CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 17351 depositata il 24 giugno 2024

Licenziamento – Danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento – Risarcimento del danno commisurato – Tutela della propria posizione endoaziendale – Termine per l’impugnazione – Tardività del ricorso del lavoratore – Inammissibilità

 Rilevato che

1. con sentenza del 17 aprile 2019, la Corte d’appello di Bari, in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione con sentenza 21 giugno 2018, n. 16443 (di accertamento della cognizione delle domande del lavoratore, di impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli da I. s.p.a. con lettera 8 – 10 ottobre 2014 e conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria dichiarate improcedibili dalla stessa Corte d’appello con sentenza 15 luglio 2016 per ammissione della società datrice alla procedura di amministrazione straordinaria, del giudice del lavoro per l’interesse del ricorrente, non già meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura, ma effettivo alla tutela della propria posizione endoaziendale), ha rigettato il reclamo di C.A. avverso la sentenza di primo grado: di reiezione, in esito a rito F., della sua opposizione all’ordinanza dello stesso Tribunale, di risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti e di spettanza al lavoratore di un risarcimento del danno commisurato a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori;

2. in esito ad argomentato e critico scrutinio delle risultanze istruttorie, lette in filigrana con l’evoluzione contraddittoria delle giustificazioni del lavoratore, la Corte territoriale ha condiviso la valutazione del primo giudice in ordine alla sussistenza del fatto materiale “nient’affatto privo del carattere dell’illiceità, poiché ascrivibile a grave negligenza … e fonte di pregiudizio per l’incolumità delle persone o per la sicurezza degli impianti”.

Come definitivamente accertato, esso era infatti consistito nell’essere il predetto (impegnato il 17 settembre 2014, quale operatore di Pronto intervento meccanico, nel terzo turno dalle ore 23 alle ore 7 successive, a presidiare una vasca dell’impianto di trattamento delle acque del Reparto Nastri treni 2, nonostante l’allarme a video e acustico scattato alle ore 2,46 del 18 settembre 2014 presso il pulpito di controllo da lui occupato) intervenuto a chiudere la valvola di scarico dell’olio in essa contenuto (operazione della durata, comprensiva dello spostamento dalla postazione di controllo alla valvola e ritorno, di due minuti) con quattro ore circa di ritardo (alle ore 6,28 ed avvisando alle ore 6,35 circa il suo preposto), dopo che il livello dell’olio lubrificante all’interno della vasca si era innalzato in modo anomalo, con la successiva tracimazione sua e dell’acqua sulla sede stradale e conseguente sversamento nella fogna; quindi da lì, attraverso il secondo canale di scarico, in mare; con un grave danno patrimoniale per la dispersione dell’olio, le necessarie opere di disinquinamento interne ed esterne allo stabilimento e nocumento all’immagine aziendale;

3. con atto notificato il 17 ottobre 2019, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui la società ha resistito con controricorso;

4. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso dell’inammissibilità e, in ogni caso, del rigetto del ricorso;

5. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.;

6. con ordinanza 2 febbraio 2022, questa Corte ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, per la necessità di acquisizione dalla Cancelleria della Corte d’appello di Bari della certificazione della data di comunicazione al difensore del ricorrente del testo integrale della sentenza impugnata.

Sicché, pervenuta la comunicazione richiesta, essa è stata fissata all’odierna adunanza camerale;

7. la controricorrente ha comunicato ulteriore memoria finale.

Considerato che

1. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 7 l. 300/1970, 12 l. 604/1966, 2119 c.c., 112 c.p.c. e vizio motivo, per inosservanza del principio di immutabilità della contestazione disciplinare, sull’assunto del disvalore della propria condotta nell’abbandono del posto di lavoro e nell’aver procurato pericolo, con lesione del diritto di difesa e del principio di specificità della contestazione, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., 2104, 2105 c.c., 10, lett. B), lett. e), 9, lett. e), l) CCNL di settore, per erronea applicazione della sanzione espulsiva in luogo delle ipotesi punite con sanzione conservativa specificamente previste, a fronte di una contestazione di “ritardo nell’adempimento” del proprio compito, senza aver mai lasciato il proprio posto di lavoro, con sovrapponibilità della condotta alle ipotesi sanzionate dall’art. 9, lett. e), l) CCNL in via conservativa del guasto di materiale “per negligenza o disattenzione” o di diversa trasgressione “in altro modo” (primo motivo);

