CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 14728 depositata il 27 maggio 2024
Lavoro – Sanzione disciplinare dipendente – Sospensione dal servizio – Privazione retribuzione – Grave negligenza – Tardività contestazione disciplinare – Rigetto
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Caltanissetta, in accoglimento dell’appello proposto da G.G. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede, e in riforma della stessa decisione, rigettava le domande proposte da P.I. s.p.a. nei confronti del suddetto lavoratore con ricorso depositato il 10 luglio 2012.
2. Premetteva la Corte territoriale: che con quel ricorso introduttivo P.I. s.p.a. aveva chiesto al giudice adito che venisse dichiarata la legittimità della sanzione disciplinare irrogata al proprio dipendente, G.G., con provvedimento del 7 maggio 2012, consistente nella sospensione dal servizio per dieci giorni, con privazione della retribuzione, ai sensi degli artt. 53, 54 e 55 del CCNL del 14 aprile 2011 per i dipendenti di P.I.; e che il fatto posto a fondamento di detta sanzione era costituito dall’avere negoziato, provvedendo al rimborso delle somme in essi risultanti, buoni postali fruttiferi contraffatti (in quanto “clonati”); che le operazioni di pagamento erano avvenute presso l’ufficio postale di Sommatino in cinque riprese, la prima il 2 maggio 2011 e l’ultima il 25 ottobre 2011; che di esse il G. veniva chiamato a rispondere sia per averne personalmente eseguite alcune, sia, a titolo di culpa in vigilando, per i periodi in cui aveva svolto le funzioni di direttore dell’ufficio (dal 14 al 25 giugno 2011 e dal 22 agosto al 5 settembre 2011); che in merito la datrice di lavoro contestava al dipendente la grave negligenza, per non essersi avveduto della grossolana e palese incongruenza grafica dei buoni contraffatti; che, con la sentenza appellata dal lavoratore, il primo giudice aveva accolto il ricorso di P.I. , dichiarando la legittimità della sanzione irrogata al G.
3. Per quanto qui interessa, la Corte, nell’accogliere il motivo d’appello a mezzo del quale il lavoratore aveva riproposto la propria eccezione di tardività della contestazione disciplinare, richiamati diversi precedenti di legittimità a riguardo, e riconsiderate le risultanze processuali, concludeva che, pur tenendo conto del tempo necessario perché il personale ispettivo, che raccolse le ammissioni in fatto del G., trasmettesse l’esito dei propri accertamenti agli uffici competenti per l’avvio del procedimento disciplinare, gli oltre quattro mesi decorsi fra la suddetta dichiarazione (2 dicembre 2011) e la notifica della contestazione (10 aprile 2012) apparivano un tempo sproporzionato e non aderente a buona fede.
4. Avverso tale decisione P.I. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a unico motivo.
5. L’intimato è rimasto tale, non avendo svolto difese in questa sede.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo del suo ricorso P.I., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. denuncia “violazione dell’art. 7 L. n. 300/1970”. Deduce che la Corte di merito, nel pervenire al convincimento della tardività della contestazione disciplinare, si è avvalsa di riferimenti cronologici del tutto errati e fuorvianti, attribuendo rilievo unicamente al momento in cui la società “ebbe contezza della contraffazione dei buoni postali fruttiferi analiticamente indicati nello stesso atto (ndr. ricorso introduttivo di primo grado) in data 18 novembre 2011 e già il 21 novembre 2011, attraverso la verifica degli <account> identificativi, venne a conoscenza <della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali> (Cass. 26 marzo 2010 n. 7410) al G. Del resto, a tacer d’altro (…), in data 2 dicembre 2011 il G. fu ascoltato e dette conferma di avere materialmente provveduto ai rimborsi contestati” (…) “Fu perciò (al più tardi) alla data del 2/12/2011 che la datrice di lavoro, attraverso il proprio personale ispettivo e perciò deputato proprio all’accertamento dei fatti di rilievo disciplinare, ebbe la concreta conoscenza del fatto e della sua riferibilità al G. e non una conoscibilità meramente astratta della responsabilità dello stesso (cfr. Cass. Sez. Lav. 4/12/2017 n. 28974, Cass. Sez. Lav. 26/3/2018 n. 7424)”.
2. Tale censura è priva di fondamento.
3. Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, la tempestività della contestazione è declinata in senso relativo, a motivo delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa, ferma la riserva di valutazione delle suddette circostanze al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. 12 gennaio 2016, n. 281; Cass. 26 giugno 2018, n. 16841; Cass. 20 settembre 2019, n. 23516; Cass. 8 novembre 2021, n. 32542).
