Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 19759 depositata il 17 luglio 2024
Contributi, attività dell’impresa, art. 2070 c.c.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 23.1.2019, la Corte d’appello di Campobasso ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato l’opposizione proposta da P.M. s.r.l. avverso l’avviso di addebito con cui l’INPS, in esito ad un accertamento ispettivo con cui aveva ritenuto che l’attività da essa svolta avesse natura commerciale, le aveva richiesto differenze contributive rivenienti dall’applicazione del CCNL per i dipendenti delle imprese del terziario, in luogo di quello applicato dall’impresa per i dipendenti di studi professionali;
che avverso tale pronuncia P.M. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che l’INPS ha resistito con controricorso;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 24.4.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380-bis.1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. nonché del verbale di accordo 29.7.2008 per il rinnovo del CCNL 3.5.2006 e del CCNL per i dipendenti di studi professionali del 29.11.2011, per avere la Corte di merito ritenuto che esso non dovesse applicarsi ai fini dell’individuazione della retribuzione- parametro su cui calcolare i contributi dovuti, ancorché il CCNL cit. disciplini, oltre ai rapporti di lavoro dipendente nell’ambito delle attività professionali, anche “i rapporti di lavoro tra gli altri datori di lavoro che svolgono altre attività e servizi strumentali e/o funzionali alle stesse e il relativo personale dipendente”; che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta falsa applicazione del CCNL per i dipendenti del terziario per avere la Corte territoriale ritenuto la sua applicabilità sul presupposto che la sua attività fosse “maggiormente assimilabile a quella di un’impresa operante nel settore terziario, la cui precipua attività è quella di fornire servizi a persone e imprese”;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di omesso esame circa un fatto decisivo per non avere la Corte di merito debitamente considerato che il socio dott. Francesco Potito aveva svolto funzioni di direttore sanitario ai fini di cui alla legge n. 412/1991;
che, con il quarto motivo, la ricorrente deduce nullità della sentenza per motivazione apparente e irriducibilmente contraddittoria rispetto alle emergenze probatorie e documentali acquisite in allegato al ricorso introduttivo del giudizio;
che, al riguardo, va premesso che i giudici territoriali, dopo aver rilevato che l’attività dell’odierna ricorrente consiste nel fornire mezzi strumentali all’esercizio dell’attività professionale degli specialisti che si avvalgono della sua struttura (locali, attrezzature, personale amministrativo per il disbrigo di attività di segreteria) e che quest’ultima resta affatto estranea all’attività sanitaria svolta dal professionista, ha escluso che potesse essersi in presenza di uno studio professionale, “atteggiandosi la stessa come un vero e proprio imprenditore commerciale con attività diretta a fornire ai professionisti esterni […]i locali in cui esercitare l’attività [e] una serie di attività alla stessa funzionali” (così pag. 7 della sentenza impugnata);
che l’anzidetto accertamento in fatto deve considerarsi ormai intangibile in questa sede di legittimità anche in ragione della previsione dell’art. 348-ter ult. co. c.p.c., nel testo vigente ratione temporis, con conseguente inammissibilità del terzo e del quarto motivo, in cui il vizio di motivazione è peraltro erroneamente prospettato in relazione alle emergenze processuali, nonostante le plurime precisazioni rese in proposito da questa Corte a far data da Cass. S.U. n. 8053 del 2014 circa l’impossibilità di dedurre la nullità della sentenza per vizio di motivazione mercé il raffronto con le risultanze processuali (così da ult. Cass. n. 7090 del 2022);
che, ciò posto, deve ulteriormente ricordarsi che questa Corte ha da tempo chiarito che l’inquadramento ai fini contributivi di cui all’art. 1 d.l. n. 338/1989, cit., per come autenticamente interpretato dall’art. 2, comma 25, l. n. 549/1995, va correlato all’attività effettivamente svolta dall’impresa, ex art. 2070 c.c., dovendo necessariamente farsi ricorso, in ragione del rilievo pubblicistico della materia, ad un criterio oggettivo e predeterminato che non lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili, stante il principio di libertà sindacale e la non operatività dell’art. 2070 cit. nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori, sia pure nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali garantiti dall’art. 36 Cost. (così già Cass. n. 801 del 2012, in motivazione, sulla scorta di Cass. S.U. n. 11199 del 2002, nonché da ult. Cass. n. 623 del 2024, sempre in motivazione);
che, pertanto, i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro inscindibile connessione, risultano inammissibili ex art. 360-bis n. 1 c.p.c., rilevando ai fini dell’art. 1, d.l. n. 338/1989, il fatto oggettivo della natura commerciale dell’impresa e restando per converso irrilevante la latitudine applicativa del CCNL per i dipendenti di studi professionali;
che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 4.200,00, di cui € 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.