CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 14723 depositata il 27 maggio 2024
Lavoro – Sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione – Illecito disciplinare – Violazione dei doveri di diligenza ed osservanza delle disposizioni aziendali – Mancata verifica del contenuto dei mandati di pagamento – Doppia conforme – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Caltanissetta confermava la sentenza del Tribunale di Enna n. 331/2016, che aveva rigettato il ricorso di P.I. s.p.a. volto a sentir dichiarare la legittimità della sanzione della sospensione per un giorno dal servizio e dalla retribuzione, irrogata alla propria dipendente M.P., ed aveva annullato detta sanzione.
2. Premetteva la Corte territoriale che, con nota del 27.9.2010, P.I. aveva contestato a detta dipendente, all’epoca dei fatti applicata in qualità di operatrice addetta alla sportelleria dell’Ufficio postale di Enna Centro, che “in data 24.01.2007, in occasione della comunicazione (predisposta dalla collega P.V. …) del mandato nr. 7 per € 108.714,95 e del mandato nr. 8 per € 6.026,78, mandati emessi dal Tribunale di Enna per assegnazione somme in favore del B.S. (che aveva promosso azioni esecutive nei confronti dei signori B.F. e F.C.), la dipendente convenuta, operatrice addetta allo sportello nel turno pomeridiano del 24.01.2007, procedeva ad emettere i relativi vaglia postali intestandoli non già al creditore B.S., in coerenza con l’ordine giudiziale, ma … in favore dei debitori stessi (i quali ovviamente hanno immediatamente riscosso tutte le somme) determinando con ciò la sottrazione delle somme assegnate dal Tribunale di Enna al creditore BdS”; che, in sostanza, l’illecito disciplinare della P. consisteva nell’aver effettuato la suddetta operazione di emissione dei vaglia postali senza avere previamente verificato – in violazione dei propri doveri di diligenza ed osservanza delle disposizioni aziendali in materia – il contenuto dei mandati di pagamento emessi dal Tribunale di Enna e quindi senza accertarsi che il beneficiario ivi indicato era l’istituto bancario creditore e non gli intestatari dei libretti giudiziari, a nome dei quali pertanto i vaglia erano stati erroneamente emessi.
3. Per quanto qui interessa, la Corte, in estrema sintesi, dopo aver considerato che l’operazione del 24.1.2007, oggetto di addebito, era stata caratterizzata da due distinte procedure, ciascuna disciplinata dalle disposizioni interne agli atti, ha ritenuto che l’identificazione del soggetto, persona fisica, tenuto all’osservanza delle disposizioni impartite dall’azienda nell’eseguire le operazioni di pagamento delle somme portate dal libretto giudiziario, dipendeva evidentemente dalle concrete circostanze, dovendosi accertare caso per caso chi avesse di fatto rappresentato l’Ufficio, ponendo in essere l’operazione ed assumendone la responsabilità.
3.1. E riteneva allora che nel caso di specie il soggetto in questione era stata, pacificamente, la collaboratrice V.P., che, sulla scorta dei mandati di pagamento emessi dal Tribunale, aveva predisposto la richiesta di emissione di vaglia postale che poi era passata all’operatrice di sportello, M.P., la quale non aveva fatto altro che eseguire quanto dovuto in base alla richiesta del superiore gerarchico e delle disposizioni dettate per l’emissione del vaglia postale ordinario.
3.2. La Corte, infine, escludeva che l’obbligo di diligenza dell’operatore di esercizio comprendesse la verifica dell’esatto adempimento da parte del superiore gerarchico dei doveri su quest’ultimo incombenti.
4. Avverso tale decisione P.I. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a unico motivo.
5. L’intimata ha resistito con controricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. L’unico motivo è rubricato: “Motivi di diritto ex art. 360 c. 1 n. 3 e 5 Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”.
1.1. Secondo la ricorrente, “La Sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanisetta è da intendersi palesemente erronea, ingiusta ed illegittima, in quanto, frutto di un erroneo vaglio interpretativo delle norme di riferimento”, perché “nella fattispecie per cui è causa, risulta manifesta la violazione del dovere di diligenza e di tutte le normative e regole interne di seguito enunciate, da parte della sig.ra M.P., al contrario di quanto stabilito dalla Corte d’appello di Caltanisetta.
