CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 12852 depositata il 10 maggio 2024
Lavoro – Ripetizione di ratei pensionistici corrisposti a titolo di pensione di vecchiaia – Falsa dichiarazione di ripresa del lavoro – Dolo – Rigetto
Ritenuto che
In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Milano accoglieva la domanda dell’Inps di ripetizione di ratei pensionistici corrisposti a titolo di pensione di vecchiaia e pagati indebitamente a C.G.. Ella, infatti, alla data di decorrenza del trattamento pensionistico, aveva in corso un rapporto di lavoro.
Premesso che la pensionata aveva rassegnato le dimissioni in data 31.3.2004 e dichiarato all’Inps di essere stata riassunta il 3.4.2004, riteneva la Corte che tale dichiarazione fosse falsa. Dalla documentazione versata in giudizio risultava in realtà che ella era stata riassunta in data 1.4.2004, e quindi occupata il medesimo giorno (1.4.2004) di decorrenza della pensione di vecchiaia. Riconosciuto il dolo in capo alla parte, la Corte concludeva per il diritto dell’Inps a ripetere la prestazione.
Avverso la sentenza C.G. ricorre per tre motivi.
L’Inps resiste con controricorso.
All’adunanza camerale odierna il collegio si riservava il termine di 60 giorni per il deposito dell’ordinanza.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, C.G. deduce violazione dell’art.1, co.7 d.lgs. n.503/92. La Corte non avrebbe considerato che, conformemente alla situazione reale, la ricorrente aveva dichiarato la ripresa del lavoro in data 3.4.2004. La Corte si era limitata a fondare il proprio convincimento su documenti formali non provenienti da sé ma da terzi.
Con il secondo motivo di ricorso, C.G. deduce violazione dell’art.13 l. n.412/91 per aver ritenuto il dolo in capo alla ricorrente. Sostiene che una dichiarazione falsa può essere compatibile con la colpa, determinata da una situazione di ignoranza o da un errore non finalizzato ad ingannare l’ente.
Con il terzo motivo di ricorso, C.G. deduce omesso esame della rilevanza della condotta omissiva dell’Inps che, per 10 anni, non eseguì i controlli richiesti dall’art.13, co.2 l. n.412/91, concorrendo così con colpa all’aggravamento dell’obbligo restitutorio.
Il primo motivo è infondato.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dell’art.1, co.7 d.lgs. n.503/92, secondo cui il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia è subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro. Con un accertamento in fatto non sottoposto a censura, e sindacabile nei soli limiti dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c., la Corte ha concluso che la dichiarazione di ripresa del lavoro in data 3.4.2004 presentata dalla ricorrente all’Inps fosse falsa, e che la stessa avesse in realtà ripreso a lavorare l’1.4.2004, ossia il giorno stesso del collocamento in pensione. Ciò la Corte ha affermato basandosi su vari documenti – cedolini paga, lettera di assunzione, CUD – che indicavano tutti nell’1.4.2002 la data del nuovo rapporto di lavoro.
Sulla base di tale accertamento, la Corte ha poi applicato correttamente l’art.1, co.7 d.lgs. n.503/92 escludendo il diritto a pensione stante la sussistenza al tempo di un rapporto lavorativo.
Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
La Corte ha ritenuto la sussistenza del dolo in capo alla ricorrente: costei infatti aveva dichiarato all’Inps una circostanza falsa, ovvero la ripresa dell’attività lavorativa in data 3.4.2004, anziché nella reale data dell’1.4.2004.
Nel caso in cui la prestazione pensionistica venga erroneamente erogata sulla base di false dichiarazioni rese dall’assicurato all’Inps, questa Corte ha affermato che vige una sorta di presunzione di condotta consapevole e volontaria – in altri termini dolosa – a fronte della quale incombe al pensionato l’onere di provare che detta condotta dipese da mera colpa, e specificamente da una non completa e attenta valutazione delle circostanze che hanno determinato detta condotta (Cass.8609/99). Occorre aggiungere che l’accertamento della sussistenza del dolo è un accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c.
Il motivo di ricorso non deduce alcun fatto storico decisivo e oggetto di discussione tra le parti, omesso dalla Corte d’appello e in base al quale dovesse escludersi il dolo e dirsi vinta la relativa presunzione sussistente in caso di false dichiarazioni rese all’Inps. Il terzo motivo è infondato.
L’art.13, co.2 l. n.412/91 prevede i controlli annuali dell’Inps sulle “situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche”. La norma è dunque irrilevante nel caso di specie, dove l’erronea corresponsione della prestazione pensionistica non dipese dalle condizioni reddituali della ricorrente, ma da una falsa dichiarazione attestante l’assenza di rapporto lavorativo in essere all’1.4.2004.
Al rigetto del ricorso segue condanna alle spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a pagare all’Inps le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in €6000 per compensi, €200 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge;
dà atto che, atteso il rigetto del ricorso, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo in capo a parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.