CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 16037 depositata il 10 giugno 2024

Lavoro – Progressioni verticale – Diritto a costituzione contratto individuale di lavoro – Risarcimento danno – Pagamento differenze economiche – Scorrimento graduatorie – Impiego pubblico – Rigetto

Fatto

1. Il Tribunale di Messina ha respinto la domanda proposta da A.R. e volta ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al suo mancato inquadramento giuridico ed economico nella categoria B1 dal 18.6.2008 mediante stipula del contratto di riferimento.
 Il R. era risultato in posizione utile per la nomina nel profilo di esecutore amministrativo, a seguito di selezione interna per la progressione verticale.

2. La Corte di Appello di Messina, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato il diritto di A.R. alla costituzione del contratto individuale di lavoro come esecutore amministrativo, come disposto con determina dirigenziale n. 103 del 18.6.2008, con conseguente condanna 
dell’Amministrazione convenuta al pagamento delle relative differenze economiche dovute a titolo di risarcimento del danno.

3. La Corte territoriale ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario ed ha escluso la configurabilità di un diritto all’assunzione solo qualora vi siano presupposti normativi ostativi (come la mancanza di requisiti o condizioni essenziali all’ammissione o blocchi disposti ex lege, o sopravvenute esigenze di pubblico interesse e di funzionalità degli uffici).

4. Il giudice di appello ha dunque ritenuto che la procedura relativa alla progressione verticale bandita precedentemente al d. lgs. n. 150/2009 dovesse essere completata, in quanto la normativa sopravvenuta prevedeva solo l’impossibilità di bandire nuove progressioni verticali o di completare con le vecchie regole le procedure bandite dopo il 15.11.2009, data di entrata in vigore delle nuove disposizioni.

5. Ha inoltre considerato insussistente la prova delle condizioni previste dall’art. 76, comma 7, della legge n. 133/2008 commi 45 e 7, in quanto per l’anno 2008 la spesa del personale non era stata superiore al 50% delle spese correnti, né dalle delibere di attestazione della Giunta Provinciale era risultata la violazione del patto di stabilità per gli anni 2007, 2008 e 2009.

6. In assenza di una specifica prescrizione legislativa, ha ritenuto che le progressioni verticali non siano equiparabili alle nuove assunzioni ed ha pertanto ravvisato l’inapplicabilità della legge finanziaria in base alla quale la Provincia aveva ritenuto preclusa la conclusione del contratto di lavoro con il R.

7. Avverso tale sentenza la Città Metropolitana di Messina ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

8. A.R. ha resistito con controricorso.

Diritto

1. Con il primo motivo, il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione della legge n. 133/2008, e segnatamente dell’art. 76, commi IV e VII, in relazione all’art. 360, comma primo, cod. proc. civ.

Sostiene che la mancata stabilizzazione del R. è stata diretta conseguenza della situazione finanziaria nella quale versava l’ente nell’anno in cui si era svolta la procedura concorsuale e nel corso dell’anno precedente; ha in particolare evidenziato che, diversamente da quanto rilevato dalla Corte territoriale, l’Ente provinciale non aveva rispettato il patto di stabilità interno per gli anni 2007, 2008 e 2009.

Richiama la deliberazione n. 74 del 2013 della Corte dei conti regione Sardegna, la deliberazione n. 31 del 2013 della Corte dei conti ed il parere n. 137 del 2013 della Corte dei conti sezione controllo della Regione Campania, argomentando che l’ente non poteva effettuare assunzioni a tempo indeterminato né a tempo determinato, né disporre progressioni verticali tra le categorie.

 2. Con il secondo motivo, il ricorso denuncia omesso, insufficiente e contraddittorio esame circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto non dimostrata la violazione del patto di stabilità per gli anni 2007, 2008 e 2009.

Sostiene che le progressioni verticali sono equiparabili alle nuove assunzioni, evidenziando che il divieto imposto dal legislatore riguarda le assunzioni a qualunque titolo e con qualunque tipologia contrattuale.

3. Col terzo motivo, il ricorso denuncia l’erroneità della statuizione relativa al risarcimento del danno, per non avere la Corte territoriale considerato che la condotta dell’Amministrazione era tesa ad evitare le sanzioni previste dall’art. 76, comma 5, della legge n. 133/2008.

Lamenta il difetto di motivazione in ordine ai criteri utilizzati per la quantificazione del danno.

4. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione logica, sono inammissibili.

