Corte di Cassazione, sezione II, Ordinanza n. 28417 depositata il 5 novembre 2024
SANZIONI AMMINISTRATIVE
Rilevato che:
1. B.F. ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, avverso la sentenza n. 1485/2022 del Giudice di Pace di Torino, che ha dichiarato inammissibile l’opposizione di B.F. avverso l’ordinanza-ingiunzione prot. n. 00052757 (Area III-bis) emessa dal Prefetto di Torino, per essere stata l’ordinanza prefettizia notificata alla parte privata in data 28/12/2020, e per avere quest’ultima depositato il ricorso presso la cancelleria del Giudice di Pace in data 03/03/2021, oltre il termine di trenta giorni di cui all’art. 6 comma 6 d.lgs. n. 150/2011;
2 il Ministero dell’interno e la Prefettura hanno resistito con controricorso;
3. il consigliere delegato della Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti. In seguito a tale comunicazione, la ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
È stata quindi fissata adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
Considerato che:
1. il primo motivo di ricorso – “Nullità ex art. 360 n. 2 c.p.c. in relazione al combinato disposto ex artt. 12 disposizioni sulla legge in generale (preleggi) e legge 7 ottobre 1969 n. 742” – censura la sentenza impugnata che ha dichiarato non tempestivo il ricorso, benché la ricorrente avesse “dedotto e motivato sull’applicabilità, nel caso de quo e nel procedimento di cui all’art. 203 d.lvo 285/1992, della legge 7 ottobre 1969 n. 742 in via analogica”;
2. il secondo motivo – “Nullità ex art. 360 n. 2 c.p.c. in relazione all’art. 23 legge 87/1953” – si duole che la sentenza nemmeno menzioni la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente in relazione all’art. 7 della legge n. 742 del 1969 (“Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale”);
3. il terzo motivo – “Nullità ex art. 360 n. 5 c.p.c.” – censura la sentenza del Giudice di Pace per non avere motivato sulla questione dell’applicabilità analogica della legge n. 742/1969 e sul dubbio di costituzionalità sollevato dalla ricorrente;
4. preliminarmente – e in maniera assorbente (cd. assorbimento improprio) rispetto all’esame dei motivi – rileva la Corte che il ricorso è inammissibile;
4.1 in primo luogo, il ricorso indica quale procura conferita quella “in calce all’opposizione”: per pacifico orientamento giurisprudenziale, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, sotto il profilo della sussistenza della procura speciale al difensore iscritto nell’apposito albo, richiesta dall’art. 365 c.p.c., è essenziale, da un lato, che la procura sia rilasciata in epoca anteriore alla notificazione del ricorso e, dall’altro, che essa investa il difensore espressamente del potere di proporre ricorso per cassazione contro una sentenza determinata e pronunciata necessariamente in epoca antecedente al rilascio della procura speciale.
Ne consegue, come necessario corollario, che la procura non può considerarsi speciale se rilasciata in data precedente a quella della sentenza da impugnare; pertanto, è inammissibile il ricorso sottoscritto dal difensore che si dichiari legittimato da procura in calce o a margine dell’atto di citazione o della comparsa di primo grado.
Al riguardo, si deve nuovamente affermare il principio di diritto per il quale la procura per il ricorso per cassazione – che necessariamente ha carattere speciale dovendo riguardare il particolare giudizio davanti alla Corte di cassazione – è valida solo se rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata, sicché il ricorso deve essere dichiarato inammissibile qualora la procura sia anteriore alla pubblicazione del provvedimento impugnato (Sez. 3, Sentenza n. 1328 del 24/01/2006, Rv. 588000 – 01);
4.2 in secondo luogo, la sentenza che definisce il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, compresa (come nella specie) quella del Giudice di Pace, è soggetta all’appello e non al ricorso per cassazione.
Va data continuità a Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 922 del 13/01/2022, (Rv. 663809 – 01), che ha articolato il seguente principio di diritto:
«[l]a sentenza che definisce il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, compresa quella del giudice di pace, è impugnabile con l’appello non sottoposto alle limitazioni di cui all’art. 339, comma 3, c.p.c., in quanto, per espressa disposizione dell’art. 6, comma 12, del d.lgs. n. 150 del 2011, non è applicabile l’art. 113, comma 2, c.p.c., sicché non è possibile una pronuncia secondo equità»;
4.3 infine, il ricorso è totalmente carente dell’esposizione sommaria dei fatti di causa ex art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.
La norma, nella specie disattesa, prevede un requisito di contenuto-forma del ricorso, il quale deve consistere in un’esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover attingere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata. La prescrizione del codice di rito non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato. È, dunque, necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata (tra le altre, Cass. nn. 7594/2024, 7436/2024, 31152/2023, 33012/2023, 15639/2022, 12227/2018; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 – 01; Sez. U, Sentenza n. 11308 del 22/05/2014, Rv. 630843 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 4403 del 28/02/2006, Rv. 587592 – 01; più di recente v. anche Sez. 3, Ordinanza n. 1352 del 12/01/2024 Rv. 669797).
Nel caso in esame, il ricorso è inammissibile perché neppure accenna all’oggetto della controversia, alle difese delle parti e alla dinamica processuale e, in poche righe, abbozza, senza svilupparli, tre motivi di censura della pronuncia di merito;
5. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;
6. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
7. poiché il ricorso è deciso in conformità della proposta formulata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis c.p.c. – il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000. Cfr. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, 668909 – 01; Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, Rv. 668850 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 27947 del 04/10/2023, Rv. 669107 – 01);
8. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 500,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Condanna la ricorrente al pagamento della somma di euro 500,00, in favore di parte controricorrente e di una ulteriore somma di euro 500,00, in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.