Corte di Cassazione, sezione I, ordinanza n. 25407 depositata il 23 settembre 2024

il credito professionale non può essere escluso dallo stato passivo per il semplice fatto che sia esoso o sproporzionato

 

FATTI DI CAUSA

1.1 G.R., M.R. e P.R. hanno proposto opposizione allo stato passivo del fallimento M.G. s.p.a. chiedendo di esservi ammessi per il credito maturato quale residuo compenso dell’attività di assistenza e consulenza legale stragiudiziale dagli stessi svolta in esecuzione dei contratti di conferimento dell’incarico professionale stipulati con la società poi fallita l’8/12/2014 e il 28/11/2017, come riconosciuto nell’atto notarile di riconoscimento del debito sottoscritto da quest’ultima il 18/12/2018.

1.2 Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha rigettato l’opposizione in ragione della ritenuta fondatezza dell’eccezione di revocatoria ordinaria proposta dal Fallimento.

1.3 Il tribunale, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver evidenziato che il decreto opposto non era privo di motivazione, risultando, per contro, “succintamente motivato” dal giudice delegato, nel rispetto della norma prevista dall’art. 95, comma 3°, fall., in ragione della affermata revocabilità dei contratti di conferimento dell’incarico professionale e dell’atto di riconoscimento del debito, ha, in sostanza, ritenuto che: – a) i contratti di conferimento dell’incarico professionale, contrariamente a quanto dedotto dagli opponenti, si configurano come “atti di disposizione” del patrimonio, trattandosi di atti negoziali con i quali la società debitrice, per le obbligazioni pecuniarie assunte verso i professionisti incaricati e la misura rilevante delle stesse, hanno ridotto la “portata” del patrimonio della debitrice; – b) la revoca dei contratti di conferimento dell’incarico professionale impedisce all’atto di riconoscimento del debito di produrre l’effetto di far presumere la sussistenza del credito oggetto della ricognizione, “non avendo più efficacia l’atto costitutivo del credito che con detta ricognizione si è inteso provare”; – c) la sottoscrizione da parte della società poi fallita dei due contratti di conferimento dell’incarico professionale è stata pregiudizievole per le ragioni dei suoi creditori, quanto meno sotto il profilo della maggiore difficoltà o incertezza nell’esecuzione coattiva delle relative pretese, se si considera, per un verso, la “situazione economico/finanziaria (e anche patrimoniale) … già compromessa” in cui la stessa, come emerge dai bilanci in atti, versava, e, per altro verso, l’incremento dei debiti che i predetti atti comportavano a carico della M.G. s.p.a. in ragione dell’importo “di rilevantissima entità” che la committente (per la definizione dell’ingente debito della controllata Logistica Sud s.r.l. verso una banca, del quale era garante) si era impegnata a versare ai professionisti a titolo di onorario, “di gran lunga esorbitante”, sia nella parte fissa (€. 40.000) sia nella parte variabile, “rispetto agli ordinari parametri previsti dal D.M. 55/2014 per i compensi per attività stragiudiziale …”: “il riconoscimento per l’attività di assistenza e consulenza legale di compensi così elevati e del tutto sproporzionati rispetto ai parametri previsti dalla tariffa professionale non può”, dunque, “trovare, al momento del conferimento dell’incarico e nelle condizioni in cui versava a quell’epoca la M.G. …, una plausibile giustificazione … in base ad una valutazione di incidenza negativa sul patrimonio della società debitrice” “delle obbligazioni pecuniarie assunte” dalla società debitrice, che dev’essere valutata ex ante e, dunque, a prescindere dall’“esito” dell’incarico, che non rileva, quindi, al fine di “escludere la sussistenza del pregiudizio patrimoniale per i creditori”; – d) la società debitrice e gli opponenti, infine, erano stati senz’altro consapevoli, al momento degli atti di conferimento dell’incarico professionale, di arrecare, per effetto dell’incremento dei debiti della prima per un importo di rilevante entità e della conseguente riduzione della possibilità di soddisfacimento delle relative ragioni, a fronte di una “situazione economica e finanziaria … già compromessa nel 2014 ”, un pregiudizio ai creditori ammessi al passivo: la cui anteriorità rispetto al compimento degli atti in questione emerge, per un verso, dalla “rilevantissima entità della debitoria complessiva della M.G. … al momento della stipula” degli stessi e, per altro verso, “dal cospicuo numero dei creditori ammessi al passivo … e dal valore complessivo dei loro crediti ”, essendo, in effetti, inverosimile che, pur a fronte dell’“elevata situazione debitoria complessiva della società al dicembre 2014 e negli anni successivi fino al 2017” e delle “indiscutibili difficoltà economico/finanziarie in cui la stessa versava”, tutti i debiti dell’epoca siano stati estinti, ed essendo piuttosto verosimile che “tra i creditori ammessi al passivo del fallimento, dichiarato nel 2019, vi siano anche creditori che vantano crediti sorti nel 2014 o addirittura prima”.

