Corte di Cassazione, sezione I, ordinanza n. 11342 depositata il 29 aprile 2024
fallimento dell’ex socio il cui nome è rimasto presente nella ragione sociale della s.a.s.
FATTI DI CAUSA
1.1 La corte d’appello, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato il reclamo di C.B. avverso la sentenza del tribunale di Padova che, in data 9/9/2021, su ricorso del curatore, ha esteso allo stesso il fallimento della società N.F. s.a.s. di C.B. e C.D. quale suo socio illimitatamente responsabile.
1.2 La corte, innanzitutto, ha respinto l’eccezione di decadenza proposta dal reclamante in ragione del decorso del termine di un anno a far data dal 12/12/2012, ossia dalla sua cessazione dalla carica di “socio accomandatario” della società, e, in secondo luogo, del fatto che C.B., anche dopo la sua formale uscita dalla compagine sociale, aveva continuato a rivestire il ruolo di socio illimitatamente responsabile della N.F. s.a.s., deponendo in tal senso il mantenimento del nome e del cognome dello stesso nella ragione sociale della società già fallita (“N.F. sas di C.B. e C.D.”), che, come correttamente ritenuto dal tribunale, si configura come un elemento di esteriorizzazione ai terzi del vincolo societario e di affectio societatis, senza che assumano rilievo le ragioni della scelta, dato il chiaro dettato normativo di cui all’art. 2314 c.c., secondo cui “l’accomandante, il quale consente che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali”.
1.3 C.B., con ricorso notificato il 20/5/2022, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza.
1.4 Il Fallimento ha resistito con controricorso.
1.5 La procura della Repubblica presso il tribunale di Padova è rimasta intimata.
1.6 Le parti costituite hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1 Con il primo motivo e il secondo motivo, il ricorrente, lamentando, rispettivamente, la violazione e la falsa applicazione degli 18, 10 e 147, commi 1° e 2°, l.fall. e dell’art. 2314, comma 2°, c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto l’eccezione di decadenza sollevata dal reclamante per il decorso del termine annuale previsto dall’art. 147, comma 2°, l.fall., senza, tuttavia, considerare che C.B., avendo consentito l’inserimento del suo nome e cognome nella ragione sociale della società fallita, era, in realtà, un socio palese della stessa ed, a norma dell’art. 2314, comma 2°, c.c., illimitatamente responsabile per le relative obbligazioni, con la conseguenza che, avendo cessato tale qualità a seguito del trasferimento della sua quota con atto iscritto nel registro delle imprese in data 12/12/2012, poteva essere dichiarato fallito in estensione del fallimento della società solo a norma dell’art. 147, comma 1°, l.fall., e cioè contestualmente alla sentenza che, il 3/5/2018, ha dichiarato il fallimento della società N.F. s.a.s. di C.B. e C.D. & C., ovvero, al più tardi, ai sensi del 2° comma dell’art. 147 l.fall., entro il termine di un anno da tale sentenza e dalla cessazione, che la stessa necessariamente ha comportato, dell’attività produttiva della società.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 10 e 147, commi 1°, 2° e 4°, l.fall. e dell’art. 2320 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto l’eccezione di decadenza sollevata dal reclamante per decorso del termine annuale previsto dall’art. 147, comma 2°, fall. senza, tuttavia, considerare che, in realtà, C.B. era un socio palese della società fallita ed illimitatamente responsabile per le relative obbligazioni avendo acconsentito che il suo nome comparisse nella ragione sociale, con la conseguenza che lo stesso poteva essere dichiarato fallito solo a norma dell’art. 147, commi 1° e 2°, l.fall., e cioè contestualmente alla sentenza che ha dichiarato il fallimento della società o, al più tardi, entro un entro un anno da tale sentenza.
2.3 Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la dichiarazione di fallimento di C.B. in estensione di quello già aperto nei confronti della società N.F. s.a.s. di C.B. e C.D. & C. senza considerare che la sentenza del tribunale di Padova che aveva dichiarato il fallimento della società è passata in giudicato e che, di conseguenza, una volta decorso l’anno da quando C.B. aveva perduta la qualità di socio illimitatamente responsabile per effetto della dichiarazione di fallimento della società, la sentenza di estensione che la corte d’appello ha confermato si pone in contrasto con il giudicato conseguente alla sentenza del tribunale, che aveva escluso C.B. dal fallimento anche se la sua responsabilità illimitata già appariva evidente, a norma dell’art. 2314, comma 2°, c.c., in base alla ragione sociale.
