CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 15076 depositata il 29 maggio 2024
Lavoro – Iscrizione nelle liste di mobilità e pagamento della relativa indennità – Apprendiste – Liste di mobilità c.d. non indennizzata – Specificità dei motivi di appello – Inammissibilità dell’appello – Accoglimento
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 16.2.2018, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda di A.B., M.G. e altre consorti volta all’iscrizione nelle liste di mobilità e alla condanna dell’INPS al pagamento della relativa indennità;
che i giudici territoriali, dopo aver dato atto che l’appellante INPS si era “limitato a ribadire le eccezioni sollevate in primo grado senza confutare le ragioni della decisione, dettagliatamente indicate nella sentenza impugnata”, hanno rigettato “ad ogni buon fine” il gravame, giudicandolo “palesemente infondat[o]” anche nel merito;
che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che A.B. e M.G. hanno resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale parimenti fondato su due motivi;
che l’INPS ha resistito con controricorso al ricorso incidentale;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 13.2.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380-bis.1, comma 2°, c.p.c.);
Considerato in diritto
che, con i due motivi del ricorso principale, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione rispettivamente dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, e degli artt. 7 e 16, l. n. 223/1991, con riferimento all’art. 4, d.l. n. 148/1993 (conv. con l. n. 236/1993), per avere i giudici territoriali ritenuto, anzitutto, che le lavoratrici assicurate non fossero decadute dall’azione e, in secondo luogo, che esse avessero diritto all’indennità di mobilità nonostante che, in quanto apprendiste, potessero essere iscritte soltanto nelle liste di mobilità c.d. non indennizzata;
che, con il primo motivo del ricorso incidentale, le lavoratrici assicurate si dolgono di violazione e falsa applicazione degli artt. 342, 346 e 434 c.p.c. per non avere la Corte di merito dichiarato l’inammissibilità dell’appello dell’INPS pur constatando che l’Istituto si era limitato a ribadire le eccezioni sollevate in prime cure senza darsi carico di confutare le ragioni con cui la decisione impugnata le aveva disattese;
che, con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta la violazione degli artt. 345, 437 e 416 c.p.c. per non avere la Corte territoriale dichiarato l’inammissibilità della censura concernente il difetto di requisito contributivo dell’appellata B., siccome proposta per la prima volta in sede di gravame;
che ragioni di ordine logico impongono lo scrutinio del primo motivo del ricorso incidentale, in considerazione della sua valenza potenzialmente assorbente;
che, al riguardo, va premesso che i giudici territoriali, dopo aver evidenziato che “l’appellante si è limitato a ribadire le eccezioni sollevate in primo grado senza confutare le ragioni della decisione, dettagliatamente indicate nella sentenza impugnata”, hanno ritenuto che l’appello fosse “al limite dell’inammissibilità”, richiamando il consolidato principio di diritto (da ult. ribadito da Cass. S.U. n. 36481 del 2022) secondo cui “la specificità dei motivi, ex art. 342 cod. proc. civ., per la rituale proposizione dell’atto di appello, esige, anche quando la sentenza di primo grado sia stata integralmente censurata, che, alle argomentazioni in essa svolte, vengano contrapposte quelle dell’appellante volte ad incrinarne il fondamento logico-giuridico poiché la parte volitiva dell’appello deve accompagnarsi ad una componente argomentativa diretta a confutare e contrastare le ragioni addotte dal primo giudice” (così pag. 2 della sentenza impugnata);
che, tanto premesso, la censura di cui al motivo in esame si appalesa fondata, atteso che, una volta constatato che l’appello (puntualmente riassunto nei suoi termini a pag. 8 del controricorso) era privo dei requisiti previsti dagli artt. 342 e 434 c.p.c., i giudici territoriali avrebbero dovuto senz’altro dichiararne l’inammissibilità;
che una statuizione come quella della sentenza impugnata, secondo cui l’appello “è al limite dell’inammissibilità”, non è, per contro, né logicamente né giuridicamente possibile, atteso che – come correttamente rilevato dalle parti controricorrenti e ricorrenti incidentali – l’impugnazione può essere soltanto conforme o non conforme allo schema tipico voluto dal legislatore, derivandone nell’un caso la sua idoneità a instaurare il giudizio e nell’altro l’inidoneità al detto scopo;
che l’errore in procedendo in cui è incorsa la sentenza impugnata appare tanto più rimarchevole ove si consideri che questa Corte ha da tempo chiarito che la statuizione d’inammissibilità definisce e chiude il giudizio, con la conseguenza che le considerazioni di merito, che il giudice abbia comunque ritenuto di svolgere, restano irrimediabilmente fuori dalla decisione “per l’assorbente ed insuperabile ragione che dette valutazioni provengono da un giudice che, con la pregiudiziale declaratoria di inammissibilità, si è già spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della fattispecie controversa”, onde “quelle ultronee considerazioni relative al merito della domanda (o del gravame) non sono riconducibili alla decisione (di inammissibilità) che al riguardo egli ha adottato, ma a quella, semmai, che egli avrebbe adottato ove appunto il correlativo esame non ne fosse risultato precluso” (così, in motivazione, Cass. S.U. n. 3840 del 2007, il cui orientamento è stato da ult. ribadito da Cass. n. 29529 del 2022);
che, dovendo per conseguenza ritenersi precluso al giudice del gravame di rassegnare alcuna motivazione sul merito della lite allorché sia stata preliminarmente accertata da parte sua la ricorrenza dei presupposti per la declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, resta solo da aggiungere che tale conclusione appare vieppiù necessitata ove si consideri che, ridondando ogni spreco di attività giurisdizionale sulla ragionevole durata del processo richiesta dall’art. 111 Cost. (così, in motivazione, Cass. S.U. n. 12310 del 2015), il tempo occorrente per la redazione di una motivazione che si dia (inutilmente) carico del merito della lite non solo ritarda ingiustificatamente la definizione di quel processo, prolungandosi pro tanto il momento della pubblicazione della sentenza, ma inibisce la possibilità di dedicare quel medesimo tempo alla trattazione e definizione di altri processi, con correlativa riduzione di effettività della tutela giurisdizionale;
che, pertanto, assorbiti il secondo motivo del ricorso incidentale e il ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio (cfr., per un caso analogo, Cass. n. 5202 del 1977);
che l’INPS va conseguentemente condannato alla rifusione delle spese relative al giudizio di appello e di legittimità,
liquidate e distratte come da dispositivo in favore del difensore dichiaratosi antistatario;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti il secondo e il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata e condanna l’INPS alla rifusione delle spese del giudizio di appello, liquidate in € 2.500,00, e del giudizio di cassazione, liquidate in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dell’Avv. R.F., antistatario.