CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 17353 depositata il 24 giugno 2024
Lavoro – Accordo sindacale – Inquadramento superiore – Differenze retributive – Verbali di conciliazione sindacale – Cessazione della materia del contendere
Rilevato che
1. con sentenza 29 giugno (notificata il 10 settembre) 2020, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’appello di (…) (di seguito R.F.I.) s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato il diritto dei lavoratori indicati in epigrafe all’inquadramento superiore (livello professionale di tecnico specializzato operativo, parametro D2), loro riconosciuto dalla datrice con decorrenza dal 18 marzo 2007, fin dal 1° giugno 2006 (da tale data avendo essi svolto le corrispondenti mansioni di Capo Turno – Responsabile di Esercizio DOTE) e condannato la società datrice al pagamento, in loro favore, delle differenze retributive relative alla qualifica superiore, rispetto al trattamento retributivo della precedente (corrispondente ai minimi retributivi propri del profilo professionale tecnici, parametro E);
2. indiscussa la convenuta (con accordo sindacale del 14 febbraio 2006) nuova organizzazione (in merito alla fornitura di energia elettrica ai treni) dei posti di telecomando trazione elettrica (TE), formalizzata nel marzo 2007, con introduzione, accanto a quella già esistente di operatore DOTE (inquadrato nel livello E), della figura di responsabile di esercizio DOTE (inquadrato nel livello D2), in esito a comparazione critica delle declaratorie delle categorie E, D del CCNL del settore del 16 luglio 2003 e verificato a quale di esse corrispondessero le mansioni svolte dal giugno 2006 dai lavoratori, la Corte territoriale ha ritenuto, in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, la spettanza ai lavoratori della qualifica rivendicata;
3. con atto notificato il 2 (5) novembre 2020, la società ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui i lavoratori hanno resistito con controricorso;
4. nelle more dell’odierna adunanza, A.S. e M.O. hanno composto la controversia con R.F.I. s.p.a., con rispettivi verbali di conciliazione sindacale del 28 e del 29 aprile 2021, comportanti in particolare la rinuncia della società al ricorso per cassazione nei loro confronti, accettata dai lavoratori e con la compensazione delle spese tra le parti;
5. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. in via preliminare, sulla base dei suindicati verbali, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere tra le parti interessate, senza assunzione di alcun provvedimento sulle spese di giudizio tra le stesse: dandosi semplicemente atto della loro manifestata volontà in tale senso, a norma dell’art. 92, ultimo comma c.p.c.; né sussistendo il presupposto per il raddoppio del contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012 (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3542);
2. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c., in relazione alle declaratorie previste dal CCNL del 16 luglio 2003 e dell’allegato 1 al verbale di accordo del 14 febbraio 2006, per erronea interpretazione dalla Corte territoriale del superiore livello D, in ragione della esclusa rilevanza dei requisiti, invece in esso stabiliti ma non in capo ai lavoratori, del “coordinamento di personale di livello pari o inferiore”, del “possesso delle prescritte abilitazioni” e del “coordinamento e controllo dei processi e delle attività di personale pari o inferiore” (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. in relazione all’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente attribuito ai lavoratori il superiore livello D2, non avendo essi assolto all’onere probatorio, loro spettante, relativo al possesso dei suindicati requisiti (secondo motivo);
3. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
4. non si configura la violazione di norme di diritto solo apparentemente denunciata, non integrata dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; nel caso di specie, si tratta piuttosto dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., qui non ricorrenti;
4.1. in particolare non ricorre la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto norma censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece, come in questo caso, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti: Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31158);
4.2. in esatta applicazione del procedimento trifasico di individuazione della qualifica corrispondente alle mansioni in concreto svolte (Cass. 27 settembre 2010, n. 20272; Cass. 28 aprile 2015, n. 8589; Cass. 22 novembre 2019, n. 30580; Cass. 27 gennaio 2022, n. 2534), la Corte territoriale ha accertato in fatto le attività lavorative svolte in concreto dai lavoratori (dall’ultimo capoverso di pg. 8 al primo di pg. 11 della sentenza), le ha confrontate con le qualifiche e i livelli previsti dal contratto collettivo di categoria (dall’ultimo capoverso di pg. 7 al penultimo di pg. 8 e al secondo di pg. 11 della sentenza) e ha escluso, con ragioni argomentate, la necessità di riferire al responsabile di servizio un potere di direzione o coordinamento di altri lavoratori (così al penultimo capoverso di pg. 7 della sentenza), non ostando “all’attribuzione della qualifica rivendicata … la circostanza che i lavoratori non avessero all’epoca le prescritte abilitazioni, non essendo neppure affermato trattarsi di titoli autorizzativi prescritti dalla legge”(così al terzo capoverso di pg. 11 della sentenza);
4.3. le censure si risolvono in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria dell’accertamento in fatto della Corte d’appello, congruamente argomentato: e pertanto, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, cui esse spettano in via esclusiva quale giudice del merito, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);
5. pertanto il ricorso, salvo quanto accertato al superiore punto 1, deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio regolate secondo il regime di soccombenza, con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara cessata la materia del contendere tra R.F.I. s.p.a. e i lavoratori A.S. e M.O.;
dichiara inammissibile nel resto il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore delle altre parti controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.