CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza depositata il 28 agosto 2024, n. 23263
Lavoro – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti – Trattamento pensionistico – Prelievo effettuato dalla Cassa a titolo di contributo di solidarietà – Variazione delle aliquote contributive – Riparametrazione dei coefficienti di rendimento – Liquidità ed esigibilità del credito – Termine di prescrizione dell’azione di recupero – Rigetto
Rilevato che
Con sentenza n. 26/2022, il Tribunale di Torino, pronunciando sul ricorso di R.V. nei confronti di Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti, ha dichiarato illegittimo il prelievo effettuato dalla Cassa a titolo di contributo di solidarietà sul trattamento pensionistico in godimento al ricorrente e ha condannato l’Ente a restituire l’importo corrispondente alle illegittime trattenute, nei limiti della prescrizione.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 547/2022, ha respinto il gravame proposto dalla Cassa ed accolto l’appello incidentale del dott. R., volto ad ottenere la riforma della pronuncia nella parte in cui aveva accolto l’eccezione di prescrizione quinquennale del credito.
L’Ente previdenziale impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Torino sulla base di tre motivi, illustrati da memoria.
Resiste R.V. con controricorso, illustrato da memoria.
A seguito di richiesta di decisione depositata dalla Cassa nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, la Cassa denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 509/94, dell’art 3, comma 12, della legge n. 335/95, come modificato dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006 e autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, dell’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 214/2011, degli artt. 2, 3 e 23 Cost, anche in relazione e combinato disposto alle delibere della Cassa n. 4 del 2008, n. 3 del 2013 e n. 10 del 2017, emanate anche in virtù dell’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale approvato con d.m. 14 luglio 2004, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., laddove la sentenza ha ritenuto illegittimo il contributo di solidarietà applicato sulla pensione del dott. R.
In subordine, la Cassa lamenta violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 24, comma 24, lettera b), del d.l. n. 201/2011, ove la sentenza non ha ritenuto applicabile il contributo ivi previsto nella misura dell’1% per il biennio 2012/2013.
Sempre in subordine, deduce violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 19, comma 3, della legge n. 21/1986, dell’art.2948, n. 4, cod. civ., dell’art. 2943 cod. civ., dell’art. 47 bis del d.P.R. n. 639/1970 e dell’art. 3 Cost., per aver la sentenza ritenuto applicabile la prescrizione decennale in luogo di quella quinquennale.
Il primo motivo di ricorso risulta infondato alla luce del consolidato orientamento (a partire da Cass. n. 25212/2009, poi seguita ex multis da Cass. n. 31875/2018, n. 32595/2018, n. 423/2019, n. 603/2019, n. 982/2019, n. 16814/2019, n. 28054/2020, n. 6301/2022, n. 6897/2022, n. 18565/2022; n. 18566/2022; n. 18570/2022; n. 29382/2022; n. 29535/2022; n. 29523/2022; n. 9886/2023, n. 9893/2023, n. 9914/2023, n. 10047/2023, n. 12122/2023, n. 6170/2024, n. 7489/2024) con cui questa Corte ha affermato quanto segue.
Con la legge n. 537/1993 il Governo è stato delegato “ad emanare […] uno o più decreti legislativi diretti a riordinare (o sopprimere) enti pubblici di previdenza e assistenza”, attenendosi, tra l’altro, al seguente principio e criterio direttivo: “privatizzazione degli enti stessi, nelle forme dell’associazione o della fondazione, con garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile, ferme restandone le finalità istitutive e l’obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti”.
Il d.lgs. 30 giugno 1994 n. 509, in attuazione della delega, ha ribadito che le Casse “privatizzate” “hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta” e che “la gestione economico-finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale”.
Come evidenziato in Cass. n. 603/2019, «per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte sub primaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di “sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti” (cfr. Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto “anche in deroga a disposizioni di legge precedenti”.
[…] Tali disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit. non hanno, peraltro, attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, […] sicché ad essi – […] – non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse “privatizzate”, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate.
[…] Quest’ultima disposizione […] – che, nella sua formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 296/2006, costituisce base giuridica e parametro di legittimità della norma regolamentare in esame – sancisce testualmente: “Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal dlgs n 509/1994, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni.
In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”.
[…] Questa Corte ha esposto con riferimento a fattispecie analoga relativa alla stessa Cassa commercialisti (Cass 25212/09) che “L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto d.lgs n 509/1994 art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto […].
Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti – e risulta incompatibile, peraltro, con il “rispetto del principio del pro rata (…)” – qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca – a prescindere dal “criterio di determinazione del trattamento pensionistico” – la previsione di una trattenuta a titolo di “contributo di solidarietà” sui trattamenti pensioni già quantificati ed attribuiti.
Ed invero sul punto deve evidenziarsi che la imposizione di un “contributo di solidarietà” sui trattamenti pensionistici già in atto non integra, all’evidenza, né una “variazione delle aliquote contributive”, né una “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”.
Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad “ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”.
