Corte di Cassazione, sezione 3, ordinanza n. 3097 depositata il 2 febbraio 2024
esecuzione della sentenza e giudizio di ottemperanza
Rilevato in fatto che:
la Commissione tributaria di Palermo, con la sentenza n. 5158/2014, accoglieva il ricorso di M.S. avverso l’avviso di accertamento n. TY301C203499/2013 per omessa dichiarazione dei redditi di partecipazione a società di persone per l’anno di imposta 2008 e condannava l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite;
con la sentenza n. 08/2018, la Commissione tributaria regionale per la Sicilia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e la condannava al pagamento delle spese di lite;
il difensore di M.S., anziché notificare la sentenza n. 108/2018 all’Agenzia delle entrate, si rivolgeva alla Segreteria della Commissione tributaria regionale per chiedere le copie delle sentenze nn. 5148/2014 e 102/2018 munite della formula esecutiva di cui all’art. 475 cod.proc.civ. allo scopo di procedere al recupero coattivo delle spese di lite;
la Commissione tributaria regionale rifiutava il rilascio delle copie delle sentenze munite di formula esecutiva, perché, a seguito del d.lgs. n. 156/2015, il contribuente non ha il diritto di procedere ad esecuzione forzata civile in forza delle sentenze emesse dalle Commissioni tributarie, dovendo utilizzare esclusivamente il giudizio di ottemperanza ex art. 70 d.lgs. n. 54671992;
M.S. presentava ricorso, ex art. 745 cod. proc. civ., al Presidente del Tribunale di Palermo, il quale, con decreto del 23 aprile 2018, ordinava al responsabile della Segretaria della
Commissione Tributaria regionale il rilascio di una copia in forma esecutiva della sentenza n. 102/2018;
ottenuta la copia esecutiva della sentenza, M.S. notificava la sentenza alla Direzione centrale dell’Agenzia delle entrate e alla Direzione regionale;
l’Agenzia delle Entrate provvedeva al pagamento delle spese legali in forza delle sentenze n. 5158/2014 e n. 108/2018;
M.S. conveniva dinanzi al Giudice di pace di Palermo C.C., nella sua qualità di Dirigente dell’Ufficio di Segreteria della Commissione tributaria regionale per la Sicilia, per sentirla condannare personalmente, ai sensi dell’art. 2043 cod.civ., al risarcimento del danno sofferto per il rifiuto di rilascio di copia della sentenza munita di formula esecutiva, costituito dalle spese e dai compensi legali, quantificati in euro 714,57, sostenuti per promuovere il giudizio dinanzi al Presidente del Tribunale;
il Giudice di Pace accoglieva la domanda risarcitoria e condannava C.C. al pagamento di euro 714,57 a favore di M.S., oltre alle spese di giudizio, ritenendo accertata, dalla decisione adottata dal Presidente del Tribunale di Palermo con il decreto del 23 aprile 2018, la ricorrenza di un comportamento illecito da parte della convenuta;
assumendo la legittimità del rifiuto di rilasciare la formula esecutiva ex art. 475 cod.proc.civ., C.C. si appellava al Tribunale di Palermo, il quale, con la sentenza n.1386/2021, ha ritenuto un ostacolo illecito all’esercizio del diritto all’azione esecutiva il rifiuto di rilasciare una copia della sentenza con apposizione della formula esecutiva;
C.C. ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi;
resiste con controricorso M.S.;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod.proc.civ.;
la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato in diritto che:
1) con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 60, 743, 744, 745 e 475 cod.proc.civ., dell’art. 67 bis del d.lgs. 546/1992, introdotto dall’art. 9, comma 1, lett. ee) del d.lgs. 156/2005, artt. 69 e 70 del d.lgs. 546/1992, come modificati, rispettivamente, dall’art. 9, comma 1, lett. gg), e lett. ii) del d.lgs. 156/2005, art. 1, comma 2, del d.lgs. 546/1992 nonché dell’art. 28 Cost. e dell’art. 2043 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
premesso che il decreto del Presidente del Tribunale di Palermo non è suscettibile di passare in giudicato, secondo la ricorrente il Tribunale di Palermo sarebbe incorso nella violazione della disciplina speciale in materia di esecuzione delle decisioni commissioni tributarie, contenuta nel capo IV del d.lgs. 546/1992, che, prevalendo sul codice di rito, avrebbe imposto l’esclusione della sua applicazione; in particolare: secondo l’art. 67 bis del d.lgs. 546/1992, introdotto dall’art. 9, comma 1, lett. ee) del d.lgs. n. 156/2015, le sentenze emesse dalle Commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal capo IV del d.lgs. 546/1992, il quale non contiene alcun riferimento alla spedizione in forma esecutiva della sentenza in base all’art. 475 cod.proc.civ. ed ha soppresso le parole “salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l’esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo” contenute nell’art. 70 del d.lgs. 546/1992;
la ricorrente aggiunge che il legislatore, anche considerando la relazione introduttiva che ha accompagnato il d.lgs. 156/2005, ha inteso considerare il giudizio di ottemperanza come esclusivo sistema di esecuzione di tutte le sentenze tributarie, perché: i) le sentenze emesse nel procedimento tributario richiedono l’espletamento di un’attività d’ufficio per il calcolo delle somme
dovute al contribuente a titolo di rimborso delle imposte e la necessità di una garanzia per le condanne a favore del contribuente superiori a 10.000,00 euro per il rilascio della formula esecutiva non esigibile dalle segreterie; ii) il giudizio di ottemperanza consente di ottenere in termini relativamente brevi l’adempimento dell’Amministrazione; iii) l’ordinaria procedura esecutiva non garantisce sempre il soddisfacimento dell’interesse del contribuente;
il motivo va accolto;
questa Corte ha avuto occasione di affermare che, dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 156 del 2015 (recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario in attuazione della legge delega n. 23 del 2014), è stata eliminata la possibilità per il contribuente di ricorrere al processo di esecuzione forzata regolato dal codice di procedura civile, originariamente prevista, sicché “il giudizio di ottemperanza costituisce l’unico rimedio per l’attuazione delle sentenze tributarie nel caso di inadempimento dell’Amministrazione” (Cass. 12/04/2022, n.11908);