1.4 Il tribunale, quindi, ha ritenuto che, in ragione della fondatezza dell’eccezione di revocatoria ordinaria proposta dal Fallimento, l’opposizione allo stato passivo doveva essere rigettata.

1.5 Il tribunale, infine, ha escluso la fondatezza del motivo d’opposizione con il quale gli istanti avevano lamentato di essere stati ammessi al passivo per l’attività svolta in relazione all’atto di conferimento dell’incarico del novembre 2017 nei limiti dei “valori medi” della tariffa in luogo dei valori massimi, ritenendo che, in realtà, “l’applicazione dei medi di tariffa si giustifica per il fatto che dalla narrazione degli stessi ricorrenti … si evince che il secondo incarico costituisce una naturale prosecuzione del precedente incarico conferito nel dicembre 2014”.

1.6 G.R., M.R. e P.R., con ricorso notificato il 29/12/2021, hanno chiesto, per quattro motivi, la cassazione del decreto in epigrafe.

1.7 Il Fallimento ha resistito con controricorso. 

1.8 Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1 Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione degli 96 l.fall. e 101 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., hanno censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, respingendo l’eccezione che gli stessi avevano proposto nel ricorso introduttivo del giudizio di opposizione, ha ritenuto che, contrariamente a quanto dagli stessi dedotto, il decreto di esecutività dello stato passivo pronunciato dal giudice delegato era stato motivato nel rispetto della norma prevista dall’art. 95, comma 3°, l.fall., senza, tuttavia, considerare che la motivazione resa in tale decreto, in difetto di qualsivoglia indicazione dei fatti che fonderebbero l’eccezione di revoca dei contratti di conferimento dell’incarico e del riconoscimento del debito, non era affatto rispettosa della norma prevista dalla legge, secondo cui il giudice delegato è tenuto a motivare, sia pur succintamente, la propria decisione di non ammissione del credito allo stato passivo.

2.2 Il motivo è inammissibile. Il decreto pronunciato all’esito del giudizio d’opposizione allo stato passivo si sostituisce, sia pur nei limiti delle censure svolte, al provvedimento impugnato, per cui i vizi di motivazione in cui lo stesso sia, in ipotesi, caduto in ordine alla ricognizione della fattispecie concreta posta a fondamento della relativa decisione risultano, evidentemente, assorbiti dalla motivazione resa in ordine agli stessi fatti storici dal tribunale.

2.3 Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli 2901 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2233 c.c. e dell’art. 19 del d.m. n. 55/2014, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., hanno censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che i contratti di conferimento dell’incarico professionale impugnati dal Fallimento avevano arrecato, per effetto dell’obbligo di pagamento assunto dalla committente poi fallita e della sua ingente misura, un pregiudizio alle ragioni dei creditori di quest’ultima senza, tuttavia, considerare, come dedotto dagli istanti nel ricorso di opposizione allo stato passivo, che: – innanzitutto, manca un atto dispositivo, sussistendo solo un contratto con il quale la società poi fallita ha conferito un incarico professionale assumendo l’impegno a pagare un compenso quale corrispettivo della prestazione ricevuta; – l’eventus damni dev’essere valutato globalmente, e cioè considerando, alla luce delle prove che il Fallimento ha l’onere di fornire, non solo l’obbligo di pagamento dell’onorario assunto dalla cliente e la sua misura, ma anche la qualità della prestazione professionale svolta dagli opponenti incaricati ed i vantaggi patrimoniali arrecati dalla stessa, che rilevano ai fini della determinazione del compenso ed al cui conseguimento era subordinata la parte variabile del compenso oggetto della pattuizione, la quale, peraltro, in materia d’opera professionale, ha valore preminente rispetto alle tariffe professionali.