La previsione relativa intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che – al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di “variazione delle aliquote contributive”, appunto, e di “riparametrazione dei coefficienti di rendimento”) – incidano su “ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”.
Quindi, ne esula qualsiasi provvedimento, che – lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del pro rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3, comma 12, l. n 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto ai limiti di stabilità imposti dalla legge – imponga una trattenuta su detto trattamento già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili, quale limite esterno della sua misura».
Non si può pervenire a diverse conclusioni neppure attraverso il richiamo alla legge n. 296/2006 di modifica dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335/1995, in quanto detta norma incide sul sistema del pro rata che è estraneo alla tematica del contributo di solidarietà: tale normativa sopravvenuta non può, pertanto, essere intesa nel senso preteso dalla Cassa di fonte del potere di introdurre prestazioni patrimoniali a carico dei pensionati, quale è il contributo di solidarietà.
L’Ente ricorrente invoca, altresì, la disposizione di cui all’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, secondo cui: “L’ultimo periodo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine”.
A tal proposito, questa Corte (ex multis, Cass. n. 6702/2016, n.7568/2017) ha già affermato che «quest’ultimo intervento legislativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo straordinario di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo, così come affermato dalla stessa ricorrente».
Inoltre, non può prescindersi dalla considerazione che la norma di cui all’ultimo periodo dell’art 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006 non può che riguardare i provvedimenti che hanno inciso sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico dei professionisti iscritti alla Cassa e non già la materia che esula dai poteri delle Casse, quale quella in esame.
Al fine di confermare l’estraneità del contributo di solidarietà ai criteri di determinazione del trattamento pensionistico e conseguentemente anche al principio del necessario rispetto del pro rata, nei precedenti citati questa Corte ha, altresì, richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016 che, nel valutare l’analogo prelievo disposto dall’art. 1, comma 486, della legge n. 147/2013, lo ha considerato come un «prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)».
Il ricorso, infine, cita a sostegno l’art.24, comma 24, lett. b) del d.l. n.201/2011 conv. nella legge n.214/2011, che prevede un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, per il caso di inerzia delle Casse nell’adozione delle misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche.
Si tratta di una norma che conferma che, come sottolineato nella citata sentenza della Corte costituzionale n.173/16, il contributo di solidarietà, avendo natura di prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art.23 Cost., è sottoposto alla riserva di legge.
Ne consegue che il suddetto richiamo normativo certamente non dimostra la legittimità della istituzione del diverso contributo di solidarietà di cui qui si discute che è stata effettuata con l’art.22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della CNPADC e non con una norma di legge.
Deve, pertanto, confermarsi che esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto esso, al di là del nomen, non può essere ricondotto ad un «criterio di determinazione del trattamento pensionistico», ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
Inammissibile è il secondo motivo, con il quale la Cassa si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 24, comma 24, lettera b), del d.l. n. 201/2011 per aver il Collegio torinese respinto la domanda subordinata relativa all’applicabilità del contributo di solidarietà previsto dalla citata normativa nella misura dell’1% per gli anni 2012 e 2013.
L’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011, conv. nella legge n. 214/2011, come modificato dal d.l. n. 216/2011, statuisce: “In considerazione dell’esigenza di assicurare l’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, gli enti e le forme gestorie di cui ai predetti decreti adottano, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 settembre 2012, misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni.
Le delibere in materia sono sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti secondo le disposizioni di cui ai predetti decreti; essi si esprimono in modo definitivo entro trenta giorni dalla ricezione di tali delibere.
Decorso il termine del 30 settembre 2012 senza l’adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012:
a) le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo sull’applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni;
b) un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell’1 per cento”.
La Cassa censura la seguente parte motiva della pronuncia qui impugnata: «l’argomento della Suprema Corte riferito all’art. 1, comma 488, l. 147/13 – per cui tale intervento normativo non incide sulla soluzione della presente questione, dal momento che la norma in esame pone come condizione di legittimità degli atti che essi siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio a lungo termine, mentre sicuramente tale finalità non rappresenta un connotato del contributo di solidarietà, proprio perché di carattere provvisorio e limitato nel tempo – destituisce di fondamento la censura subordinata sollevata dall’appellante e fondata sull’art. 24, comma 24, dl n. 201/11 che analogamente è preordinata alla tutela dell’esigenza di assicurare l’equilibrio finanziario della gestione previdenziale».
L’Ente ricorrente stigmatizza il fatto che «così decidendo la Corte d’appello di Torino viola apertamente il disposto della richiamata normativa che, al contrario, prevede l’applicazione ex lege di un contributo di solidarietà in caso di mancata adozione da parte dell’Ente, dei dovuti provvedimenti ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti.
Peraltro, è il legislatore stesso a prevedere tale misura, al fine di assicurare l’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, non si comprendono pertanto le ragioni per cui il Collegio arrivi addirittura a negare la finalizzazione al raggiungimento dell’equilibrio finanziario del suddetto istituto previsto espressamente dal legislatore.