4. Ebbene, diversamente da quanto assume la ricorrente, la Corte distrettuale non ha attribuito rilievo unicamente al momento in cui la Società “ebbe contezza della contraffazione dei buoni postali fruttiferi” di cui alla contestazione e della riferibilità informatica al G. di talune delle operazioni eseguite circa tali titoli.
5. Invero, la Corte, dopo aver rilevato questi preliminari aspetti, ha considerato che: “in data 2 dicembre 2011 il G. fu ascoltato e dette conferma di avere materialmente provveduto ai rimborsi contestati. Lo stesso fece, in pari data, altra dipendente incolpata (G.D.G.), per le operazioni del 30 e 31 agosto 2011 di cui, come sopra accennato, l’odierno appellante veniva pure ritenuto corresponsabile, a titolo di culpa in vigilando, per essere investito, in quei giorni, della qualità di Direttore temporaneo dell’ufficio postale di Sommatino. Fu perciò (al più tardi) alla data del 2/12/2011 che la datrice di lavoro, attraverso il proprio personale ispettivo e perciò deputato proprio all’accertamento dei fatti di rilievo disciplinare, ebbe la concreta conoscenza del fatto e della sua riferibilità al G. e non una conoscibilità meramente astratta della responsabilità dello stesso”.
5.1. Inoltre, ha osservato che: “Anche a voler considerare la complessità dell’organizzazione aziendale, … , una volta riscontrata la clonazione dei titoli posti all’incasso, le incongruenze grafiche dei medesimi ed ottenuta la dichiarazione confessoria – almeno con riguardo alla mera materialità del fatto – del G., peraltro confermativa degli elementi di natura informatica già acquisiti, non si vede quali altri accertamenti si rendessero necessari ai fini della redazione della contestazione a carico di tale dipendente”.
6. Rispetto, poi, alle ulteriori considerazioni svolte dalla Corte di merito a proposito della portata della complessità dell’organizzazione aziendale in subiecta materia (alle pagg. 5-6 della sua sentenza), assume la ricorrente che “notoriamente, gli inquirenti postali, facenti parte della Struttura di controllo F.M. di Tutela Aziendale, non hanno alcun potere disciplinare sui soggetti coinvolti nelle inchieste ma devono fornire alle Strutture aziendali tutti gli elementi e i dati raccolti e compendiati nel Report ispettivo, solo a conclusione degli accertamenti, affinché i Responsabili delle Strutture interessate possano assumere le proprie determinazioni sulla base di una visione quanto più ampia e completa degli accertamenti eseguiti”.
7. Queste ed altre argomentazioni della ricorrente, tuttavia, si fondano su un accertamento fattuale diverso da quello operato dalla Corte di merito (cfr. pagg. 24-33 del ricorso per cassazione).
7.1. In particolare, P.I. assume che: “Se, pertanto, anziché far riferimento al momento delle segnalazioni di operazioni “sospette” (e dunque da verificare) da parte della Filiale di Caltanissetta a Tutela Aziendale ovvero alle dichiarazioni rese dal dipendente – dichiarazioni spontanee sempre revocabili e impugnabili dal lavoratore in qualunque sede – la Corte avesse fatto riferimento, in modo certamente più convincente, alla data (15/03/2012) di conclusione delle indagini e di trasmissione del Report ispettivo con i relativi esiti ai Responsabili della Società P.I., avrebbe constatato che la lettera di contestazioni di addebito venne formulata in data 28/03/2012, e cioè appena 13 giorni dopo la conclusione dell’inchiesta, e quindi l’avvio del procedimento disciplinare non sarebbe risultato affatto tardivo”.
8. Ora, ribadito che la valutazione delle circostanze rilevanti ai fini dell’immediatezza della contestazione disciplinare è riservata al giudice del merito (v. anche Cass. n. 11583/2018), la Corte distrettuale, da un lato, ha osservato che, una volta acquisite in data 2.12.2011 le ammissioni, non solo dell’attuale intimato, ma anche di altra dipendente (incolpata direttamente per parte delle operazioni addebitate), non si vedeva “quali altri accertamenti si rendessero necessari ai fini della redazione della contestazione a carico di tale dipendente”, e, dall’altro, ha concluso che anche tenendo conto del tempo necessario alla trasmissione del rapporto ispettivo agli uffici competenti per l’avvio del procedimento disciplinare, gli oltre quattro mesi intercorsi tra l’acquisizione di quella dichiarazione ammissiva e la notifica della contestazione disciplinare erano un tempo sproporzionato e non aderente a buona fede.
8.1. Si è in presenza, in definitiva, di apprezzamento di circostanze fattuali non sindacabile in questa sede di legittimità, tanto più che la decisione gravata non ha formato oggetto di censure sul piano motivazionale.
9. Nulla dev’essere disposto quanto alle spese di questo giudizio di cassazione, in difetto di costituzione dell’intimato; nondimeno la ricorrente è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.