La fattispecie non è sovrapponibile a quella resa in una fattispecie analoga da Cass. n. 8793/2023, atteso che in quel giudizio la Corte territoriale aveva riconosciuto ai lavoratori appellanti il diritto all’inquadramento nella “categoria C Istruttore Amministrativo” e alla percezione delle relative differenze di retribuzione, dopo avere accertato in fatto che la delibera n. 138 adottata dalla Provincia Regionale di Messina nel 2008 conteneva una riserva riguardante la “rimozione delle cause ostative previste dal D.L. n. 112/2008” ed aveva ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 76, commi 4 e 5, del D.L. n. 112/2008.

 Invece nel presente giudizio la Corte territoriale ha ritenuto indimostrata la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 76, commi 4, 5 e 7, della legge n. 133/2008, in quanto la spesa del personale non era stata superiore al 50% delle spese correnti, ed ha inoltre evidenziato che dalle delibere di attestazione della Giunta Provinciale non era risultato violato il patto di stabilità per gli anni 2007, 2008 e 2009.

Al di là dell’erroneità della statuizione secondo cui le progressioni verticali costituiscono un mero sviluppo di carriera nell’ambito del rapporto di lavoro già incardinato con la P.A. (v. per tutte Cass. n. 8793/2023 cit.), deve rilevarsi che a fronte dell’accertamento in fatto operato dalla Corte territoriale, le prime due censure prospettano una ricostruzione di segno contrario, insistendo sul mancato rispetto del patto di stabilità per gli anni 2007, 2008 e 2009.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).

5. In ordine alla questione dell’applicabilità del d. lgs. n. 150/2009, questa Corte ha in linea generale affermato che il diritto del candidato vincitore a ricevere l’inquadramento previsto dal bando di concorso espletato dalla P.A. in regime di pubblico impiego contrattualizzato per il reclutamento di propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell’adozione del provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando è stato emesso; nel caso in cui detto assetto sia mutato a causa di jus superveniens, l’Amministrazione ha il potere-dovere di bloccare i provvedimenti dai quali possano derivare nuove assunzioni che non corrispondano più alle oggettive necessità di incremento del personale, quali valutate prima della modifica del quadro normativo, in base all’art. 97 Cost. (Cass. n. 12679/2016).

Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 16728/2012 in tema di impiego pubblico contrattualizzato hanno inoltre chiarito che il diritto del candidato vincitore ad assumere l’inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato dalla P.A. per il reclutamento dei propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell’adozione del provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando era stato emesso.

 Tali principi trovano a maggior ragione applicazione in tema di scorrimento, la cui natura porta a ritenere applicabile la normativa vigente nel momento in cui si pretende di realizzarlo.

Deve infatti rammentarsi il principio secondo cui l’istituto del c.d. scorrimento della graduatoria, che consente ai candidati semplicemente idonei di divenire vincitori effettivi, precludendo l’apertura di nuovi concorsi, presuppone necessariamente una decisione dell’amministrazione di coprire il posto: ma, una volta assunta, tale decisione risulta equiparabile, nella sostanza, all’espletamento di tutte le fasi di una procedura concorsuale, con identificazione degli ulteriori vincitori (in tal senso Cass. 5 marzo 2003, n. 3252), ancorché mediante l’utilizzazione dell’intera sequenza di atti apertasi con il bando originario, recante la c.d. lex specialis del concorso, e conclusasi con l’approvazione della graduatoria, che individua i soggetti da assumere.” (Cass. S.U. n. 14523/2003).

Con la delibera di scorrimento, che sostituisce tutte le fasi della procedura concorsuale, l’Amministrazione utilizza dunque l’intera sequenza procedimentale di quella procedura (dalla quale comunque si distingue), con la conseguenza che i requisiti di validità richiesti non possono che essere quelli vigenti al momento in cui lo scorrimento viene deliberato.

Nel caso di specie lo scorrimento è stato deliberato il 1°.6.2008, e dunque in data anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009 (avvenuta il 15.11.2009), che non può pertanto trovare applicazione nel caso di specie.

6. Il terzo motivo, che torna a prospettare la violazione dell’art. 76, comma 5, della legge n. 133/2008, in contrasto con l’accertamento in fatto operato dalla Corte territoriale e non rivedibile in questa sede, è infondato.

Non sussiste inoltre l’omessa motivazione, avendo la Corte territoriale dichiarato il diritto del R. alla stipula del contratto di lavoro come esecutore amministrativo e avendo indicato i criteri per la quantificazione del danno in misura pari alla differenza economica tra quanto già corrisposto al R. e quanto a lui spettante.

7. Il ricorso va pertanto rigettato.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

9. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 5000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge; dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.