Con una sentenza imperniata su un’interpretazione arbitraria, soggettiva, restrittiva ed inesatta delle normative aziendali di P.I., interpretazione che ha, di fatto, determinato l’attribuzione di una responsabilità unidirezionale verso altro soggetto l’impiegato di P., la sig.ra V.P., che ha provveduto alla mera precompilazione dei moduli per la emissione dei vaglia di che trattasi, con ciò esimendo da qualsivoglia responsabilità l’esecutrice dell’intera operatività di accettazione a sportello, sulla quale invece si ritiene gravi un precipuo obbligo di verifica della identità dei beneficiari, nonché di digitare correttamente a sistema, pedissequamente, sulla base dei dati specificamente contenuti nei mandati di pagamento del Tribunale, il numero, la data ed il beneficiario dei titoli, indipendentemente da ciò che sia stato erroneamente e negligentemente indicato nella modulistica fornita dalla collega”.
1.2. Per la ricorrente, “l’equivoco in cui è incorsa la Corte d’appello di Caltanisetta” consiste nell’avere “erroneamente considerato la P. come soggetto rappresentante l’Ufficio (nella dizione riferita dalla normativa), solo perché superiore gerarchico della resistente; è sfuggito invece il fatto, si ritiene determinante per la corretta valutazione della controversia, che nella circostanza la sig.ra P. ha agito, compilando la distinta, come una qualsiasi impiegata dell’ufficio, e non come una superiore gerarchica della P., avendo compiuto degli adempimenti a supporto dell’attività della sportellista che qualsiasi unità avrebbe potuto fare nell’attività di espletamento dei servizi dell’ufficio”.
La sentenza di secondo grado, sempre secondo la ricorrente, “muove da un’errata interpretazione e quindi motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, e cioè quello di considerare la predisposizione della richiesta di emissione di vaglia postale da parte della sig.ra P., unità sovraordinata alla P., un atto riguardante un ruolo preminente e non una mera attività che la stessa ha compiuto solo in uno spirito di collaborazione, certamente non riguardante l’attività dirigenziale, rivestita dal ruolo occupato nell’ufficio postale”.
2. Il motivo così riassunto è inammissibile.
2.1. Esso fa riferimento nel contempo ai distinti mezzi di cui al n. 3) e al n. 5) del comma primo dell’art. 360 c.p.c.
2.2. Per la parte in cui la censura si riferisce all’ipotesi dell’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., occorre ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’articolo 348-ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
2.3. Nel caso in esame, la sentenza di secondo grado e quella che ha definito il primo grado sono del tutto conformi.
2.4. Ebbene, la ricorrente neanche ha allegato se ed in che parti le motivazioni delle due sentenze in questione fossero significativamente difformi.
3. Del resto, in rapporto al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., il motivo in esame comunque sarebbe ex seinammissibile.
3.1. Secondo altro consolidato orientamento di questa Corte, l’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Costituisce un “fatto” agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante; non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive; gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o “il vario insieme dei materiali di causa” (così Cass., sez. lav., 22.5.2020, n. 9483).
3.2. Nella specie, la ricorrente addebita alla Corte di merito, non già di non aver esaminato un fatto storico, principale o secondario, nel senso ora chiarito, bensì di aver erroneamente inteso il ruolo assunto da P.V. rispetto alla lavoratrice attuale controricorrente nella specifica operazione oggetto della contestazione mossa a quest’ultima.
4. L’unica censura in esame è inammissibile anche per la parte in cui si riferisce al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.
4.1. Invero, la normativa interna aziendale, che la ricorrente assume male interpretata sotto diversi profili dai giudici di secondo grado, all’evidenza non rientra tra le “norme di diritto o dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”, di cui è possibile denunciare la violazione o falsa applicazione, a mente della previsione ora citata.
5. La ricorrente, quindi, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.