CORTE DI CASSAZIONE, sezion penale, sentenza n. 11262 depositata il 1° aprile 2020
Reati tributari – Distruzione scritture contabili obbligatorie – Condanna – Legale rappresentante della società – Prescrizione del reato
Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Brescia ha, con sentenza del 7 febbraio 2019, confermato la decisione, assunta in data 15 febbraio 2017 dal Tribunale di Bergamo, con la quale era stata dichiarata la penale responsabilità di C.P. in ordine al reato di cui all’art. 10 del dlgs n. 74 del 2000, per avere egli, nella qualità di legale rappresentante della Costruzioni MCM Srl, distrutto, al fine di evadere le imposte sul reddito e sul valore aggiunto, le scritture contabili ad essa relative delle quali è obbligatoria la conservazione, in modo tale da non consentire la ricostruzione dei redditi prodotti; lo stesso era stato, pertanto, condannato, ritenuta la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale ed esclusa la ricorrenza delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione, senza che la stessa fosse stata oggetto di sospensione condizionale.
Detta sentenza del giudice del gravame è stata impugnata dalla difesa del ricorrente di fronte alla Corte di cassazione, attraverso tre motivi di impugnazione.
Di essi, il primo attiene alla erroneità della decisione nella parte in cui il reato contestato non è stato dichiarato estinto per prescrizione.
Ha, infatti, rilevato, il ricorrente che la Corte territoriale ha ritenuto che non fosse maturato il termine prescrizionale del reato contestato per effetto della ritenuta recidiva specifica e reiterata ed infraquinquennale; tale qualificazione è stata indicata come erronea dal ricorrente in quanto, anche a voler considerare dello stesso genere i pregiudizi penali gravanti sul prevenuto, relativi all’omesso versamento, in due diverse circostanze, dei contributi previdenziali, tuttavia, la stessa, non essendo stata preceduta da una dichiarazione di recidiva semplice, non poteva essere considerata reiterata.
Ciò inciderebbe, secondo il ricorrente in relazione alla durata massima del termine prescrizionale che, in ogni caso, non potrebbe essere differito oltre la metà del massimo della pena edittale, ulteriormente prolungato di un quarto per effetto dell’evento interruttivo sino alla durata massima di anni 9, mesi 4 e giorni 5 di reclusione e non di anni 10 e mesi 1, come ritenuto in sentenza.
Il secondo motivo di ricorso concerne la nullità della sentenza, per vizio di motivazione, nella parte in cui in essa è stato ritenuto che la decisione di distruggere le scritture contabili sarebbe stata presa dall’imputato di concerto con il padre, materiale esecutore della distruzione; osserva la difesa del prevenuto che all’epoca dei fatti il C. viveva all’estero e raramente rientrava in Italia, sicché non è assolutamente dimostrato che lo stesso abbia stabilito – di concerto con il padre persona che nel maggio del 2009 aveva ritirato dal commercialista che sino a quel momento le aveva custodite le scritture contabili della società rappresentata dall’imputato – la distruzione delle medesime.
Infine con il terzo motivo di ricorso è dedotto il vizio della motivazione in relazione alla esclusione del beneficio della sospensione condizionale della pena; essa è stata negata dai giudici del merito in ragione della assenza di qualsivoglia atteggiamento collaborativo del C., senza che si sia tenuto conto del fatto che egli, in quanto residente all’estero all’epoca dei fatti, non avrebbe potuto fornire alcuna collaborazione alle forze dell’ordine. Anche il riferimento ai precedenti penali del prevenuto, ulteriore elemento valorizzato al fine di escludere la sospensione condizionale della pena, è fattore erroneamente tenuto in considerazione dalla Corte di merito: si tratta, infatti, di due decreti penali relativi a fatti temporalmente concomitanti con quelli per cui è processo, non significativi ai fini della prognosi sul successivo comportamento del prevenuto, anche in considerazione del fatto che la Corte di appello non ha assolutamente tenuto conto della condotta di vita tenuta dal ricorrente successivamente ai fatti contestatigli.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e, pertanto, lo stesso è meritevole di accoglimento. La logica del processo impone che sia esaminato dapprima il secondo motivo di ricorso, avente ad oggetto il ritenuto vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è stato ritenuto che la decisione di distruggere le scritture contabili sia stata presa dal ricorrente di comune accordo con il padre.
Riguardo ad esso vi è da rilevare che la questione riguardante la riferibilità personale al C. della condotta di distruzione non risulta avesse formato oggetto di ricorso in grado di appello.