3.1 Il primo, il secondo ed il quinto motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati, con assorbimento del terzo e del quarto, che attengono alla gestione di fatto della società fallita da parte del reclamante.
3.2 La corte d’appello, infatti, ha ritenuto che il fallimento della N.F. s.a.s. di C.B. e C.D., dichiarato con sentenza del 3/5/2018, era stato tempestivamente e correttamente esteso, con la reclamata sentenza del 9/9/2021, a C.B., per un verso affermando che il mantenimento del nome e del cognome nella denominazione della “N.F. sas di C.B. e C.D.” si configura, a fronte del chiaro dettato normativo di cui all’art. 2314 c.c., come un elemento di esteriorizzazione ai terzi del vincolo societario e di affectio societatis, senza che assumano rilievo le ragioni della scelta, e, per altro verso, escludendo che il termine di un anno previsto dall’art. 147, comma 2°, l.fall. potesse decorrere dal momento in cui, in data 12/12/2012, lo stesso aveva cessato di essere il socio accomandatario della società poi fallita.
3.3 La decisione, così assunta, è senz’altro conforme alle norme che regolano la fattispecie accertata in fatto dal giudice di merito: se non altro perché, come questa Corte ha ripetutamente affermato, nelle società di persone, l’assoggettabilità al fallimento del socio apparente in conseguenza del fallimento della società non richiede la dimostrazione della stipulazione e dell’operatività di un patto sociale, essendo a tal fine sufficiente la prova di un comportamento tale da integrare l’esteriorizzazione del rapporto, ancorché inesistente nei rapporti interni, a tutela dei terzi che su quella apparenza abbiano fatto affidamento (Cass. n. 8168 del 1996), come, appunto, nel caso in cui il terzo, pur non essendo più socio, abbia nondimeno acconsentito il mantenimento del proprio nome nella ragione sociale.
3.4 L’art. 2314, comma 2°, c.c., a norma del quale “l’accomandante, il quale consenta che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali”, è, infatti, volta a tutelare l’affidamento dei terzi creditori nella responsabilità illimitata di chi, quale socio accomandante ovvero, come nella specie, di socio accomandatario cessato per morte, recesso o (può aggiungersi) cessione della quota (art. 2292, comma 2°, richiamato dall’art. 2314 c.c. in materia di società in accomandita semplice), abbia, tuttavia, consentito (come, nel caso in esame, è rimasto incontestato) di presentarsi ai terzi, pur non essendolo (più), alla stessa stregua di un socio illimitatamente responsabile (art. 2291, comma 1°, e 2314, comma 1°, c.c.) e cioè, nella società in accomandita semplice, di un socio (attualmente) accomandatario (cfr. Cass. n. 30882 del 2018, in motiv.).
3.5 L’inserimento del nominativo del socio accomandante nella ragione sociale (art. 2314, comma 2°, c.), al pari dell’inserimento nella ragione sociale del nome del socio accomandatario cessato (artt. 2314, comma 1°, e 2292, comma 2°, c.c.), ne comporta, invero e per previsione normativa, la responsabilità illimitata per le obbligazioni della società esclusivamente in ragione del contenuto oggettivo della ragione sociale e della oggettiva confusione conseguentemente ingenerata sul ruolo da lui (ancora) svolto nella società; deve, per contro, restare estranea a tale valutazione ogni considerazione relativa ad elementi estrinseci all’aspetto formale della ragione sociale come, ad esempio, il comportamento dell’accomandante o del socio accomandatario cessato, i quali, in effetti, rispondono personalmente (anche per ripercussione automatica del fallimento della società: art. 147, comma 1°, l.fall.) dei debiti contratti dalla società nel periodo di tempo in cui il loro nome è compreso nella ragione sociale a prescindere dal fatto che i terzi sapessero o ignorassero che si trattava di un socio accomandante o di un socio accomandatario non più tale.
3.6 Quanto al resto, non può che ribadirsi che, in tema di società di persone, il termine annuale previsto dall’art. 147, comma 2°, l.fall., oltre il quale il socio non può più essere dichiarato fallito in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società, decorre solo dall’iscrizione nel registro delle imprese dei fatti determinanti la perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile (cfr. Cass. n. 22661 del 2021), come l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto che rimuove dalla ragione sociale l’indicazione del nome del socio accomandante o, come nel caso in esame, del socio accomandatario cessato.
