documento Unico di Regolarità Contributiva è un certificato unico che attesta la regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi, nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente nei confronti di INPS, INAIL e Casse Edili, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento: le imprese inoltrano un’unica richiesta di rilascio della regolarità contributiva ad uno degli enti citati – anziché tre richieste (ciascuna per ogni ente), come avveniva in passato -. Secondo la definizione di cui all’art. 4 del D.M. 24 ottobre 2007 e 6, co. 1, D.P.R. n. 207/2010, il DURC è appunto il certificato che attesta contestualmente la regolarità dell’operatore economico per quanto concerne gli adempimenti INPS, INAIL, nonché Cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento. Tanto premesso, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che integra il delitto di falsità materiale in certificato amministrativo, previsto dagli artt. 477- 482 cod. pen., la falsificazione del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), stante la natura giuridica di tale atto, che ha valore di attestazione della regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi dovuti agli enti di riferimento (Sez. 2, n. 29709 del 19/04/2017, Ferrara, Rv. 270664; Sez. 5, n. 3811 del 05/07/2016, dep. 2017, Tarantino, Rv. 269087).
4. Il quarto motivo, concernente l’omessa motivazione sul riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., è inammissibile, in quanto l’odierno ricorrente non aveva avanzato la relativa richiesta né con l’atto di appello, né nella discussione in udienza.
In tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità (Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017, Celentano, Rv. 269913).
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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