violazione degli artt. 2712, 2727, 1362 c.c., 115, 116, 189, 420 c.p.c., per avere la Corte territoriale presuntivamente ritenuta la propria capacità di un pronto intervento, con il conseguente addebito del ritardo esclusivamente alla sua condotta, in base ad elementi privi del carattere di gravità, precisione e concordanza, in ordine alle mansioni di riparatore meccanico (in base a curriculum aziendale e sull’erroneo presupposto di non ribadita contestazione nelle note conclusive di primo grado), capace di individuare guasti ma ravvisando superflua la produzione del provvedimento 19 dicembre 2014 dell’Istituto Superiore di Protezione e Ricerca Ambientale (di accertamento dell’assenza, nella pratica operativa per la gestione del trattamento delle acque, di indicazione degli interventi dell’operatore in caso di attivazione di allarmi), pure non ammettendo le prove orali dedotte, siccome miranti alla dimostrazione di circostanze contrarie agli elementi acquisiti in base a presunzioni (secondo motivo);

violazione e falsa applicazione dell’art. 18 legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012, del d.lgs. 81/2008 e degli artt. 421, 115 c.p.c., per la mancanza di illiceità del fatto contestato al lavoratore, a lui non addebitabile, per la verifica dagli Ispettori dell’ISPRA del malfunzionamento del cicalino, pure vittima di un colpo di sonno assimilabile a malore per l’assunzione nel periodo, in quanto soggetto fortemente allergico, di “Cetirizina Sandoz” (farmaco comportante sonnolenza), avendo dovuto la Corte territoriale accertare che la società datrice non avrebbe dovuto assegnargli il compito di vigilanza notturna in questione e non rigettare la prova orale dedotta, sul rilievo di genericità (in difetto di indicazione di giorno, ora e dose di assunzione del farmaco), anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi (terzo motivo);

violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., per mancata applicazione della compensazione delle spese del giudizio tra le parti, in deroga al regime ordinario di soccombenza, per la sua reciprocità in considerazione del parziale accoglimento della domanda del lavoratore (quarto motivo);

2. in via preliminare, deve tuttavia essere esaminata la tempestività del ricorso, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 17 aprile 2019 e “mai notificata” (come puntualizzato nell’epigrafe dello stesso), avendo, tra l’altro, la società controricorrente dedotto la tardività del gravame, per essere stata “copia della sentenza impugnata comunicata dalla Corte d’appello di Bari al sottoscritto difensore a mezzo posta elettronica certificata in pari data, sub. doc. n. 3” (così al primo capoverso di pg. 3 del controricorso);

3. posto che, a norma dell’art. 1, sessantaduesimo comma legge n. 92/2012 applicabile ratione temporis, il ricorso per cassazione deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, è ormai consolidato il principio per cui, nel rito stabilito dalla legge citata (cd. rito F.), la maggiore novità introdotta in tema di impugnazione, rispetto alla disciplina prevista dagli artt. 325 ss. c.p.c., sia rappresentata dal rilievo processuale attribuito alla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria del giudice che lo ha emesso: da essa decorrendo il termine di decadenza per il gravame, a differenza del codice di rito, che lo faceva decorrere unicamente dalla notificazione ovvero, in mancanza di questa, dal trascorrere del cd. termine lungo ai sensi dell’art. 327 c.p.c. (Cass. 3 agosto 2016, n. 16216).

Costituiscono applicazioni del medesimo indirizzo le pronunce, secondo cui il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, previsto dall’art. 1, sessantaduesimo comma legge n. 92/2012, decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di previsione speciale, che in via derogatoria comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell’art. 133, secondo comma c.p.c., nella parte in cui stabilisce che “la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.”, norma attinente al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria» (Cass. 28 settembre 2016, n. 19177; Cass. 20 dicembre 2016, n. 26344; Cass. 13 gennaio 2017, n. 794; Cass. 22 marzo 2017, n. 7351; Cass. 27 marzo 2017, n. 7799; Cass. 2 maggio 2017, n. 10630; Cass. 13 marzo 2018, n. 6059).

