Corte di Cassazione, sezione I, ordinanza n. 13561 depositata il 16 maggio 2024

patti parasociali

RILEVATO CHE

1. La R.I. s.a.s. di G.C & C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Trieste, in riforma della sentenza di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 544/2013, emesso in suo favore dal locale Tribunale in data 20 ottobre 2013, accogliendo la relativa opposizione promossa dall’ingiunto B.P. ed emesso i conseguenti provvedimenti restitutori e di regolazione delle spese di lite.

2. B.P. ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato.

3. La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato che la scrittura privata del 1° febbraio 2001, dedotta dalla società ingiungente come “prova scritta” del suo credito nei confronti del B.P. – credito consistente nell’impegno di quest’ultimo a pagare pro quota le rate di un mutuo contratto dalla società, quantunque contestualmente le sue quote venissero cedute al fratello B.A. con il consenso dell’accomandatario G.C – non poteva essere utilizzata dalla società a proprio favore, atteso che la stessa doveva qualificarsi come un patto parasociale tra i soli soci, in cui mai era menzionata la società; né i suoi sottoscrittori, quantunque tutti amministratori, avevano speso in essa tale qualità; ne derivava la carenza di legittimazione attiva della società a far valere le obbligazioni derivanti dalla detta scrittura.

4. Le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO CHE

1. Il ricorso principale lamenta:

a. Primo motivo: «Motivo n. 1) Art. 360 n. 3 cpc: violazione dell’art. 1388 cc in relazione all’art. 1350 cc, con riferimento alla insussistenza della legittimazione attiva dell’allora Rosa di G.C. e Fratelli B. snc – ora R.I. s.a.s. – in conseguenza della mancata spendita del nome della compagine oltre che per la mancata qualificazione dei soci quali amministratori all’atto della sottoscrizione della scrittura privata datata  1  Febbraio  2001  sub  all. 2 al ricorso per decreto ingiuntivo n. 544/13 Ing. Trib. Gorizia di questa difesa» per  decreto società ricorrente con riferimento al contenuto e alla formulazione della scrittura privata sottoscritta dai soci in data 1° Febbraio 2001, atteso che essa non tiene conto della circostanza che la manifestazione del potere di rappresentanza delle società non richiede l’uso di formule sacramentali e va dedotta, anzi, da circostanze concrete, sicché la mera omessa spendita del nome della società e l’omessa precisazione che i soci sottoscrittori erano anche amministratori della stessa e loro legali rappresentanti non dimostrava in maniera inequivocabile che non vi fosse anche la volontà di riferire le pattuizioni ivi contenute anche e soprattutto alla società medesima, con particolare riguardo al perdurante obbligo del socio uscente di garantire il pagamento del mutuo contratto in favore della società.

b. Secondo motivo: «Motivo n. 2) Art. 360 n. 3 cpc: violazione dell’art. 2341 bis cc, in riferimento alla riqualificazione quale patto parasociale della scrittura privata datata 1° febbraio 2001 sub all. 2 al ricorso per decreto ingiuntivo n. 544/13 Ing. Trib. Gorizia di questa difesa», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha qualificato il contenuto della scrittura privata come patto parasociale volto a disciplinare la sorte dei debiti sociali in presenza della cessione di quote, non essendo comprensibile dalla motivazione resa a quale forma di patto parasociale, tra quelli indicati dall’articolo 2341-bis del codice civile, la sentenza abbia inteso fare riferimento, peraltro con argomentazione perplessa laddove espressamente lascia impregiudicata ogni questione sulla legittimità del patto stesso.

c. Terzo motivo: «Motivo n. 3) Art. 360 n. 3 cpc: violazione dell’art. 1388 cc in relazione agli artt. 1326 e 1273 cc, con riferimento all’asserita mancata partecipazione all’accordo, di cui alla scrittura privata datata 1° febbraio 2001 sub all. 2 al ricorso per decreto ingiuntivo n. 544/13 Ing. Trib. Gorizia di questa difesa, da parte dell’allora Rosa di G.C e Fratelli B. s.n.c. – ora R.I. s.a.s.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove non ha tenuto conto dell’evidente inquadrabilità della fattispecie nell’ambito della disciplina dell’accollo, atteso che alla scrittura aveva partecipato l’accollante B. e l’accollata società, ivi rappresentata da tutti i suoi amministratori.

d. Quarto motivo: «Motivo n. 4) Art. 360 n. 3 cpc: violazione dell’art. 2252 cc in relazione all’art. 2300 cc, con riferimento agli effetti modificativi del contratto sociale ed al conseguente consenso necessario di tutti i soci attribuiti alla scrittura privata datata 1° febbraio 2001 sub all. 2 al ricorso per decreto ingiuntivo n. 544/13 Ing. Trib. Gorizia di questa difesa», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha falsamente applicato l’art. 2252 cod. civ., atteso che la corretta interpretazione della scrittura privata avrebbe dovuto condurre alla sua qualificazione non come accordo sulla cessione di quote con effetti modificativi del contratto sociale, bensì come accordo motivato da distinte finalità sinallagmatiche, prima fra tutte l’accollo del debito derivante dal mutuo.

