CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 1970 depositata il 18 gennaio 2024
Lavoro – Licenziamento collettivo – Reclamo – Azienda in concordato preventivo – Reintegrazione nel posto di lavoro – Più unità produttive – Delimitazione territoriale della platea dei lavoratori da licenziare – Professionalità lavoratori – Principio di fedeltà ai precedenti – Ragioni tecnico-produttive – Comunicazione di apertura della procedura – Rigetto – il principio di fedeltà ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale affidata alla Corte di cassazione
Rilevato che
1. con sentenza 7 gennaio 2021, la Corte di appello di L’Aquila ha rigettato il reclamo proposto da T. s.r.l. in concordato preventivo avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo intimato al lavoratore indicato in epigrafe con lettera del 22 dicembre 2017 e ne aveva ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro, condannando l’azienda alla tutela risarcitoria prevista dall’art. 18, quarto comma della legge n. 300 del 1970.
2. la Corte distrettuale – esclusa, preliminarmente, la nullità della sentenza di primo grado per insussistenza di profili di inammissibilità o improponibilità a causa della proposizione di un ricorso cumulativamente proposto dai lavoratori carenti di interesse ad agire (procedimento proposto unitariamente e scisso, poi, nella sede sommaria di cui all’art. 1, comma 48 legge n. 92 del 2012, in altrettanti procedimenti corrispondenti ai singoli lavoratori ricorrenti) – ha accertato l’illegittimità del licenziamento in considerazione della ingiustificata limitazione della platea dei dipendenti alla sede aziendale di L’Aquila, a fronte di una motivazione del tutto standardizzata della comunicazione di avvio della procedura di mobilità, incentrata esclusivamente sulla dislocazione geografica del personale, essendo invece emerso dal quadro istruttorio documentale e testimoniale acquisito che presso la sede di L’Aquila fossero presenti professionalità del tutto comparabili con quelle presenti nelle altre sedi della società e, in particolare, che il patrimonio professionale dei lavoratori licenziati (concernente il settore delle telecomunicazioni) fosse utilizzabile presso le altre sedi e che il passaggio da un settore produttivo (telecomunicazioni) ad un altro (spazio, difesa, automotive, ferroviario) non richiedesse un’attività formativa particolarmente onerosa e complessa.
3. con atto notificato il 9 marzo 2022, la società ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.
4. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, la società ha denunziato nullità della sentenza per violazione degli artt. 99, 112 c.p.c., in relazione all’art. 278 c.p.c., per avere la Corte territoriale confermato la sentenza di primo grado e, dunque, adottato una condanna generica di pagamento delle mensilità risarcitorie nonostante il ricorrente non avesse mai chiesto una pronuncia limitata all’an, la quale, pertanto, non poteva essere pronunciata ex officio; la domanda di condanna al risarcimento del danno doveva, in realtà, essere respinta per carenza di prova sugli elementi del credito, pur dovendosi altresì sottolineare che la scissione tra processo sull’an e processo sul quantum viola il principio di ragionevole durata del processo, risolvendosi in un pesante aggravamento dei tempi del giudizio.
2. Con il secondo e il terzo motivo, essa ha denunziato nullità della sentenza per violazione degli artt. 100 e 414 c.p.c., nonché 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., posto che l’originaria proposizione di un unico ricorso cumulativamente concernente tutti i 56 lavoratori della sede di L’Aquila (causa poi separata, dal Tribunale, in altrettante 56 cause corrispondenti a ciascun lavoratore, di cui 26 conciliate) dimostrava la carenza di interesse ad agire di ciascun lavoratore in quanto le circostanze di fatto e di diritto allegate nel ricorso introduttivo erano le medesime per ogni ricorrente, non emergendo il pregiudizio in concreto subìto da ogni lavoratore. La radicale indeterminatezza, genericità e lacunosità dell’unico ricorso introduttivo non faceva comprendere quale fosse l’interesse ad agire in capo ai singoli ricorrenti; la Corte territoriale ha adottato una motivazione perplessa e incomprensibile in ordine all’interesse ad agire di ciascun ricorrente, mancando – con riferimenti a 17 dei 56 lavoratori originariamente ricorrenti – un riferimento specifico ai suddetti lavoratori.
3. Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunziato nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di appello, concernente l’omesso svolgimento, da parte del Tribunale, dell’istruttoria in merito alle posizioni personali dei singoli ricorrenti (a seguito della separazione dell’originario ricorso cumulativo).
4. Con il quinto motivo, essa ha denunziato la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, primo comma della legge n. 223 del 1991, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, 3 della legge n. 604 del 1966, anche come error in procedendo, per avere la Corte territoriale trascurato una lettura della normativa che escluda l’esigibilità della comparazione tra i dipendenti quando questa risulti oggettivamente incompatibile con le esigenze aziendali per ragioni geografiche, essendo collocate le diverse sedi operative della società a centinaia di chilometri l’una dall’altra, ognuna con il proprio organigramma efficiente e funzionante, e imponendo, la comparazione, secondo la valutazione globale dell’azienda, conseguenze irrazionali quali i trasferimenti di decine di dipendenti a notevole distanza dalle rispettive sedi di assegnazione, in spregio al processo di riorganizzazione limitato alla soppressione di una unità produttiva.
5. Con il sesto motivo si denuncia, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, nono comma e 5, primo e terzo comma della legge n. 223 del 1991, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, anche come error in procedendo, per avere la Corte territoriale erroneamente applicato la tutela reintegratoria (invece che risarcitoria) posto che la violazione del criterio di scelta ha configurato un vizio meramente formale e non sostanziale, consistente – come lo stesso giudice del merito esplicita – nella scarsa chiarezza dei criteri esposti, dalla società, nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento.
6. Tutte le questioni illustrate con i suesposti motivi di ricorso sono già state esaminate e ritenute inammissibili o non fondate da decisioni della Corte rese in controversie concernenti la stessa vicenda (Cass. nn. 21749, 21770, 22232, 22284 del 2023). Pertanto, in mancanza di ragioni nuove e diverse da quelle disattese nei giudizi analoghi, deve operare il principio di fedeltà ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale affidata alla Corte di cassazione (Cass. s.u. 4 luglio 2003, n. 10615; Cass. 15 aprile 2003, n. 5994;). Si rinvia, di conseguenza, alla motivazione dei precedenti richiamati, di cui si espongono in sintesi i punti essenziali.
7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto le doglianze appaiono nuove, non essendo state le questioni della proposizione di una domanda di condanna generica e della infrazionabilità dei crediti specificamente trattate nella decisione impugnata, né avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della loro tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della loro devoluzione al Giudice del gravame; in ogni caso, le censure appaiono altresì infondate, sia perché dalla stessa descrizione del ricorrente emerge che la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno è stata proposta dai lavoratori senza alcuna specificazione né quantificazione delle somme pure genericamente pretese (risultando, quindi, corretta l’interpretazione del giudice del merito come diretta ad ottenere una condanna generica al pagamento del risarcimento previsto dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970), sia perché l’esame diretto del ricorso introduttivo del giudizio dimostra che i lavoratori avevano avanzato una domanda di condanna generica al pagamento del risarcimento del danno.
8. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili, in quanto le censure non colgono la ratio decidendi, perché la ricorrente insiste sulla carenza di interesse ad agire dei lavoratori manifestata dalla genericità del ricorso (cumulativo) introduttivo del giudizio, ma nulla deduce sulla interpretazione dell’atto introduttivo del giudizio posta a fondamento della pronuncia impugnata, ove la Corte territoriale, nelle premesse, ha precisato che “l’atto introduttivo della fase sommaria contiene una concisa (ma sufficiente) descrizione dei profili professionali dei singoli lavoratori licenziati (v. pag. 7-10) nonché griglie di comparazione con i profili professionali del personale assegnato ad altre sedi (v. pag. 11-15)”, concludendo che i dati ivi contenuti erano “pienamente sufficienti a dare ragione dei presupposti costitutivi del diritto vantato dalla parte attrice”. Né si configura il caso di una motivazione graficamente mancante, come richiede la violazione dell’art. 132 c.p.c.
