CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 17665 depositata il 26 giugno 2024

Licenziamento collettivo – Ordine giudiziale di reintegrazione in servizio – Risoluzione di diritto per mancata ripresa del servizio a seguito dell’invito datoriale – Trasferimento – Illegittimità del trasferimento – Assenza ingiustificata – Rigetto

Rilevato che

1. la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato il reclamo di P.D. avverso la sentenza del Tribunale di Nola (a sua volta di rigetto dell’opposizione a ordinanza in esito alla fase sommaria nel cd. rito Fornero) e così confermato il rigetto dell’impugnativa del licenziamento intimato il 20.10.2015 con efficacia 11.9.2015 dalla società C.G.I.;

2. a fondamento della propria decisione, la Corte distrettuale ha osservato, in particolare, per quanto qui rileva, che:

– dopo l’ordine giudiziale di reintegrazione in servizio del dipendente per illegittimità del licenziamento collettivo disposto in data 11.1.2013 e il precetto del lavoratore, la società, con comunicazione 7.8.2015, aveva disposto la reintegrazione e trasferito il dipendente presso la sede di Foggia dal 24.8.2015;

– era stata formulata dal lavoratore eccezione di inadempimento per illegittimità del trasferimento, questione rigettata in sede cautelare;

– la data di effettiva ripresa del servizio era quella del 24.8.2015 e, decorso inutilmente il termine per la ripresa di servizio, operava l’automatica risoluzione del rapporto nei 30 giorni dall’invito del datore, potendo questi anche prima contestare l’assenza ingiustificata;

– rimanevano comunque irrilevanti eventuali vizi del licenziamento disciplinare, tenuto conto della risoluzione di diritto per mancata ripresa del servizio entro 30 giorni dall’invito datoriale, ed essendo legittima la reintegra con contestuale trasferimento per mutate condizioni nell’organizzazione del lavoro che rendano impossibile adibire i lavoratori nel luogo di lavoro precedente o alle mansioni pregresse, e stante comunque la sequenza logico temporale successiva tra reintegra e trasferimento;

3. per la cassazione della sentenza d’appello propone ricorso il lavoratore con cinque motivi, cui resiste la società con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Considerato che

1. parte ricorrente deduce, con il primo motivo, falsa applicazione dell’art. 18 legge n. 300/1970 (art. 360, n. 3, c.p.c.) con riferimento al termine di 30 giorni fissato nella seconda parte del comma 1 e nel comma 4; sostiene la possibilità di opzione sino al 12.9.2015, perché la ricezione della comunicazione aziendale era avvenuta il 13.8.2015;

2. con il secondo motivo deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame e apparente motivazione dell’incidenza del suddetto termine, essendo stata disposta l’efficacia del licenziamento da data anteriore;

3. con il terzo motivo deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame e apparente motivazione circa la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 2103 c.c. per il trasferimento e inversione del rischio di trovarsi con due lavoratori sul posto di lavoro;

4. con il quarto motivo, deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame e apparente motivazione sulla sussistenza del grave inadempimento della società ai danni del dipendente;

5. con il quinto motivo deduce (art. 360, n. 3 e n. 5 c.p.c.) omessa motivazione sulla sussistenza dei presupposti normativi dell’eccezione di inadempimento sull’inesistenza giuridica del giudicato cautelare ed erronea qualificazione giuridica della reintegra/trasferimento presso unità produttiva in dismissione;

6. il primo motivo non è fondato; 

7. le norme richiamate nel motivo di ricorso stabiliscono che, a seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro;

8. secondo la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. n. 3264/2023), in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro, nell’ottemperare all’ordine di reintegrazione, non ha l’obbligo di fissare al lavoratore il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’invito per la ripresa del servizio e può viceversa indicare anche una data anteriore, salvo che l’effetto risolutorio di diritto opera dallo scadere del trentesimo giorno dal ricevimento di detto invito, ove il lavoratore non abbia esercitato il diritto di opzione per l’indennità sostitutiva, rimanendo la retribuzione dovuta sino a tale termine;