I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati, nei limiti e per le considerazioni che seguono.

La spendita della qualità di legale rappresentante di una società, da parte del soggetto che in essa riveste una carica organica, non richiede formule sacramentali, ma è liberamente ricavabile dalle relative modalità di manifestazione della volontà.

Nella specie è pacifico – e ne dà atto la stessa sentenza impugnata a pag. 7 – che tutti i soci della società ricorrente che hanno sottoscritto la scrittura privata erano anche amministratori dell’allora società in nome collettivo.

La ragione dell’esclusione della riferibilità della sottoscrizione anche alla società è stata individua dalla Corte territoriale (sempre a pag. 7) nella circostanza che “nessun rilievo può avere il volere della società in merito all’ingresso o all’uscita di un socio alla compagine sociale, che invece, come detto, riguarda il contratto sociale” e la stessa è stata qualificata poco oltre come patto parasociale “con il quale i soci hanno voluto disciplinare i debiti sociali in presenza della cessione delle quote” escludendo infine la qualificabilità del negozio in termini di accollo siccome “non emerge dal testo della scrittura de qua o da altre circostanze un accordo della società debitrice, ne risulta essere stato portato a conoscenza della società stessa.”.

La riportata ratio decidendi è erronea sotto plurimi profili.

  •  La circostanza che la società non abbia interesse a manifestare la propria volontà in relazione agli accordi tra soci inerenti alla modificazione della compagine sociale può essere ritenuta corretta nella misura in cui intende distinguere la rilevanza privatistica degli accordi tra le persone del socio uscente e di quello entrante nella compagine sociale dalla rilevanza societaria connessa all’opponibilità alla società di siffatte pattuizioni. Ciò in considerazione del principio secondo il quale le clausole limitative della facoltà del socio di cedere liberamente la propria posizione all’interno della società (quali ad esempio clausole di prelazione o di gradimento o clausole unanimistiche per la validità del mutamento del contratto sociale) hanno una diretta e immediata applicazione nella regolazione dei rapporti inter- privati tra cedente e cessionario della quota e, solo come effetto di ripercussione, sono opponibili alla società per effetto della loro stipulazione. Ciò, tuttavia, non può voler dire, come argomenta la Corte territoriale nel caso di specie, che sia assolutamente estraneo al negozio traslativo di una quota l’inserimento di una pattuizione che ne condizioni l’efficacia all’adempimento di un’obbligazione che il socio assume contestualmente alla cessione nell’interesse della società. E ciò per l’evidente ragione che la causa del contratto di cessione delle quote sociali è certamente riferibile anche agli effetti modificativi della composizione dei soci e non si esaurisce certamente nella regolazione dei soli interessi patrimoniali tra i soli soggetti stipulanti il negozio di cessione. Tanto rende del tutto legittimo prevedere clausole condizionali che possano collegare l’efficacia o la validità del negozio di cessione a un comportamento da parte dell’obbligato, i cui effetti giuridici si risolvano in favore della società, le cui quote di partecipazione sono oggetto di pattuizione. Se, dunque, è corretto che la società non deve necessariamente intervenire nei negozi traslativi delle proprie partecipazioni posti in essere dai suoi soci con i terzi che intendano in tale posizione, ciò non significa – come argomenta la sentenza impugnata – che sia in ogni caso e sempre da escludere che tra le condizioni del negozio traslativo della quota i soci possano inserire delle pattuizioni nell’interesse della società (altrimenti non si spiegherebbero le clausole di prelazione o di gradimento che, certamente, hanno effetti analoghi a quelli appena descritti anche nei riguardi della società, tanto da condizionare al loro contento la validità stessa dei negozi traslativi della partecipazione).

  • Parimenti erronea è la qualificazione effettuata dalla Corte territoriale della scrittura per cui è causa in termini di patto parasociale. Questa Corte (Sez. 1, sent. n. 22375 del 25 luglio 2023) ha di recente affermato che con l’espressione patto parasociale si intende quell’accordo contrattuale che intercorre fra più soggetti (di norma due o più soci, ma anche tra soci e terzi), finalizzato a regolamentare il comportamento futuro che dovrà essere osservato durante la vita della società o, comunque, in occasione dell’esercizio di taluni diritti derivanti dalle partecipazioni detenute. Il patto parasociale trova, quindi, il proprio elemento qualificante nella distinzione rispetto al contratto di società e allo statuto della medesima, in quanto realizza una convenzione con cui i soci attuano un regolamento complementare a quello sancito nell’atto costitutivo e poi nello statuto della società, al fine di tutelare più proficuamente i propri interessi. La validità di queste pattuizioni può dirsi in linea di principio assodata ed emerge, in modo ormai diretto, dalla previsione normativa dell’art. 2341-bis cod. civ., introdotto dalla Riforma del diritto societario del 2003, che prevede che non possano avere una durata superiore a 5 anni – salvo rinnovo – quei patti che “al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società:

a) hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano;

b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano;

c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società”.

Una previsione che implica il riconoscimento da parte del legislatore della meritevolezza e della tutelabilità dei patti parasociali, da ritenere dunque sempre validi, purché non si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento in materia societaria.