E’ stato altresì precisato che il termine breve per proporre reclamo contro la sentenza che decide il ricorso in opposizione decorre dalla comunicazione di cancelleria della sentenza a mezzo PEC, che, come tale, non richiede l’apposizione della formula “Notificazione ai sensi del d.l. 179 del 2012”, prevista dall’allegato 8 delle specifiche tecniche del p.c.t. del 16 aprile 2014 per le sole notificazioni e non anche per le comunicazioni, senza che rilevi che per entrambi gli atti il biglietto di cancelleria contiene il testo integrale del provvedimento trasmesso (Cass. 7 novembre 2019, n. 28751).

In particolare, nell’ipotesi di azione del lavoratore che invochi la tutela ai sensi del testo novellato dell’art. 18 legge n. 300/1970, secondo i principi di ultrattività del rito e dell’apparenza, è stato ritenuto applicabile il rito cd. Fornero a tutte le fasi e gradi del giudizio, compreso quello di rinvio, che rappresenta una fase (seppur autonoma) dell’originario processo; pertanto, anche al ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso nel giudizio rescissorio di rinvio si applica il termine breve di sessanta giorni, che decorre dalla comunicazione di cancelleria ai sensi dell’art. 1, sessantaduesimo comma legge n. 92/2012, quale previsione speciale e derogatoria rispetto a quella generale di cui al novellato art. 133, secondo comma c.p.c. (Cass. 10 dicembre 2019, n. 32263);

3.1. in punto di comunicazione, giova sottolineare la previsione dell’art. 133, secondo comma, prima parte c.p.c. di comunicazione, con biglietto di cancelleria, entro cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza, del testo integrale della sentenza medesima, ribadita dall’art. 45, secondo comma disp. att. c.p.c. e quindi, per effetto della digitalizzazione dell’amministrazione della giustizia, per via telematica agli indirizzi PEC prescritti, a norma dell’art. 16 d.l. 179/2012 conv. con mod. dalla legge n. 221/2012.

In proposito, giova anche richiamare l’insegnamento di questa Corte, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza che definisce il reclamo ai sensi dell’art. 1, sessantaduesimo comma legge n. 92/2012, la comunicazione a cura della cancelleria a mezzo PEC faccia decorrere il termine breve di sessanta giorni per l’impugnazione ove risulti allegato il testo integrale della sentenza, non essendo sufficiente il mero avviso del suo deposito (Cass. 24 ottobre 2017, n. 25136; Cass. 1 marzo 2024, n. 5596);

4. nel caso di specie, il collegio ha, come anticipato, disposto l’acquisizione dalla Cancelleria della Corte d’appello di Bari della “certificazione della data di comunicazione all’Avv. F.A., difensore del ricorrente A.C., del testo integrale della sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1073/2019, pubblicata il 17 aprile 2019”, da questo non allegata.

E la Cancelleria richiesta ha fatto quindi pervenire, in risposta a questo Ufficio, l’attestazione telematica redatta automaticamente dal registro di cancelleria il 4 dicembre 2023 (alle ore 11.53) dei dati riassuntivi della comunicazione telematica richiesta, consegnata all’Avv. F.A., difensore del ricorrente C.A., il 17 aprile 2023 (alle ore 15.02), avente ad oggetto “Deposito sentenza – Pubblicazione” e descrizione “Depositata (Pubblicata) sentenza n. 1073/2019”.

Da essa si trae pertanto (diversamente che nella fattispecie scrutinata dalla citata sentenza di questa Corte 24 ottobre 2017, n. 25136, in motivazione sub p.to 4, in cui si afferma:

“Nel caso in esame l’attestazione depositata è relativa al deposito ed alla pubblicazione della sentenza e dalla stessa non si evince che era stata comunicata la sentenza nel suo testo integrale.

Ne consegue che pertanto tale comunicazione, per le ragioni su richiamate, non è idonea a far decorrere il termine breve previsto dal citato art. 1 comma 62 della legge n. 92 del 2012.”) il riscontro richiesto, di “certificazione della data di comunicazione all’Avv. F.A., difensore del ricorrente A.C., del testo integrale della sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1073/2019, pubblicata il 17 aprile 2019”, in senso positivo ancorché per dati riassuntivi, coerente con la copia della sentenza comunicata al difensore della società controricorrente;

5. così verificata la comunicazione via PEC dalla Cancelleria della Corte d’appello di Bari al difensore del ricorrente della sentenza impugnata il 17 aprile 2017, appare evidente la tardività del ricorso del lavoratore, notificato il 17 ottobre 2019, comportante la sua inammissibilità, con assorbimento di ogni altra questione, la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.