9. prevedendosi che, nell’ipotesi in cui non sia stato esercitato tempestivamente il diritto di opzione ovvero il lavoratore non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dal ricevimento del formale invito del datore di lavoro, il rapporto si intende risolto di diritto, non viene imposto al datore di lavoro di fissare al lavoratore il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’invito per la ripresa del servizio; al decorso di tale termine è però ancorata la produzione dell’effetto della risoluzione di diritto del rapporto, fissata, appunto, al trentesimo giorno successivo al ricevimento dell’invito ove il lavoratore, come nel caso di specie, non abbia esercitato il diritto di opzione né abbia ripreso servizio; ciò significa che il datore di lavoro può indicare per la ripresa del servizio anche una data anteriore allo scadere dei 30 giorni, e, in tal caso, il rapporto di lavoro sarà sì risolto di diritto, ma solo allo scadere del trentesimo giorno dal ricevimento di detto invito, rimanendo sino a tale termine dovuta la retribuzione

10. neppure è normativamente prevista la nullità del termine inferiore a 30 giorni per riprendere servizio eventualmente fissato dal datore di lavoro, in assenza di esercizio dell’opzione sostitutiva della reintegra o di ripresa del servizio;

la fissazione di tale termine per legge risponde, da un lato, all’interesse del lavoratore illegittimamente licenziato di vedersi concesso un congruo spatium deliberandi al fine di adottare con la necessaria ponderazione le proprie determinazioni, con obbligo del datore di lavoro di corrispondere, pur in mancanza della prestazione lavorativa, la retribuzione per il periodo compreso fra la data della sentenza che ordina la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e quella dell’effettiva ottemperanza all’ordine giudiziario, che viene meno non già il giorno del ricevimento dell’invito da parte del lavoratore, bensì allo scadere del trentesimo giorno successivo, solo in quest’ultima data verificandosi l’effetto (risoluzione del rapporto di lavoro) previsto dalla legge per il caso che il lavoratore non aderisca all’invito; d’altro lato, viene considerata e tutelata anche l’esigenza datoriale di evitare situazioni di prolungata incertezza o di cd. stallo;

11. conformemente al dato normativo, pertanto, la Corte di merito ha rilevato che, non avendo, pacificamente, l’odierno ricorrente ripreso servizio nei 30 giorni dall’invito datoriale (tra la data indicata per la ripresa del servizio del 24.8.2015 e la comunicazione di licenziamento del 20.10.2015), realizzatosi così l’effetto risolutorio di diritto stabilito dalla normativa pertinente, diviene irrilevante il dedotto vizio del licenziamento disciplinare impugnato; conseguentemente, è irrilevante in via derivata anche la questione della retrodatazione del licenziamento, attinente al diverso effetto della durata e del termine finale dell’obbligo retributivo datoriale, peraltro non dedotta nei motivi di ricorso (né più deducibile);

12. il secondo, terzo e quarto motivo sono inammissibili;

13. la Corte d’Appello ha confermato le statuizioni di primo grado, così realizzandosi l’ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori (come nel caso in esame, in cui la Corte ha proceduto a integrazioni motivazionali) per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023);

14. il quinto motivo è infondato quanto alla censura di violazione di legge; la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (espressamente richiamata in motivazione) secondo cui l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, fermo restando che, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l’onere di provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento (ex multis, cfr. Cass. n. 23595/2018 n. 11180/2019);

15. essendo in astratto legittimo, a determinate condizioni, il trasferimento del lavoratore contestualmente alla reintegrazione (con conseguente rigetto del motivo nella parte riferita alla dedotta violazione dell’art. 360, n. 3, c.p.c.), la valutazione in concreto della sussistenza, nel caso di specie, delle ragioni legittimanti lo stesso e quindi (essendo esse state ritenute sussistenti) della non opponibilità di eccezione di inadempimento, non è rivedibile in questa sede in presenza di pronuncia di merito cd. doppia conforme (con conseguente inammissibilità del motivo nella parte riferita alla dedotta violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c.);

16. il ricorso deve pertanto essere respinto;

17. in ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, in favore di parte controricorrente;

18. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.