Sul punto, tuttavia, la sentenza impugnata ha motivato rilevando che, indiscussa la qualifica dell’imputato di legale rappresentante della Costruzioni MCM Srl, cioè della società che avrebbe dovuto conservare le scritture contabili e l’altra documentazione la cui tenuta è fiscalmente obbligatoria, non vi sono elementi per affermare che il C. fosse all’estero al momento dei fatti (anzi la sorella dell’imputato, secondo quanto ammesso dalla stessa difesa del ricorrente, ha dichiarato che il fratello nel maggio del 2009 ancora era in Italia) e, pertanto, impossibilitato di gestire la attività imprenditoriale in questione, né questi ha dimostrato che l’iniziativa di distruggere la documentazione sia stata esclusiva del padre.
Va, altresì osservato che in allegato all’attuale ricorso il C. ha prodotto una certificazione anagrafica la quale dimostra solamente che la residenza all’estero del medesimo rimonta all’agosto del 2012 mentre l’attività di distruzione delle scritture in questione è stata collocata in epoca immediatamente successiva alla loro riconsegna da parte del commercialista che le aveva sino a quel momento detenute, cioè al maggio del 2009.
Fondato è viceversa il primo motivo di ricorso, con assorbimento del terzo.
Con esso, infatti, il ricorrente si è doluto, lamentando il vizio di violazione di legge, del fatto che la Corte territoriale non abbia dichiarato l’avvenuta prescrizione del reato contestato avendo ritenuto prorogato il termine prescrizionale per effetto della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale contestata all’imputato.
Il motivo di ricorso è, come detto, fondato, sia pure con le precisazioni che seguono.
Invero il ricorrente articola le sue doglianze anche in ordine ad un profilo manifestamente infondato, cioè che, non essendo stata mai in precedenza ritenuta la recidiva a carico del C., questa non potesse essere dichiarata per la prima volta quale recidiva reiterata.
L’assunto è privo di fondamento: come, infatti, è stato più volte rilevato da questa Corte, il giudice della cognizione, a differenza di quello della esecuzione, può accertare i presupposti della recidiva reiterata prevista dall’art. 99, comma quarto, cod. pen. anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice (da ultimo in ordine di tempo: Corte di cassazione, Sezione II penale, 16 maggio 2019, n. 21451).
Invero, la recidiva, circostanza aggravante inerente alla persona del reo, attiene ad uno status in sostanza di carattere naturalistico del reo, il quale, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commetta almeno un altro.
Ove tale condizione risulti essere, secondo il giudizio discrezionale, ma non arbitrario, del giudice del merito, rappresentativa di una maggiore pericolosità sociale dell’individuo, ad essa si potrà associare, oltre ad altre conseguenze minori, un aggravamento del trattamento sanzionatorio relativo all’ulteriore reato commesso.
La valutazione della presenza della condizione di recidivo in chi commetta ancora un altro delitto, e sia pertanto recidivo reiterato, non è il frutto di una precedente pronunzia dichiarativa dello status di recidivo semplice ma è il portato di una valutazione complessiva operata dal giudice dell’ultimo procedimento che potrà esaminare, senza precedenti vincoli di giudicato, la storia giudiziaria del prevenuto onde verificarne la maggiore o minore pericolosità.
Ciò, posto, va, tuttavia, rilevata la cattiva applicazione fatta da parte del giudice del gravame degli effetti in termini di durata del termine prescrizionale dei reati della affermazione inerente alla condizione di recidivo pluriaggravato del C. (sull’ampio margine che compete alla Corte di cassazione in materia della rilevabilità della prescrizione erroneamente non dichiarata dalla Corte di appello, cfr.: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 25 giugno 2015, n. 27019).
Deve, infatti, in primo luogo convenirsi con la difesa del prevenuto, ma sul punto pare esserci convergenza di giudizi anche da parte della Corte territoriale, che, stante la tipologia di illecito contestato (è stata, infatti, esclusivamente contestata la distruzione delle scritture contabili la cui tenuta è obbligatoria, e non anche, neppure in via subordinata, il loro occultamento), questo si segnala per essere non un reato permanente, come sarebbe quello di occultamento (Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 ottobre 2018, n. 46049), la cui flagranza perdura sino al momento di inizio dell’accertamento fiscale, ma un reato istantaneo che si consuma al momento dell’avvenuta distruzione della documentazione in questione, con conseguente decorrenza del termine prescrizionale da tale momento (nel senso ora indicato si veda: Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 marzo 2017, n. 14461; idem Sezione III penale, 22 settembre 2015, n. 38376).
In assenza di diverse indicazioni, pertanto, in applicazione del principio del favor rei, la decorrenza del termine prescrizionale nel caso di specie, è da collocare alla data del 28 maggio 2009, cioè al momento in cui la documentazione, sino ad allora certamente esistente, è stata restituita al padre dell’imputato dal commercialista che sino ad allora la aveva conservata.
