CORTE DI CASSAZIONE – Sez. lav. – Ordinanza 15 marzo 2019, n. 7471
Rapporto di lavoro – Contratto di lavoro a progetto – Dimissioni – Trattamento di fine rapporto e incentivo all’esodo – Verbale di conciliazione sindacale
Rilevato che
1. T.M., già dirigente della Banca Nazionale del Lavoro, cessato dal servizio il 31 dicembre 2002 con diritto al trattamento di fine rapporto e incentivo all’esodo, adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma nel marzo 2004 deducendo l’invalidità e/o inefficacia delle dimissioni rassegnate e chiedendo la reintegra nel posto di lavoro. In relazione a tali rivendicazioni, veniva sottoscritto tra le parti, in data 20 dicembre 2004, un verbale di conciliazione sindacale in cui il T. dava atto di accettare la somma di euro 150.000 lordi a titolo di integrazione del TFR, rinunciando all’azione e ai diritti dedotti in sede di ricorso giudiziale, nonché ad ogni pretesa risarcitoria correlata al rapporto di lavoro intercorso tra le parti. Secondo le previsioni del medesimo verbale di conciliazione, veniva sottoscritto tra le parti un contratto di lavoro a progetto, avente durata dal 1 gennaio 2005 al 31 dicembre 2005, rinnovabile annualmente sino a un massimo di ulteriori due anni. Alla scadenza del dicembre 2005 la Banca, nell’esercizio della facoltà di recesso prevista contrattualmente e, in relazione alla clausola penale prevista all’art. 2 dello stesso contratto, riconosceva al T. il corrispettivo residuo, calcolato sino al termine del periodo triennale, accreditando allo stesso in data 16 giugno 2006 la somma netta di euro 59.238,80, equivalente a due annualità lorde di retribuzione (euro 48.000 x 2= euro 96.000,00).
2. Con successivo ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., oggetto del presente giudizio, il T. rivendicava – tra l’altro, per quanto ancora rileva nella presente sede – il pagamento della somma di euro 85.000,00 a titolo differenziale del dovuto alla stregua delle previsioni del contratto di lavoro a progetto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Assumeva, in particolare, che gli erano dovute tre intere annualità, per un totale di euro 144.000,00, e che pertanto aveva diritto al pagamento della somma di euro 85.000 quale differenza tra la somma che assumeva spettante e quella già ricevuta dalla B.N.L.. La Banca opponeva che il ricorrente poteva rivendicare solo le due annualità residue, ossia l’importo di euro 96.000,00 e non la somma di euro 144.000,00 e sosteneva di essersi liberata da ogni obbligazione versando al lavoratore l’equivalente netto di tale importo, pari esattamente ad euro 59.238,80.
3. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, accogliendo integralmente le rivendicazioni economiche del ricorrente, condannava la convenuta al pagamento, in favore del T., della somma di euro 48.000 lordi, quale corrispettivo previsto dal contratto per l’anno 2005, nonché della somma netta di euro 36.761,20, quale differenza tra quanto contrattualmente dovuto e quanto corrisposto dalla Banca appellante per il mancato rinnovo del contratto, a norma dell’art. 2 dello stesso contratto.
4. Proponeva appello la B.N.L., deducendo il vizio di ultrapetizione perché, quanto all’anno 2005, il ricorrente non aveva mai allegato di non essere stato compensato per tale attività, rivendicando invece il differenziale che assumeva dovuto a titolo di clausola penale ex art. 1382 cod. civ. Quanto alla somma di euro 36.761,20, pari alla differenza tra euro 96.000 (ammontare lordo della penale dovuta per due annualità) ed euro 59.238,80 (somma liquidata dalla B.N.L. e corrispondente al netto delle due annualità), ugualmente il Tribunale aveva pronunciato su una questione non dedotta in giudizio, concernente la liquidazione al lordo, anziché al netto, della penale.
