CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 16775 depositata il 17 giugno 2024
Professionisti – Avvocato – Obbligo di iscrizione alla Gestione separata – Omessa contribuzione – Prescrizione – Esonero dal pagamento delle sanzioni civili – Accoglimento parziale
Rilevato che
Con sentenza del 21.5.2019 n. 140, la Corte d’appello di Ancona accoglieva l’appello principale proposto dall’Inps, avverso la sentenza del Tribunale di Ancona che aveva accolto il ricorso presentato da R.M., libero professionista iscritto all’Albo degli Avvocati, volto ad accertare l’illegittimità dell’iscrizione d’ufficio alla gestione separata Inps e a far dichiarare non dovute le somme richieste dall’Inps a titolo di contributi relativi all’anno 2009, avendo già versato alla Cassa forense la contribuzione integrativa (ma non quella soggettiva).
Il tribunale, in accoglimento della domanda, dichiarava illegittima l’iscrizione d’ufficio del ricorrente alla Gestione Separata Inps per l’anno 2009 e non dovuti i corrispondenti contributi.
La Corte d’appello, da parte sua, a sostegno dei propri assunti di accoglimento del gravame dell’Inps, riteneva che la perdurante iscrizione del professionista all’Albo professionale costituiva sufficiente indice presuntivo dell’abitualità dell’esercizio della professione forense per il 2009, ben potendosi ipotizzare un esercizio abituale di detta professione, ancorché scarsamente remunerativo, in relazione a contingenti fattori di valenza negativa, sotto il profilo economico; infatti, la norma innanzi richiamata richiedeva l’esercizio abituale, non già continuativo della professione, con ciò, lasciando intendere che potesse trattarsi anche di un’attività caratterizzata da notevoli oscillazioni e variazioni dei ritmi lavorativi e da possibili arresti temporanei. Infine, la Corte territoriale riteneva assorbito l’appello incidentale del contribuente.
Avverso tale sentenza, R.M. ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, cui resiste con controricorso l’Inps.
Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2 commi 26 della legge n. 335 del 1995 e dell’art. 44 comma 2 del DL n. 269 del 2003, convertito con modificazioni nella legge n. 326 del 2003, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., nella parte in cui era stata riformata la sentenza di primo grado, ipotizzando un esercizio abituale della professione, nonostante il mancato superamento della soglia di reddito di € 5.000,00, stante “la perdurante iscrizione dell’odierno appellato all’Albo professionale”, nonché, per violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto era a carico dell’Inps l’onere di provare l’abitualità dell’esercizio della professione, nonostante la sussistenza del requisito oggettivo, stabilito dalla legge, del mancato superamento del limite di reddito di € 5.000,00 e non era onere del ricorrente in primo grado, di provare la non abitualità dell’esercizio della professione forense.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 3 commi 9 e 10 della legge n. 335 del 1995, dell’art. 55 del RDL n. 1827 del 1935 e dell’art. 2935 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello di Ancona ha stabilito che la prescrizione quinquennale decorre non dalla scadenza dei termini di pagamento della corrispondente contribuzione previdenziale, bensì dal momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2 commi 25 e 26 della legge n. 335 del 1995 e dell’art. 18 comma 12 del DL n. 98 del 2011, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché, erroneamente, la Corte d’appello si era pronunciata sull’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione Separata, sul presupposto che “il mero versamento del cd. contributo integrativo alla Cassa Previdenziale di appartenenza non fosse idoneo a costituire una specifica posizione contributiva in capo al professionista”.
Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 116 comma 8 della legge n. 388 del 2000, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello di Ancona aveva stabilito che “l’odierna fattispecie integra gli estremi dell’evasione contributiva e non della mera omissione”, nonché per violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto l’appellata non aveva provato la circostanza che il ricorrente aveva intenzionalmente omesso di denunciare il reddito da assoggettare alla contribuzione Inps.
Il primo motivo è infondato.