2.4 Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli 2901 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., hanno, tra l’altro, censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che i contratti di conferimento dell’incarico avevano pregiudicato le ragioni dei creditori ammessi al passivo ed anteriori alla loro stipulazione, fondando, tuttavia, il relativo giudizio su mere presunzioni e valutazioni di verosimiglianza, laddove, in realtà, è mancata, come eccepito dagli opponenti nel corso del giudizio d’opposizione, la prova da parte del Fallimento circa la pretesa anteriorità dei crediti ammessi al passivo, non emergendo dallo stato passivo prodotto in giudizio l’origine dei crediti ivi esposti.

2.5 I motivi, da esaminare congiuntamente, sono, nei limiti che seguono, fondati, con assorbimento delle residue censure, relative alla scientia damni e alla misura dell’ammissione al passivo pronunciata dal tribunale.

2.6 L’art. 95, comma 1°, fall., com’è noto, consente al curatore di eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi, del diritto fatto valere con la domanda di ammissione al passivo nonché l’inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito azionato o la prelazione invocata

2.7 In forza di tale norma, il curatore, per impedire l’accoglimento in tutto o in parte della domanda, può, tra l’altro, dedurre, a norma degli 66 ss. l.fall., la revocabilità del titolo negoziale sul quale il creditore abbia fondato la domanda di ammissione al passivo del credito vantato o, come nel caso in esame, della garanzia ipotecaria concessa dalla società debitrice poi fallita (Cass. n. 4694 del 2021, in motiv.).

2.8 L’art. 66 l.fall., in particolare, rubricato “azione revocatoria ordinaria”, dispone che il curatore può domandare o, come detto, eccepire, a norma dell’art. 95, comma 1°, fall., l’inefficacia degli “atti compiuti dal debitore”, poi dichiarato fallito, “in pregiudizio dei creditori” secondo le norme del codice civile.

2.9 La disposizione, lì dove compie un rinvio alla norme civilistiche in materia di azione revocatoria, attesta la natura derivata dell’azione (o dell’eccezione) proposta dal curatore ai sensi della richiamata norma, la quale, pur nella peculiarità del suo esercizio nell’ambito di una procedura concorsuale, rimane comunque retta dai requisiti sostanziali previsti dall’art. 2901 c.c., con la conseguenza che l’esercizio dell’azione (o, come nel caso in esame, dell’eccezione) pauliana ad opera del curatore del fallimento comporta una deviazione dallo schema comune unicamente quanto a effetti, legittimazione e competenza, in ragione del contesto concorsuale da cui trae origine, ma non modifica i presupposti a cui è correlato l’accoglimento della stessa e la sua natura di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale (Cass. n. 36033 del 2021).

2.10 Ora, secondo l’art. 2901, comma 1°, c., il creditore (e, dunque, il curatore del fallimento) può domandare che siano dichiarati inefficaci (o, nel caso del curatore, eccepire l’inefficacia, anche quando si è prescritta la relativa azione: art. 95, comma 1°, in fine, l.fall.) nei suoi confronti (de)gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore (poi fallito) abbia arrecato, in conseguenza della modifica così provocata al suo patrimonio (Cass. n. 1414 del 2020, in motiv.), un “pregiudizio alle sue ragioni” (cd. eventus damni): ivi compresi, trattandosi di atti parimenti dispositivi del suo patrimonio, gli atti con i quali il debitore ha assunto, (se del caso) quale corrispettivo di una prestazione (ad es., professionale), l’obbligo di pagare, nei confronti dell’altra parte, una somma di denaro.

2.11 L’“atto dispositivo” cui allude l’art. 2901 c.c. è, infatti, “qualunque atto che determini o semplicemente aggravi il pericolo della sua insufficienza”, per cui possono essere “oggetto di revocatoria … non solo gli atti di alienazione (che di per sé ovviamente importano una diminuzione attuale del patrimonio del debitore), ma anche quelli che possono in ogni modo comprometterne la consistenza nel futuro”, come, appunto, “le assunzioni di debiti” (Cass. n. 3462 del 2024, in motiv.).