Si vedano le considerazioni svolte da questa Corte, Sez. 1, sent. n. 36092 del 2021 in tema di patti di sindacato, Sez. 1, ord. n. 27227 del 2021, in tema di opzioni put e call, e Sez. 1, sent. n. 12956 del 2016 in tema di prelazione di acquisto di quote sociali, nel cui ambito rientrano le buy-sell previsions.

Escluso che nel caso di specie, ove la scrittura privata è stipulata tra soci di una società di persone, possano essere ravvisabili le ipotesi tipizzate dalle lettere a), b) e c) dell’art. 2341-bis cod. civ., la sentenza impugnata non spiega in alcun modo da quale altro elemento abbia potuto ricavare la qualificabilità del contenuto dell’accordo esaminato nell’ambito della disciplina dei patti parasociali.

È ben noto che possono esistere patti parasociali che non si conformano al modello tipizzato dell’art. 2341-bis cod. civ. Tuttavia, per essere ritenuti patti parasociali, e dunque meritevoli di tutela giuridica analoga a quella riconosciuta espressamente ai patti indicati dall’art. 2341-bis cod. civ., occorre che il loro contenuto sia comunque finalizzato a regolare il comportamento che i soci intendono tenere all’interno della società nell’esercizio della funzione organica che essi svolgono per effetto della qualità rivestita.

In altre parole, le obbligazioni contenute nel patto parasociale, cui certamente la società interessata è per definizione estranea, debbono tuttavia essere finalizzate a regolare il comportamento che i soci intendono vincolarsi a tenere nel momento in cui eserciteranno i poteri amministrativi loro spettanti all’interno dell’ente per effetto dell’esercizio della relativa qualità.

Tale condizione è assolutamente necessaria per poter qualificare la pattuizione come patto parasociale: necessaria, si può aggiungere per completezza, ma non sufficiente, poiché il contenuto dell’obbligo regolato dal patto, per esser parasociale, deve comunque essere riconducibile al perseguimento di quegli effetti di stabilizzazione della governance societaria cui si riferisce espressamente l’art. 2341-bis cod. civ., che ha tipizzato la “causa” dei patti stessi, enucleandone le finalità e, per conseguenza, anche definendo l’ambito della relativa meritevolezza dell’interesse perseguito ai sensi dell’art. 1322 cod. civ.

Con tali premesse, va rilevato che la sentenza in esame ritiene che oggetto di un patto parasociale possa essere la sorte di un debito sociale in occasione della cessione di una quota partecipativa: ciò che, alla luce di quanto premesso, è errato. Una pattuizione, come quella contenuta nella scrittura privata per cui è causa, con cui il socio uscente convenga con quello rimanente che la cessione della quota a un terzo è condizionata all’assunzione della garanzia da parte del cedente del pagamento pro quota di un mutuo precedentemente contratto nell’interesse della società, non ha nulla a che vedere con l’assetto dell’ente, né con l’esercizio dei diritti futuri spettanti ai soci all’interno della società.

Basti solo considerare che oggetto della pattuizione è la condizione di efficacia dell’uscita dalla società di uno dei soci stipulanti: il ché, logicamente, esclude che con essa si sia potuto e voluto regolare le modalità di esercizio congiunto da parte dei soci sottoscrittori dei loro poteri all’interno della società; ciò che impedisce in maniera assoluta che una siffatta pattuizione possa integrare un patto parasociale, il che dimostra l’erroneità della qualificazione effettuata invece in tali termini dalla sentenza impugnata, a tacere del poco comprensibile riferimento ivi contento alla natura “impregiudicata” della sua legittimità.

    • La qualificazione del negozio contenuto nella scrittura privata per cui è causa è questione che deve essere affidata alla valutazione di merito propria della fase di rinvio, dovendo in questa sede solo rilevarsi che la ragione di esclusione della disciplina dell’accollo, individuata dalla sentenza impugnata nella circostanza secondo cui non emergerebbe “dal testo della scrittura de qua o da altre circostanze un accordo della società debitrice, ne risulta essere stato portato a conoscenza della società stessa” sembra obliterare la pacifica circostanza che la scrittura è stata sottoscritta dai soci che erano contemporaneamente anche tutti amministratori dell’allora s.n.c.; circostanza che, ragguagliata alla già spiegata assenza di forme sacramentali di contemplatio domini, finisce per rendere erronea in diritto l’argomentazione utilizzata dalla Corte territoriale per escludere nella specie la ricorrenza del predetto istituto.

3. Il ricorso incidentale, che contiene l’espressa riserva di riproposizione di tutte le argomentazioni difensive non esaminate nel giudizio di appello per effetto dell’accoglimento della pregiudiziale sulla legittimazione, deve ritenersi parimenti accoglibile, nella misura in cui manifesta il perdurante interesse del controricorrente all’esame delle difese riproposte in grado di appello e non esaminate e, pertanto, riproponibili anche nell’eventuale fase di rinvio.

4. La sentenza va, dunque, cassata in relazione ai soli motivi accolti e le parti rinviate alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio secondo i principi sopra esposti e a regolare le spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale, nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia le parti innanzi alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.