Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 13764 depositata il 17 maggio 2024

licenziamento giusta causa

RILEVATO CHE

1. con sentenza 30 dicembre 2020, la Corte d’appello di Bari ha rigettato il reclamo del lavoratore indicato in epigrafe avverso la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimatogli il 21 novembre 2014 dalla datrice XXXXX s.r.l., per averla il predetto pubblicamente denigrata immediatamente dopo la reintegrazione nel posto di lavoro disposta dallo stesso Tribunale in esito all’impugnazione di un primo licenziamento intimatogli il 23 dicembre 2013, con effetto dal 16 marzo 2014;

2. la corte territoriale ha infatti ravvisato la ricostituzione de iure – per effetto della pronuncia di illegittimità del primo licenziamento  in  applicazione  della  tutela  reale,  senza necessità di un’atto datoriale di riassunzione – del rapporto di lavoro, pertanto da considerare mai risolto, anche a non voler considerare la rilevanza disciplinare di comportamenti del lavoratore successivi alla cessazione del rapporto, prima della sua ricostituzione iussu iudicis;

3. nel merito, essa ha ritenuto giusta causa di licenziamento, per elisione del rapporto fiduciario tra le parti, avere il lavoratore, nelle circostanze temporali suindicate, pubblicato sulla propria pagina personale del social network Facebook dal 6 al 17 novembre  2014  video e soprattutto  foto  (a prescindere  dalla sua personale ideazione dei “post fotografici”, comunque fatti propri per il mantenimento nella bacheca), eccedenti i limiti di un corretto esercizio del diritto di critica, siccome di palese intento diffamatorio;

4. con atto notificato il  27 febbraio  2021, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, cui la società datrice ha resistito con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.;

5. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

CONSIDERATO CHE

1. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 e., in combinazione con l’art. 2106 e.e. e vizio di motivazione, per erronea valutazione della Corte territoriale in ordine alla carenza del potere disciplinare della società datrice in difetto di ricostituzione effettiva del rapporto di lavoro, nonché del profilo psicologico e del grado di intenzionalità della condotta del lavoratore, oltre che per difetto di proporzionalità tra questa e la sanzione (unico motivo);

2. esso è infondato;

3. occorre premettere che il rapporto di lavoro è de iure ripristinato, per effetto dell’ordine di reintegrazione nel rapporto di lavoro, che ne riattiva le obbligazioni, rimaste quiescenti a seguito del licenziamento illegittimo del lavoratore. Sicché, in particolare, fin dal momento della lettura del dispositivo in udienza, nella fase che precede il deposito della motivazione, esecutivo per legge ed avente il contenuto suddetto, il lavoratore può scegliere tra la ripresa del lavoro e l’indennità sostitutiva (Cass. 14 maggio 2008, n. 12100, in riferimento alla conseguenza della consumazione in ogni caso, con l’offerta delle prestazioni lavorative ancorché effettuata in via prudenziale prima che sia noto il contenuto della motivazione, del diritto del dipendente di optare per l’indennità). E questa Corte ha parimenti affermato, nell’ipotesi di ordine di reintegrazione del lavoratore ai sensi dell’art.  18,  quarto  comma  legge  n.  300/1970,  nel  testo applicabile anteriormente alle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012, che il diritto al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno non è subordinato, diversamente da quanto accade nel caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto a tempo determinato per nullità del termine, alla messa in mora del datore di lavoro mediante l’offerta della prestazione lavorativa da parte del lavoratore, atteso che quest’ultimo mette a disposizione le proprie energie lavorative già con l’impugnativa in via stragiudiziale del recesso illegittimo, a fronte del rifiuto datoriale di riceverne la prestazione, manifestato con l’intimazione del licenziamento (Cass. 6 giugno 2019, n. 15379);

4. la Corte territoriale ha esattamente applicato i suenunciati principi di diritto rispetto alla ricostituzione de iure del rapporto di lavoro (dal primo all’ultimo capoverso di pg. 3 sentenza) e compiuto una valutazione in fatto, adeguatamente argomentata, in ordine ai profili di intenzionalità della condotta del lavoratore e di proporzionalità della sanzione espulsiva all’illecito (dal secondo capoverso di pg. 7 al primo di pg. 8 sentenza), ad essa spettante quale giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, ove sorretta, come nel caso di specie, da argomentazione congrua (Cass. 25 maggio 2012, n. 8293) ovvero sindacabile soltanto nelle ipotesi (invero qui non ricorrenti) di assoluta mancanza della motivazione sul punto, o in cui essa sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia (Cass. 3 gennaio 2o24 n. 107);                                                                              

5. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte,

rigetta il ricorso; condanna il lavoratore ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in€ 200,00 per esborsi e€ 5.500,00 per compensi professionali oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.