2.12 Il presupposto oggettivo (che il curatore ha l’onere di dimostrare in giudizio) dell’azione (o, come nel caso in esame, dell’eccezione) di revoca ordinaria, tuttavia, è costituito, anche in caso di atto dispositivo che si è concretizzato nell’assunzione di un debito, dal pregiudizio che tale atto abbia arrecato alle “ragioni”, e cioè alle pretese vantate da uno o più creditori nei confronti del debitore che ha compiuto l’atto dispositivo: che si verifica quando, a seguito del compimento dello stesso da parte del debitore (e salvo il caso, nella specie neppure prospettato, della dolosa preordinazione dell’atto a danneggiare i crediti non ancora sorti nei confronti del suo autore), il patrimonio di quest’ultimo sia, in conseguenza, diventato, sul piano quantitativo e/o qualitativo, di consistenza o composizione tali da rendere impossibile o, comunque, più incerta o difficile la completa soddisfazione dei diritti di credito già vantati nei confronti del suo titolare (Cass. n. 20232 del 2023), determinando ovvero aggravando il pericolo della sua insufficienza (Cass. 3462 del 2024), a fronte, evidentemente, del fatto che, prima dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, la soddisfazione dei predetti crediti era, almeno in parte, concretamente possibile o, comunque, meno difficile o incerta.

2.13 Il curatore del fallimento che intenda promuovere (o, come nel caso in esame, eccepire) la revoca ordinaria di un atto dispositivo compiuto dal debitore poi fallito, a norma degli artt. 66 l.fall. e 2901 c.c., per dimostrare in giudizio l’eventus damni, ha, dunque, l’onere di provare, per un verso, la sussistenza di preesistenti ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole (rimaste, naturalmente, insoddisfatte e, come tali, poi ammesse al passivo del fallimento del debitore che ne è stato l’autore), e, per altro verso, il mutamento qualitativo e/o quantitativo che il patrimonio del debitore ha subito per effetto di tale atto, a condizione che dalla valutazione complessiva e rigorosa di questi elementi dovesse emergere, in fatto, che, in conseguenza dell’atto impugnato, sia divenuta, in ragione del valore o della natura del residui beni (Cass. n. 9565 del 2018), oggettivamente più incerta o difficoltosa la soddisfazione dei crediti anteriori al suo compimento ed ammessi al passivo (cfr. Cass. n. 26331 del 2008; n. 19515 del 2019; Cass. n. 524 del 2023, in motiv.; Cass. n. 7201 del 2024).

2.14 Il decreto impugnato non si è attenuto ai principi esposti. 

2.15 Il tribunale, infatti, ha ritenuto che gli atti di conferimento dell’incarico professionale dedotti a fondamento della domanda d’ammissione al passivo erano pregiudizievoli per le ragioni dei creditori della committente poi fallita ad essi preesistenti (e, come tali, suscettibili di revoca ordinaria a norma degli artt. 66 l.fall. e 2901 c.c.) sul mero rilievo che tali atti avevano comportato a carico della M.G. p.a. un debito a titolo di onorario “di rilevantissima entità” e “di gran lunga esorbitante” (sia nella parte fissa sia nella parte variabile) “rispetto agli ordinari parametri previsti dal D.M. 55/2014 per i compensi per attività stragiudiziale …”, e che era verosimile che “tra i creditori ammessi al passivo del fallimento, dichiarato nel 2019” vi fossero “anche … crediti sorti nel 2014 o addirittura prima”, senza, per contro, accertare, come invece avrebbe dovuto: – 1) se ed in quale misura effettivamente esistevano (al di là della mera verosimiglianza) altri crediti verso la debitrice al momento degli atti impugnati che, in quanto insoddisfatti, sono stati poi ammessi, in tutto o in parte, allo stato passivo del fallimento; – 2) se tali crediti, nella misura in cui dovessero emergere dalle prove raccolte in giudizio, siano stati pregiudicati, nei termini in precedenza illustrati, dagli atti impugnati, avendo riguardo non solo delle obbligazioni di pagamento ivi assunte e della relativa misura ma anche dei benefici che le prestazioni eseguite dagli opponenti abbiano effettivamente arrecato, in termini di riduzione del passivo, al patrimonio della debitrice poi fallita.

3. Il ricorso, nei limiti indicati, dev’essere, pertanto, accolto: e il decreto impugnato, per l’effetto, cassato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Bari che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa il decreto impugnato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Bari che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.