CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 14043 depositata il 21 maggio 2024
Lavoro – Licenziamento disciplinare – Arresto in flagranza di furto – Precedenti penali utilizzati nella valutazione complessiva della gravità del fatto addebitato – Nesso di causalità fra mansioni – condotta extralavorativa e vincolo fiduciario – Autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore – Inammissibilità
Rilevato che
1.- P.S. era stato dipendente della A. del dott. M.M. srl fino al 29/03/2018, quando era stato licenziato senza preavviso per ragioni disciplinari, rappresentate dall’essere stato arrestato in flagranza di furto in data 27/02/2018 all’interno del piazzale delle FF.SS. di Nocera Inferiore.
2.- Il Tribunale rigettava l’impugnazione del licenziamento sia nella fase c.d. sommaria, sia all’esito della fase a cognizione piena secondo il rito previsto dalla legge n. 92/2012.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il reclamo interposto dal P..
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) dall’istruttoria svolta in primo grado è emerso che il P. si era introdotto in area recintata, di proprietà delle Ferrovie dello Stato, dove si trovavano all’interno di un gabbiotto due cisterne di gasolio e, dopo aver manomesso una di tali cisterne, ne aveva asportato 200 litri di gasolio, travasandolo in nove taniche;
b) al riguardo costituisce prova sia il documento 7 allegato dalla società, sia la testimonianza dell’agente M., del commissariato P.S. di Nocera Inferiore;
c) inoltre è emerso che gli agenti avevano rinvenuto nell’autovettura del P., lasciata nelle immediate vicinanze, altre sette taniche vuote, come risulta dal verbale di perquisizione;
d) RFI spa aveva con la società A. un contratto di appalto avente ad oggetto la manutenzione sistematica dell’armamento ferroviario e il P. lavorava proprio in relazione a questo appalto, presso il cantiere di Napoli;
e) i fatti contestati al reclamante sono incontestati;
f) come ha già ritenuto il Tribunale, il furto è di per sé solo sufficiente ad assurgere a giusta causa di licenziamento, soprattutto per essere stato commesso ai danni di RFI spa che era committente della società datrice di lavoro del P.;
g) e anche se non vi è prova piena di questo appalto, comunque fra le società vi era un accordo quadro (doc. 21), che prevedeva la stipulazione di successivi contratti applicativi, a dimostrazione di un rapporto consolidato e duraturo fra le due società;
h) sebbene commesso il sede extralavorativa, il fatto presenta evidenti profili di interferenza con le mansioni proprie della qualifica ricoperta dal P., operaio addetto alla movimentazione dei mezzi nei cantieri RFI e quindi anche per questa ragione abitualmente a contatto con il gasolio ivi custodito;
i) i fatti di cui è stato successivamente accusato il P. sono stati utilizzati dal Tribunale non per integrare in modo inammissibile la contestazione disciplinare, ma solo per ricostruire il quadro complessivo della gravità dell’unico episodio posto a base del licenziamento;
j) alla luce di tali considerazioni diviene superfluo l’esame dell’ulteriore contestazione disciplinare relativa alla violazione della normativa in materia di malattia.
4.- Avverso tale sentenza P.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- A. del dott M.M. srl ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
Considerato che
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “carenza, omissione ed illogicità della motivazione della sentenza su punti decisivi della controversia”, ossia sulla giusta causa, nonché “violazione o falsa applicazione” degli artt. 2119 c.c., 7 L. n. 300/1970, 112, 115 e 116 c.p.c. nonché del ccnl applicato, in conseguenza dell’arbitraria ed erronea valutazione delle risultanze probatorie.
In particolare lamenta che la Corte territoriale, in violazione dell’art. 112 c.p.c., abbia “ratificato l’illegittimo ampliamento della contestazione disciplinare” da parte del Tribunale.
Il motivo è inammissibile sotto molteplici profili, tutti accomunati dalla non pertinenza delle censure svolte dal ricorrente rispetto alla motivazione addotta dalla Corte territoriale a fondamento della propria decisione per argomentare il proprio convincimento.
In primo luogo non vi è alcun vizio di omessa pronunzia, atteso che la Corte territoriale ha ampiamente motivato sulla sufficienza del furto in sé a giustificare il licenziamento per giusta causa, come del resto aveva ritenuto anche il Tribunale.
In secondo luogo i giudici d’appello hanno espressamente valutato i precedenti penali del P. ed hanno adeguatamente motivato sulla loro utilizzabilità (anche da parte del Tribunale) non come oggetto di contestazione disciplinare, bensì come elementi rilevanti solo ai fini di una valutazione complessiva della gravità del fatto addebitato, posto a base del licenziamento.
Quindi non vi è stata alcuna indebita sostituzione del giudice al datore di lavoro, né tantomeno un ampliamento della contestazione disciplinare.
Infine, il motivo è inammissibile con riguardo all’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., in quanto precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.).
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “erronea valutazione delle allegazioni di parte ricorrente con conseguente falsa ricostruzione della vicenda fattuale e illogicità della motivazione. Assenza dei presupposti della giusta causa.
Violazione art. 2119 c.c. Insussistenza del fatto disciplinare – assenza del giustificato motivo soggettivo – carenza del nesso di causalità fra mansioni – condotta extralavorativa e vincolo fiduciario”.
Il motivo è palesemente inammissibile, perché sollecita a questa Corte un’ulteriore valutazione di merito, interdetta in sede di legittimità. E’ altresì inammissibile con riguardo all’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., in quanto precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.).
3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “assenza di proporzionalità” e “violazione ed errata applicazione” dell’art. 100 ccnl, per avere la Corte territoriale da un parte ammesso che il furto non era incluso fra le ipotesi previste dall’art. 100 ccnl, dall’altro ricondotto il caso all’art. 2119 c.c.
Il motivo è inammissibile per manifesto travisamento della motivazione della sentenza impugnata.
I Giudici del reclamo hanno ricordato che le fattispecie previste dal contratto collettivo come meritevoli di licenziamento disciplinare sono soltanto esemplificative. Questa affermazione è conforme a diritto.
Infatti, questa Corte ha più volte affermato che “La giusta causa di licenziamento è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti – al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo – le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione” (ex multis Cass. n. 27004/2018; Cass. n. 19023/2019).
Ne consegue che non sussiste alcuna contraddizione nell’avere i giudici del reclamo da un lato escluso la riconducibilità del fatto ad una delle ipotesi espressamente previste dal contratto collettivo, dall’altro proceduto ad un’autonoma valutazione della gravità del fatto ai fini dell’accertamento della sussistenza di una giusta causa ex art. 2119 c.c.
4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. sotto condizione dell’accoglimento del primo motivo, il ricorrente lamenta l’omessa pronunzia sulla parte di contestazione disciplinare inerente la violazione della normativa in materia di malattia.
Il motivo resta assorbito dall’inammissibilità del primo motivo e, quindi, dal non verificarsi della condizione posta dal ricorrente.
5.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.