Infatti, si è precisato (Cass. nr. 4419 del 2021 e successive) che nell’intento del legislatore, reso palese dalla lettura del combinato disposto della legge nr. 335 del 1995, art. 2, comma 26 (per come autenticamente interpretato dal D.L. nr. 98 del 2011, art. 18, comma 12, conv. con modif. in legge nr. 111 del 2011), e del D.L. n. 269 del 2003, art. 44 (conv. con modif. in legge nr. 326 del 2003), l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata “all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento. La produzione di un reddito superiore alla soglia di Euro 5.000,00 costituisce, invece, il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità” (in termini, in motivazione, Cass. nr. 4419 del 2021 cit.).
A maggior chiarimento di quanto esposto, si è osservato (Cass. nr. 29272 del 2022, in motivazione, p. 17) che “la produzione di un reddito superiore alla soglia citata vale a privare di rilievo ogni questione circa la natura abituale o occasionale dell’attività libero-professionale da assoggettare a contribuzione, dal momento che il superamento della soglia di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 44 cit., determina comunque la sottoposizione all’obbligo di contribuzione in favore della Gestione separata“.
Nei casi, invece, in cui resta necessario l’accertamento del carattere abituale dell’attività professionale “il Giudice di merito si avvarrà delle presunzioni semplici ricavabili, ad esempio, dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, mentre la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a Euro 5.000,00 potrà semmai rilevare quale indizio – da ponderare adeguatamente con gli altri che siano stati acquisiti al processo – per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con carattere di abitualità” (tra le tantissime, Cass. nr. 4152 del 2023, con richiamo, in motivazione, a Cass. nr. 7231 del 2021).
Si è ancora escluso che l’obbligo contributivo possa riguardare solo il reddito che supera la soglia di Euro 5000,00.
In proposito, si è chiarito che il riferimento normativo a tale importo “rileva solo quale (limite) per l’insorgenza dell’obbligo nei lavoratori occasionali (e solo per essi), mentre non opera quale soglia di esenzione di contribuzione” (Cass. nr. 26327 del 2023, in motiv.) per essere “totalmente estranea una concezione del limite reddituale quale franchigia” (Cass. nr. 27538 del 2023, in motiv.).
Infine, nella specie, c’è stato un accertamento di fatto espresso dalla Corte d’appello sull’esistenza dei requisiti dell’abitualità nell’esercizio della professione (cfr. foglio 4 della sentenza impugnata), con il quale il ricorrente non si confronta.
Il secondo motivo è infondato.
Va, in via preliminare, rilevato come la prescrizione in materia previdenziale sia una questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (Cass. n. 30303 del 2021).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In materia previdenziale, la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi, sicché assume rilievo, ai fini della decorrenza della prescrizione in questione, anche il differimento dei termini stessi, quale quello previsto dalla disposizione di cui all’art. 1, comma 1, D.P.C.M. del 10 giugno del 2010 in relazione ai contributi dovuti per l’anno 2009 dai titolari di posizione assicurativa che si trovino nelle condizioni da detta disposizione stabilite” (Cass. n. 10273 del 2021).
Pertanto, nel caso di specie, il differimento del termine di pagamento concerneva tutti i contribuenti che esercitavano attività economiche per le quali erano stati elaborati gli studi di settore e non soltanto coloro che, in concreto, alle risultanze di tali studi fossero fiscalmente assoggettati per non aver scelto un diverso regime d’imposizione, quale quello di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 1, commi 96 ss.. Ciò detto, alla luce dello slittamento della scadenza per il versamento dei contributi al 6.7.10, sulla base del DPCM del 10.6.2010, la richiesta di pagamento dell’Inps pervenuta al destinatario il 1.7.2015 (cfr. p. 1 della sentenza impugnata), risulta tempestiva e il relativo credito contributivo non è prescritto.
Il terzo motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Gli avvocati iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie che, svolgendo attività libero professionale priva del carattere dell’abitualità, non hanno – secondo la disciplina vigente “ratione temporis”, antecedente l’introduzione dell’automatismo della iscrizione – l’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, alla quale versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti all’albo professionale, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio, sono tenuti comunque ad iscriversi alla gestione separata presso l’INPS, in virtù del principio di universalizzazione della copertura assicurativa, cui è funzionale la disposizione di cui all’art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995, secondo cui l’unico versamento contributivo rilevante ai fini dell’esclusione di detto obbligo di iscrizione è quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale” (Cass. n. 32167 del 2018).