Appare altresì opportuno precisare che l’ipotesi di ritenuta illegittimità del contributo di solidarietà previsto dalle delibere della Cassa equivale all’ipotesi di inerzia dell’Ente nell’emanazione dei suddetti provvedimenti ovvero all’ipotesi di parere negativo dei Ministeri vigilanti, con la conseguenza automatica che, in tutte e tre le ipotesi, debba necessariamente trovare applicazione il contributo minimo ed obbligatorio previsto dal legislatore».
Dalla lettura complessiva dalla sentenza d’Appello si ricava, peraltro, che la parte motiva, oggetto di censura in questa sede per sola violazione di legge, si riferisce ad altro motivo di gravame.
Scrivono, infatti, i giudici che la Cassa aveva chiesto la riforma della sentenza di primo grado «con accoglimento delle originarie conclusioni di reiezione della domanda avversaria ed evidenziando, in subordine, come il primo Giudice non avesse motivato sulla legittimità della trattenuta a far data, quanto meno, dal 2011 (in forza dell’art. 24 co.24, dl 201/11 conv. nella l n. 214/11), né sulla condanna al rimborso in futuro delle eventuali trattenute».
Dalla sentenza non si evince che vi fosse un motivo di appello specifico sul (diverso) profilo del riconoscimento in favore dell’Ente del contributo dell’1% previsto ex lege (per i soli anni 2012 e 2013), motivo sul quale, conseguentemente, il Collegio torinese non si è espresso.
La motivazione, al punto 2.2, non è, infatti, riferita al preteso diritto della Cassa al versamento (quanto meno) del contributo dell’1% per il biennio 2012/2013 ma costituisce la risposta al motivo di censura in forza del quale, secondo l’appellante, l’art. 24, comma 24, del d.l. n. 201/2011 sarebbe stato la base legale che avrebbe legittimato gli Enti previdenziali privati ad imporre il (proprio) contributo di fonte regolamentare quantomeno dal 2011 (in poi).
Trattasi di profilo evidentemente differente rispetto al sostenere che, laddove il contributo di solidarietà introdotto autonomamente dalle Casse non fosse stato ritenuto legittimo, sarebbe spettato, comunque, il minor contributo di legge dell’1% (come, del resto, è la stessa Cassa ad evidenziare anche nel ricorso in Cassazione, ove mantiene distinti i due argomenti).
Ciò posto, il motivo di censura in Cassazione non è per omessa pronuncia ma solo per violazione o falsa applicazione di norma di legge, con la conseguenza che è inammissibile perché estraneo al decisum.
Il terzo motivo è, infine, infondato.
Come evidenziato in Cass. 31527/2022, «questa Corte di legittimità (Cass. nr.41320 del 2021) ha già avuto modo di confermare, in fattispecie analoga alla presente, l’orientamento accolto dalla sentenza impugnata ed ancor prima dalle Sezioni unite di questa Corte nr. 17742 del 2015, secondo cui in materia di previdenza obbligatoria quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. nr. 509 del 1994 la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 nr. 4 cod.civ. – così come dal R.D.L. nr. 1827 del 1935, art. 129 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove vi sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod.civ.
14. In tali occasioni si è precisato che il rapporto assicurativo che lega la Cassa ai propri iscritti ha natura obbligatoria, dato che la CNRP è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di previdenza e assistenza, cui è obbligatoria l’iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate; inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 nr. 4, allo stesso modo che il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere «pagabile», ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere.
Non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell’art. 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione (v. Cass. n. 16388 del 2004 e nr. 1787 del 1997, in motivazione, nonché sez.un. nr. 10955 del 2002).
15. Se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto della controversia ora in esame, la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi «pagabile» e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 cod.civ., ma quella decennale ordinaria dell’art. 2946 cod.civ.
16. Tale orientamento va confermato, potendo aggiungersi che non induce a diversa soluzione l’art. 47 bis d.p.r. nr. 639 del 1970 […], secondo cui si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni, nel testo introdotto dal numero 2) della lettera d) del comma 1 dell’art. 38, D.L. 6 luglio 2011, nr. 98.
17. Risulta decisiva la considerazione che la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata.
18. La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi.
Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale».
Questo indirizzo si è consolidato (ex multis Cass. n. 31641/2022, n. 31642/2022, n.449/2023, n.688/2023, n. 4604/2023, n. 6170/2024) ed è condiviso dal Collegio.
Dato il differente ambito applicativo dell’art.47-bis del d.P.R. n.639/70, non ha ragion d’essere alcuna questione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art.3 Cost.
Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla Cassa in vista della presente adunanza non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nelle occasioni in cui questa Corte si è in passato pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato ed i motivi devono, pertanto, essere rigettati.
Conclusivamente il ricorso va respinto con condanna alle spese secondo soccombenza.
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ. contenendo l’art.380 bis, ult. co. cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27195/2023 e 27433/2023, Cass.n. 27947/23).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in €2000,00 in favore del resistente e di una ulteriore somma di € 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in €4000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore, dichiaratosi antistatario;
condanna parte ricorrente a pagare al resistente l’ulteriore somma di € 2000,00; condanna parte ricorrente a pagare € 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.