9. Il quarto motivo di ricorso non è fondato, avendo, la Corte territoriale, implicitamente respinto la richiesta di istruttoria in merito alle posizioni personali dei singoli ricorrenti, posto che ha precisato che “La parte attrice ha allegato griglie di comparazione (non contestate nel loro contenuto) che, per ciascun profilo professionale, evidenziano come presso la sede di L’Aquila fossero presenti professionalità del tutto comparabili a quelle presenti nelle altre sedi Intecs, presso le quali non è stata avviata alcuna procedura di riduzione di personale” (pag. 10 della sentenza impugnata), ed ha aggiunto che la lettera di avvio della procedura di mobilità, la lettera di chiusura della procedura, la prova testimoniale espletata, dimostravano la fungibilità di tutti i lavoratori con i colleghi appartenenti alle altre sedi della società e la sussistenza di una unica (illegittima) ragione di licenziamento consistente nella dislocazione geografica del personale.
10. Il quinto motivo di ricorso non è fondato: questo Collegio intende ribadire gli orientamenti consolidati elaborati dalla Corte sia in materia di irrilevanza di eventuale aggravio di costi per l’azienda (dovuti al trasferimento in altra sede dei lavoratori appartenenti alla sede soppressa), rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile (v. Cass. n. 17177 del 2013; Cass. n. 32387 del 2019; da ultimo, Cass. n. 1245 del 2022 e Cass. n. 410 del 2023) sia con riguardo alla possibilità di circoscrivere l’ambito di operatività del licenziamento collettivo ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive che siano altresì coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991 (v. Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015, Cass. n. 2429 e 22655 del 2012, Cass. n. 9711 del 2011; in tema di obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali v. Cass. n. 4678 cit., Cass. n. 22178 del 2018, Cass. n. 12040 del 2021; sull’onere probatorio che incombe sul datore di lavoro v. recentemente Cass. n. 15953 del 2021; Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015; Cass. nn. 2429 e 22655 del 2012; Cass. n. 9711 del 2011 nonché sulla fungibilità delle mansioni v. Cass. n. 13783 del 2006; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 15953 del 2021).
10.1. Nel caso di specie, la Corte territoriale, con accertamento insindacabile in questa sede di legittimità, ha rilevato che le ragioni tecnico-produttive che richiedevano la delimitazione territoriale della platea dei lavoratori da licenziare erano esposte nella comunicazione di apertura della procedura ex legge n. 223 del 1991 in maniera del tutto standardizzata, trascurando il livello di professionalità proprio dell’inquadramento posseduto da ciascun lavoratore e le competenze eventualmente acquisibili attraverso un normale periodo di formazione di riqualificazione on the job (pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata), ed ha tratto, quindi, le conseguenze conformi alla giurisprudenza di legittimità citata.
10.2. La Corte territoriale ha rispettato i principi sopra enunciati della necessaria verifica della compatibilità, quanto al contenuto della comunicazione preventiva, della disciplina di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991 estesa anche alla chiusura di un insediamento produttivo, con i risultati in concreto perseguibili in relazione a tale chiusura.
11. Il sesto motivo, attinente al sistema sanzionatorio, non è fondato, avendo, la Corte territoriale, correttamente applicato i principi più volte ribaditi da questa Corte secondo cui “in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale debba riferirsi a più unità produttive ma il datore di lavoro, nella fase di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità, tenga conto unilateralmente dell’esigenza aziendale collegata all’appartenenza territoriale ad una sola di esse, si determina violazione dei criteri di scelta per la quale l’art. 5, comma 1, della l. n. 223 del 1991, come sostituito dall’art. 1, comma 46, della l. n. 92 del 2012, prevede l’applicazione del comma 4 dell’art. 18 novellato della l. n. 300 del 1970” (v. Cass. n. 18847 del 2016; Cass. n. 20502 del 2018; da ultimo, Cass. n. 1245 del 2022 e Cass. n. 410 del 2023).
12. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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