Tanto considerato rileva il Collegio che è errata in diritto la affermazione fatta dalla Corte di appello secondo la quale, essendo all’epoca dei fatti, la condotta contestata al C. punibile con la pena massima di anni 5 di reclusione, il termine prescrizionale ordinario, cioè in assenza della sua proroga dovuta alla presenza di fattori interruttivi del medesimo, doveva calcolarsi, stante la recidiva specifica reiterata ed infraquinquennale ed in ragione della previsione espressa di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., secondo la quale, ricorrendo tale ipotesi di aggravante, la aumento di pena da applicarsi può giungere sino ai due terzi della pena massima edittale, nella misura di 5 anni più due terzi, cioè in complessivi 8 anni e 4 mesi. Infatti il Collegio non ha tenuto conto della successiva previsione, di cui all’art. 99, comma sesto, cod. pen., secondo la quale in nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultanti dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.
Al riguardo si osserva che a carico del C. vi sono bensì due precedenti penali specifici, tali infatti possono ritenersi i pregiudizi gravanti sull’imputato aventi ad oggetto, in due distinte ipotesi, l’omesso versamento di contributi previdenziali ai sensi dell’art. 2, comma 1, del decreto legge n. 463 del 1983, convertito con modificazioni con legge n. 638 del 1983, ma in ambedue le ipotesi i procedimenti per siffatti reati sono stati definiti a seguito della emissione di decreto penale di condanna e, pertanto, non con la irrogazione di una sanzione detentiva ma con la condanna del C. al pagamento di una somma di danaro a titolo di multa.
Tanto comporta, visto il disposto dell’art. 99, comma sesto, cod. pen., che ai fini del computo del termine di prescrizione del reato ora contestato all’imputato, la sua condizione di recidivo, non consentendo alcun aggravamento della durata cronologica della pena detentiva, risulta essere irrilevante.
Come, infatti, ha precisato ancora di recente questa Corte, sebbene per determinare la durata del termine prescrizionale nel caso in cui sia stata contestata ed applicata la recidiva specifica, e lo stesso vale in caso di recidiva pluriaggravata, bisogna fare riferimento all’aumento massimo di pena previsto dai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 99 cod. pen., siffatta applicazione normativa incontra però il limite fissato dall’art. 99, comma sesto, cod. pen. (Corte di cassazione, Sezione V penale, 29 ottobre 2019, n. 44099), il cui contenuto è stato dianzi esposto.
Poiché, come detto, nel caso ora in esame a carico del C. non vi era alcuna pena detentiva, nessun aumento poteva essere fatto sul termine ordinario di prescrizione per effetto della contestata recidiva, ostandovi, appunto, il divieto di cui al comma sesto dell’art.99 cod. pen., non sussistendo alcuna pregressa pena detentiva a carico del C. che abbia avuto una durata nel tempo cui potere ragguagliare l’aumento massimo previsto dalla disposizione citata.
Ciò detto si rileva che, essendo da collocare, per quanto dianzi rilevato, il tempus commissi delicti, e contestualmente il dies a quo per il calcolo della prescrizione, alla data del 28 maggio 2009, il reato in questione deve ritenersi essere prescritto a decorrere dal 28 maggio 2014, quindi prima che fosse intervenuta la richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato, la cui collocazione è da porsi, come segnalato nella sentenza impugnata, in data 22 luglio 2016, che, pertanto, nessuna efficacia interruttiva del decorso della prescrizione può avere spiegato, essendo al momento della sua emissione la causa estintiva del reato già interamente maturata.
Per mero scrupolo si osserva che, anche ove si ritenesse che il termine prescrizionale fosse stato precedentemente interrotto da un altro, più tempestivo, atto, in ogni caso, pur considerata la maggiorazione prevista dall’art. 161, secondo comma, cod. pen., in caso di recidiva pluriaggravata ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen. (maggiorazione, si segnala, che in questo caso non incontra il limite di cui all’art. 99, comma sesto, cod. pen., non trattandosi di computo che incide sulla pena ma esclusivamente sulla durata del termine prescrizionale), il relativo termine, soggetto alla maggiorazione di due terzi, sarebbe diventato di anni 8 e mesi 4, andando, pertanto a scadere il 28 settembre 2017, quindi ampiamente prima della emissione da parte della Corte bresciana della sentenza impugnata, la quale è datata 7 febbraio 2019.
Alla luce delle argomentazioni che precedono la sentenza impugnata, con assorbimento del residuo motivo di impugnazione che, riguardando il trattamento sanzionatorio, è logicamente recessivo al proscioglimento dell’imputato derivante dall’accoglimento del motivo riguardante l’intervenuta prescrizione, deve pertanto essere annullata senza rinvio così come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
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