3.7 Resta, per contro, ferma, ai fini dell’estensione di fallimento al socio illimitatamente responsabile, tanto l’irrilevanza della cessazione dell’impresa sociale in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società, quanto l’insussistenza di una preclusione da giudicato per la mancata dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile già emergente come tale al momento della dichiarazione del fallimento della società.
3.8 Questa Corte ha, in effetti, già avuto modo (anche recentemente) di affermare che: – l’art. 147, comma 4°, l.fall. prevede che “se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi”; – la domanda di estensione di fallimento nei confronti del socio illimitatamente responsabile proposta dal curatore del fallimento della società “presuppone”, pertanto, “unicamente che sia stato dichiarato il fallimento di una società con soci illimitatamente responsabili (art. 147, comma 1°, l.fall.) e che, dopo il fallimento della società (insolvente: e quindi, in quel momento, incontestatamente gravata, almeno in sede di estensione, da debiti insoluti …) emerga l’esistenza di altro socio, illimitatamente responsabile per (tali) obbligazioni sociali, che, per un motivo o per l’altro, non era già stato dichiarato fallito, a norma dell’art. 147, comma 1°, cit., per effetto automatico della dichiarazione di fallimento della società” (Cass. n. 35954 del 2023, in motiv.); – la situazione del socio palese che per anomalie procedimentali non sia stato dichiarato fallito unitamente alla società non è, infatti, assimilabile alle situazioni che, se adeguatamente pubblicizzate, escludono la fallibilità dopo un anno dal loro verificarsi, come quella del socio receduto o escluso dalla società ovvero non più illimitatamente responsabile o dell’imprenditore individuale o collettivo che ha cessato l’attività, trattandosi di un effetto automatico, previsto dalla legge, del fallimento della società con soci illimitatamente responsabili (Cass. n. 22263 del 2012); – la dichiarazione di fallimento della società, pertanto, a meno che (con statuizione passata in giudicato) non abbia espressamente affermato l’insussistenza della qualità di socio illimitatamente responsabile in capo ad un determinato soggetto, non comporta alcuna preclusione alla domanda di estensione di fallimento nei confronti del socio illimitatamente responsabile, come socio (anche cessato) che abbia acconsentito il mantenimento del proprio nome nella ragione sociale, quando siffatta situazione fosse già emergente come tale al momento della dichiarazione di fallimento della società; – il rapporto sociale tra la società e il socio illimitatamente responsabile, anche di fatto o occulto, non si scioglie, del resto, in seguito alla cessazione dell’attività d’impresa della società non seguita dalla cancellazione di quest’ultima dal registro delle imprese, con la conseguenza che il termine annuale previsto dall’art. 147, comma 2°, l.fall., oltre il quale il socio non può più essere dichiarato fallito in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società, decorre non dall’eventuale cessazione dell’attività d’impresa ma solo dall’iscrizione nel registro delle imprese dei fatti determinanti la perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile (Cass. n. 22661 del 2021; Cass. n. 36378 del 2023, in motiv.); – l’art. 147, comma 2°, l.fall., lì dove fa riferimento allo “scioglimento del rapporto sociale” e alla decorrenza da quel momento del termine annuale, si applica esclusivamente allo scioglimento del rapporto rispetto al singolo socio e non anche allo scioglimento della società, che non è, del resto, preso in considerazione neppure dall’art. 10 l.fall.; – quest’ultima disposizione, infatti, fa decorrere il termine annuale di fallibilità dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, sempre che non sia dimostrato che l’attività è proseguita, per cui, se è vero che il fallimento della società ne determina lo scioglimento (art. 2308 c.c.), è anche vero che quest’ultimo non determina né l’estinzione della società, che consegue soltanto alla sua cancellazione dal registro delle imprese (artt. 2312 e 2495 c.c.), né la decorrenza del menzionato termine annuale di fallibilità della stessa società e, conseguentemente, dei suoi soci illimitatamente responsabili; – la dichiarazione di fallimento, infatti, sebbene operi di diritto, così come le altre cause di scioglimento della società, non comporta di per sé alcuna alterazione del vincolo sociale e dell’organizzazione sociale, i cui organi restano in funzione, sia pure con le limitazioni conseguenti all’intervenuto spossessamento; – la società, pertanto, con il fallimento entra in stato di liquidazione e rimane in vita sino al momento della cancellazione dal registro delle imprese (Cass. n. 22263 del 2012, in motiv.).
4. Il ricorso, pertanto, è infondato e dev’essere, quindi, rigettato.
5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
6. La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese di lite, che liquida nella somma complessiva di €. 10.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.