detto giudizio presenta connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, “dal quale si differenzia perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo, compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza” (Cass. 4/06/2020, n. 10570 in motivazione);
atteso che, ai sensi dell’art. 67 bis del d.lgs. n. 546/1992, introdotto dal d.lgs. n 156/2015, le sentenze delle Commissioni tributarie sono immediatamente esecutive non è necessario dotarle di uno strumento giuridico per rendere effettivo quel comando;
l’art. 67 bis dianzi evocato prevede che “Le sentenze delle commissioni tributarie sono esecutive”, precisando, subito dopo, “secondo quanto previsto dal presente capo“;
ora “posto che tale riferimento deve intendersi effettuato al D.Lgs. n. 546 del 1992, capo IV, concernente “L’esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie”, e non già al capo III, relativo a “Le impugnazioni” ove l’art. 67-bis è collocato (come evidenziato in modo pressoché unanime dai commentatori della novella), è alle disposizioni di tale capo che occorre fare riferimento […] l’immediata esecutività è espressamente riconosciuta dall’art. 69 con riguardo alle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente, nonché a quelle relative agli atti concernenti le operazioni catastali. Quanto alle sentenze che accolgono in tutto o in parte il ricorso avverso gli atti impositivi di cui all’art. 68, l’esecutività […] era già insita nella disciplina che riconosceva al contribuente la possibilità di chiedere il rimborso del tributo versato in eccesso. Per effetto delle modifiche introdotte dalla novella del 2015, entrambe le disposizioni ora richiamate, inoltre, riconoscono al contribuente, nel caso di mancata esecuzione della sentenza, la possibilità di chiedere l’ottemperanza ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, (art. 68, comma 2 e art. 69, comma 5)”: così Cass. 12/04/2022, n.11908;
questa Corte ha già avuto occasione di affermare – Cass. 7/04/2022, n. 11286 – che “In tema di spese di lite nel processo tributario, se il pagamento in favore del contribuente, o del difensore antistatario, non è eseguito spontaneamente dall’Amministrazione nel termine di novanta giorni dalla notifica della sentenza, ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992, le somme dovute a tale titolo possono essere richieste con il giudizio di ottemperanza, senza necessità di formale costituzione in mora e senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza che ha dato luogo al titolo di pagamento”;
a tale conclusione questa Corte è giunta dopo aver rilevato che con “la novella di cui al d.lgs. n. 156 del 2016, che si applica in virtù di quanto previsto dalla disposizione transitoria di cui all’art. 12, comma 1, d.lgs. cit., a decorrere del 10 giugno 2016 […] Si è esteso così al processo tributario il principio di cui all’art. 282 cod. proc. civ., ed ai sensi del comma 4, dell’art. 69, d.lgs. n. 546 del 1992, il pagamento delle somme dovute a tale titolo al contribuente o al difensore antistatario, deve essere eseguito nel termine di novanta giorni dalla notifica della sentenza secondo le modalità previste di cui all’art. 38, d.lgs. citato, ed in caso di mancata esecuzione della sentenza, prevede il comma 4, dell’art. 69 in esame, il contribuente può promuovere il giudizio di ottemperanza senza necessità di formale costituzione in mora e, soprattutto, senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza medesima”;
ne consegue l’erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto il giudizio di ottemperanza concorrente con l’espropriazione forzata in sede civile (p. 4 della sentenza) e di conseguenza per avere considerato necessario per il contribuente che abbia optato per l’espropriazione forzata l’ottenimento di una sentenza munita della formula esecutiva, considerando illecita il diniego della relativa apposizione;
2) in via subordinata, la ricorrente ritiene con il secondo motivo che il Tribunale abbia violato e/o falsamente applicato l’art. 28 Cost., degli artt. 22, comma 1, 23, comma 1, del d.p.r. 3/1957, 60 e 744 cod.proc.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.;
la responsabilità civile dei dipendenti dello Stato nei confronti dei terzi postula la ricorrenza del dolo o della colpa grave, oltre alla ricorrenza di un danno ingiusto, insussistenti nel caso di specie;
3) in via ulteriormente subordinata, la ricorrente deduce, con il terzo ed ultimo motivo, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223 e 1227, 2° comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ.;
la scelta del difensore della controricorrente di rivolgere prima alla segreteria della Commissione tributaria regionale e poi al Presidente del Tribunale di Palermo l’istanza di rilascio della formula esecutiva non richiesta né dalla legge né dall’Agenzia delle entrate, anziché notificare direttamente la sentenza all’Agenzia delle entrate al fine di ottenere in via bonaria il pagamento del dovuto, non ha cagionato un danno alla controricorrente, la quale dovrebbe imputare a se stessa, la responsabilità di avere scelto di farsi rappresentare da un legale che l’ha esposta ad esborsi inutili;
4) i motivi secondo e terzo sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo;
5) la Corte cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, dispone l’annullamento della condanna a carico della odierna ricorrente contenuta nella sentenza gravata;
6) dispone la compensazione delle spese di lite dei giudizi di merito e anche del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti.
Cassa senza rinvio la sentenza impugnata in reazione al motivo accolto e, per l’effetto, dispone l’annullamento della condanna a carico della odierna ricorrente contenuto nella sentenza impugnata.
Compensa le spese di lite sia dei giudizi di appello sia di quello di legittimità.
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