Nella specie, pertanto, il contributo integrativo aveva una mera finalità solidaristica e non era idoneo a soddisfare gli obblighi contributivi del R. alla luce del reddito percepito e del fatto che, per essere iscritto a una Cassa professionale, l’obbligo nasceva dall’accertamento dell’abitualità nell’esercizio della professione.
Il quarto motivo è fondato.
Come ritenuto da questa Corte (cfr. Cass. n. 17970 del 2022), sull’apparato sanzionatorio relativo ai professionisti iscritti d’ufficio alla Gestione separata, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 104 del 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 198 del 2011, art. 18, comma 12 conv. (ndr D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12) in L. n. 111 del 2011, nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui alla L. n. 576 del 1980, art. 22, tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’Inps, siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa contribuzione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore.
In particolare, si è affermato che nella fattispecie in esame l’affidamento dell’avvocato con reddito (o volume d’affari) sotto soglia, prima dell’entrata in vigore della disposizione di interpretazione autentica, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica e generalizzata tutela ex lege per adeguare la disposizione interpretativa al canone di ragionevolezza, deducibile dal principio di uguaglianza (art. 3 Cost., comma 1).
Nell’esercizio della legittima funzione di interpretazione autentica, il legislatore era sì libero di scegliere, tra le plausibili varianti di senso della disposizione interpretata, anche quella disattesa dalla giurisprudenza di legittimità dell’epoca; ma avrebbe dovuto farsi carico, al contempo, di tutelare l’affidamento che ormai era maturato in costanza di tale giurisprudenza.
La reductio ad legitimitatem della norma censurata può, quindi, essere operata mediante l’esonero dalle sanzioni civili per la mancata iscrizione alla Gestione separata INPS relativamente al periodo precedente l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica. In tal modo è soddisfatta l’esigenza di tutela dell’affidamento scusabile, ossia con l’esclusione della possibilità per l’ente previdenziale di pretendere dai professionisti interessati, oltre all’adempimento dell’obbligo di iscriversi alla Gestione separata e di versare i relativi contributi, anche il pagamento delle sanzioni civili dovute per l’omessa iscrizione con riguardo al periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della norma interpretata e quella della norma interpretativa.
Posto che la sentenza della Corte Costituzionale è una sentenza di accoglimento, nei limiti sopra indicati, ne discende che – come ha osservato Cass.17970 del 2022 – in base all’art. 136 Cost., in combinato disposto con la L. n. 87 del 1953, art. 30, il D.L. n. 98 del 2011, art. 18, comma 12 cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, nella parte in cui non prevede che gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’ art. 22 della L. n. 576 del 1980, tenuti all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’Inps, siano esonerati dal pagamento, in favore dell’ente previdenziale, delle sanzioni civili per l’omessa contribuzione con riguardo al periodo anteriore alla sua entrata in vigore.
La sentenza della Corte Costituzionale cancella la norma incostituzionale dall’ordinamento giuridico con riferimento a tutti i rapporti non ancora esauriti, per cui nella presente fattispecie ciò determina che la questione prospettata in ordine alla debenza ed entità delle sanzioni civili, in quanto riferite all’anno 2009 in cui la legge dichiarata incostituzionale non era ancora entrata in vigore, va decisa nel senso che nulla è dovuto per sanzioni civili in conseguenza del confermato obbligo di iscrizione alla Gestione separata da parte della ricorrente incidentale. In definitiva, rigettati i primi tre motivi, la sentenza impugnata va cassata solo in relazione al profilo delle sanzioni e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, dichiarando che parte ricorrente non è tenuta a corrispondere all’INPS le sanzioni in relazione ai contributi oggetto di causa.
Le spese dell’intero processo vanno compensate in ragione della sopravvenienza della sentenza della Corte Costituzionale cui la presente pronuncia ha dato attuazione.
In considerazione dell’esito del giudizio, invece, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, solo in riferimento al profilo delle sanzioni, rigetta i primi tre motivi.
Cassa, in parte qua, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara parte ricorrente non tenuta a corrispondere all’INPS le sanzioni relativamente al periodo contributivo oggetto di causa.
Compensa le spese dell’intero processo.