5. La Corte di appello di Roma rigettava tale impugnazione. Premesso che il contratto di lavoro a progetto era stato stipulato in base a quanto previsto dal verbale di conciliazione sottoscritto in data 20 dicembre 2004 e che le parti avevano altresì convenuto che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro ad iniziativa della Banca, questa avrebbe dovuto provvedere al versamento integrale del corrispettivo fino al termine del periodo triennale previsto, osservava che:
– quanto alla somma di euro 36.761,20, correttamente il primo giudice aveva riconosciuto il differenziale rispetto alla somma netta già erogata dalla Banca, attesa la natura risarcitoria della penale ex art. 2 del contratto;
– quanto alla condanna al pagamento della somma di euro 48.000 quale “corrispettivo previsto per l’anno 2005” durante il quale il contratto di lavoro a progetto aveva avuto esecuzione, il compenso era dovuto in quanto la Banca non aveva fornito la prova dell’effettivo pagamento del corrispettivo e non potendo riconoscersi alcun valore probatorio al modello CUD, documentazione emessa datore di lavoro e tardivamente prodotta in giudizio e dunque inammissibile;
– quanto all’eccezione secondo cui il T. non avrebbe avanzato alcuna domanda per il pagamento del compenso relativo all’anno 2005, il Tribunale non aveva pronunciato ultra petita in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poiché dal tenore complessivo del ricorso di primo grado poteva evincersi che il ricorrente aveva chiesto il pagamento di quanto complessivamente dovuto per la durata triennale del contratto a progetto, detratto quanto già ricevuto la B.N.L. e dunque la corresponsione della complessiva somma di euro 85.000.
6. Per la cassazione di tale sentenza la BNL propone ricorso affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il T.
7. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. (inserito dall’art. 1, lett. f, del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).
Considerato che
1. Con il primo motivo la Banca ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ. e nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 cod. proc. civ.), quanto alla statuizione recante la condanna a pagare il corrispettivo per l’esecuzione del contratto nell’anno 2005.
Deduce che il recesso era stato esercitato dalla Banca alla scadenza del dicembre 2005 e che il T., come rilevabile dal ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., non aveva mai allegato di non essere stato regolarmente retribuito per l’attività prestata per l’esecuzione del contratto annuale, ma aveva agito solo per l’attivazione della penale ex art. 2 del contratto di lavoro a progetto.
Rileva che correttamente i giudici di merito avevano affermato che la penale ammontava a due annualità e non a tre annualità, come invece asserito da controparte.
2. Con il secondo motivo l’odierna ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.), quanto alla statuizione con cui B.N.L. è stata condannata a pagare, a titolo di penale ex art.2 del contratto a progetto, la differenza tra l’importo netto riconosciuto e l’importo lordo indicato nel contratto per due annualità, quale penale per il mancato rinnovo.
Deduce che i giudici si erano pronunciati ultra petita, poiché il T. si era limitato a rivendicare la differenza tra quanto ritenuto dovuto (euro 144.000,00) e quanto già ricevuto per lo stesso titolo (circa euro 59.000,00) per cui la differenza a lui dovuta era pari ad euro 85.000,00. Il Tribunale, anziché limitarsi a statuire sulla spettanza o meno di tale differenziale, aveva svolto una indagine non richiesta sulla legittimità della erogazione della somma al netto o al lordo delle ritenute di legge.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1382 cod. civ. e dell’art. 17 T.U.I.R. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per avere la sentenza ritenuto errata la liquidazione della penale al netto, anziché al lordo delle ritenute fiscali.
La clausola del contratto a progetto costituisce una penale, con funzione di rafforzamento del vincolo contrattuale di durata del rapporto; si tratta cioè di un’ipotesi di penalità contrattuale stabilita ai sensi e per gli effetti dell’art. 1382 cod. civ., con cui le parti preventivamente determinano la misura del risarcimento dei danni in relazione all’ipotesi pattuita, che può consistere nel ritardo o nell’inadempimento. Si tratta di un patto accessorio del contratto, con funzione sia di coercizione all’adempimento, sia di predeterminazione della misura del risarcimento in caso di inadempimento.
Parte ricorrente richiama l’art. 6 del TUIR, che classifica come redditi di lavoro autonomo anche i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni, e l’art. 17 dello stesso testo unico, che conferma che sono considerate ai fini fiscali le indennità spettanti a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi relativi a più anni.
L’erogazione di tale importo non ha natura, né finalità sanzionatoria o punitiva, bensì va ricondotta alle pattuite vicende del rapporto contrattuale con funzione sinallagmatica.
4. Il primo motivo è inammissibile.
4.1. Risulta dalla sentenza impugnata che la somma di euro 48.000,00 venne riconosciuta dal Tribunale a titolo di corrispettivo per la prestazione contrattualmente dovuta per l’anno 2005 e non a titolo di penale e che la questione del vizio di ultrapetizione era stata riproposta in appello dalla B.N.L.. La Corte territoriale ha respinto tale eccezione ex art. 112 cod. proc.civ., affermando che “dal tenore complessivo del ricorso di primo grado, si evince che il ricorrente ha chiesto il pagamento di quanto complessivamente dovuto per la durata triennale del contratto a progetto (euro 48.000,00 per 3, pari ad euro 144.000,00), detratta la somma di euro 59.000,00, già ricevuta e, quindi, la condanna della BNL alla corresponsione di euro 85.000,00”. Ha così interpretato il tenore della domanda introduttiva, respingendo – alla stregua di tale interpretazione complessiva – l’assunto secondo cui il T. non avrebbe richiesto il pagamento dei compensi relativi all’anno 2005.
5. L’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel thema decidendum, tale statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass. n. 20718 del 2018; Cass. n. 21874 del 2015). Il principio è costante nella giurisprudenza di questa Corte (v. le più risalenti, Cass. n. 3702 e n 8953 del 2006).
5.1. L’odierna ricorrente per cassazione non ha proposto un motivo nei termini prescritti, in quanto il vizio di ultrapetizione, prospettato mediante allegazione e trascrizione diretta del ricorso originario, sollecita questa Corte ad un nuovo esame del contenuto della domanda introduttiva, senza muovere specifiche censure alla motivazione della sentenza nella parte recante l’interpretazione del contenuto dell’atto introduttivo. In ogni caso, poi, tale motivazione – ancorché nella sua concisa argomentazione – non è affetta da alcuna incongruità logica o giuridica.
5.2. Dalla complessiva narrativa processuale illustrata dall’odierna ricorrente, sembra che la B.N.L. alluda all’essersi verificata, in corso di causa in primo grado, una inammissibile mutatio libelli, alla quale il primo giudice avrebbe dato ingresso violando i limiti della domanda; tuttavia, non risulta che in tali termini la questione sia stata sottoposta al giudice di secondo grado, atteso che la sentenza di appello non dà atto di siffatta censura e che neppure è stato denunciato nel giudizio di legittimità alcun vizio di omessa pronuncia su specifici motivi di appello in ipotesi non esaminati dalla Corte territoriale.
6. Il secondo motivo è infondato.
6.1. Non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., atteso che, una volta determinata la misura della penale in due annualità (residue) e quindi in misura pari (al lordo) ad euro 96.000,00, l’accertamento dell’esistenza di un differenziale implicava necessariamente la valutazione della correttezza o meno della liquidazione operata dalla Bnl al netto delle ritenute fiscali, derivando dalla risoluzione di tale questione l’accoglimento o meno della domanda del T..
7. Il terzo motivo è inammissibile.
7.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, le penalità contrattuali di cui all’art. 1382 c.c., per la natura di patto accessorio del contratto, inidoneo ad interrompere il nesso sinallagmatico, non hanno finalità sanzionatorie o punitive ma, assolvendo la funzione di rafforzare il vincolo negoziale e di predeterminare la misura del risarcimento in caso d’inadempimento, sono inerenti all’attività d’impresa (Cass. n. 16561 del 2017).
7.2. Tanto premesso, poiché la sentenza impugnata allude a previsioni contenute nella conciliazione sindacale e a clausole del contratto di lavoro a progetto (avente natura di lavoro autonomo) stipulato tra le parti, nel senso che le somme a titolo di penale erano pattuite al lordo delle ritenute fiscali, l’attuale ricorrente non denuncia la violazione dei criteri di ermeneutica negoziale, ma oppone questioni nuove e comunque non pertinenti al decisum.
8. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Le spese sono distratte in favore del procuratore, avv. F.J., dichiaratosi antistatario.
9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida della somma di euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, avv. F.J.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma1-bis, dello stesso articolo 13.
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