CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 21294 depositata il 30 luglio 2024

Lavoro – Restituzione delle trattenute sulla retribuzione – Illegittimità dell’accordo aziendale – Violazione dell’art.8 del D.L. n. 138/2011 – Rigetto

Rilevato che

1. Con sentenza n. 991 pubblicata il 14.12.2020, la Corte d’appello di Palermo rigettava l’appello della (…) (F.O.S.S.) avverso la sentenza di primo grado, che l’aveva condannata alla restituzione, in favore di P.C., delle trattenute sulla retribuzione da settembre a dicembre 2013, in base alla previsione di riduzione del 15% contenuta nell’accordo aziendale del 6.9.2013, trattenuta economica ritenuta illegittima per violazione dell’Accordo Interconfederale del 28.6.2011;

2. la Corte territoriale ribadiva l’illegittimità delle trattenute – giustificata in base all’operata riduzione retributiva – a fronte dell’accertata assenza di rimodulazione dell’intera disciplina dell’organizzazione del lavoro (orario, mansioni, …); la riduzione retributiva risultava, pertanto, adottata al di fuori della deroga consentita – dal punto 7) dell’Accordo Interconfederale – in favore della contrattazione aziendale (come previsto attraverso specifiche intese per materie tassative dall’art. 8 d.l. 138 del 2011 conv. con mod. in legge n. 148 del 2011); rilevava, inoltre, l’irrilevanza del mantenimento della retribuzione (decurtata) al di sopra dei minimi salariali, posto che la riduzione aveva violato il principio di “giusta retribuzione”, di rilievo costituzionale, in quanto non parametrata ad una proporzionata modifica della quantità e qualità della prestazione lavorativa; la Corte ha liquidato, a titolo di spese di lite, a favore del lavoratore, la somma di euro 1.889,00, oltre accessori di legge;

3. la Fondazione ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso, proponendo un motivo di ricorso incidentale; l’INPS ha depositato procura.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

Considerato che

1. la ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, omesso di pronunciarsi sul primo motivo di appello della Fondazione, ove si rilevava che il lavoratore non aveva proposto, a supporto della domanda di condanna al pagamento delle somme richieste, la nullità dell’Accordo:

2. con il secondo ed il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 8, d.l. n. 138 del 2011 (conv. con mod. in legge n. 148 del 2011), in combinato disposto con l’art. 36 Cost. e con il punto 7 dell’Accordo Interconfederale 28.6.2011, nonché con l’art. 115 cod.proc.civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto illegittima la riduzione di retribuzione per effetto della disciplina dell’accordo aziendale 6.9.2013, nonostante l’espressa delega contenuta nell’Accordo Interconfederale, in presenza (secondo la previsione della norma di legge denunciata di violazione) della legittimante condizione di gestione di crisi aziendale e rientrando l’intervento nella materia specificamente elencata della “disciplina del rapporto di lavoro”, sull’erronea interpretazione della necessità di una corrispondente modificazione della prestazione lavorativa nell’orario e nella sua organizzazione: con attribuzione di un significato diverso da quello letterale e di intenzione del legislatore; per giunta, sull’assunto di irrilevanza del rispetto del parametro esterno dell’art. 36 Cost., avendo i dipendenti comunque percepito un trattamento retributivo superiore ai minimi del CCNL di categoria;

3. con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c., per l’interpretazione giudiziale dell’accordo aziendale esclusivamente in base al suo tenore letterale, senza considerazione dell’intenzione delle parti, che avevano dichiarato nella premessa di aver tenuto conto della “grave condizione economico-finanziaria” della Fondazione “che non consente per l’anno 2013, ove non si proceda ad una riduzione dei costi, di continuare l’attività”: così operando un’immediata riduzione delle retribuzioni nella contemporanea previsione di riorganizzazione complessiva del lavoro con singole misure da individuare concretamente con successivo accordo (secondo motivo);

4. con l’unico motivo di ricorso incidentale, il lavoratore denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., 2233 c.c. e 2 e 4 del d.m. n. 55 del 2014, avendo, la Corte territoriale, liquidato le spese di lite in misura inferiore ai limiti di legge, considerato un valore della controversia pari a 6.453,59;

5. il ricorso principale è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha scrutinato le medesime questioni oggetto del presente ricorso (Cass. nn. 33131 del 2021; Cass. nn. 11931 e 14232 del 2023; nonché due decreti di estinzione a seguito di proposta di definizione del giudizio ex art. 380bis c.p.c., Cass. nn. 31736 e 32893 del 2023) e rilevato che non si ravvisano ragioni per discostarsi da tali precedenti;

6. si rinvia, di conseguenza, alla motivazione dei precedenti richiamati, di cui si espongono in sintesi i punti essenziali e di cui si ribadisce il principio di diritto: “È illegittima, per violazione dell’art. 8 d.l. 138/2011 conv. con mod. in I. 148/2011, la riduzione di retribuzione stabilita, in misura del 15%, dal punto 2 dell’accordo aziendale 6 settembre 2013, nonostante l’espressa delega contenuta nell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, in quanto non definibile quale intervento di disciplina del rapporto di lavoro, per la mancata contestualità della suddetta riduzione immediata e della riorganizzazione complessiva del lavoro, da realizzare con un futuro accordo con le organizzazioni sindacali“;

7. il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto – in disparte i pur decisivi profili di difetto di specificità (mancando del tutto la trascrizione anche delle parti rilevanti del ricorso introduttivo del giudizio di cui si lamenta l’erronea valutazione da parte del giudice di merito) – la lettura complessiva della sentenza impugnata rende evidente che la Corte territoriale ha ritenuto di accogliere la domanda dei lavoratori di declaratoria della illegittimità dell’accordo aziendale del 2013 di riduzione dello stipendio proprio in considerazione della nullità di detto accordo in quanto contrario a norma imperativa, ossia stipulato in violazione dell’art.8 del d.l. n. 138 del 2011;

8. i restanti motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati; 

8.1. l’art. 8 d.l. d.l. n.138 del 2011 conv. in legge n. 148 del 2011 deve essere interpretato, secondo il suo chiaro tenore letterale e l’intenzione del legislatore, come istitutivo della possibilità delle specifiche intese illustrate nelle materie, da intendere come tassative e pertanto rigorosamente tipizzate nella loro individuazione, riguardanti l’organizzazione del lavoro e, in particolare, le “modalità di disciplina del rapporto di lavoro” (secondo comma, lett. e): nel senso di accordi di rimodulazione organica delle regole di svolgimento della prestazione lavorativa, nel suo assetto di orari, mansioni, organizzazione complessiva delle relazioni interne all’impresa nel proporzionato equilibrio dei reciproci diritti e doveri delle parti del rapporto;

8.2. dalla lettura dei citati punti 2) e 6) dell’Accordo aziendale del 6.9.2013 risulta, da una parte, l’immediata ed esclusiva riduzione per il periodo indicato del 15% della retribuzione e, dall’altra, una non altrettanto attuale “riorganizzazione complessiva del lavoro”, in quanto “da concordare con le OO.SS”: sicché, la specifica intesa non è certamente definibile alla stregua di intervento di disciplina del rapporto di lavoro, essendo anzi espressamente escluso dall’impegno di una riorganizzazione complessiva rinviata ad un futuro accordo;

8.3. appare, allora, corretta l’interpretazione della Corte territoriale dell’Accordo aziendale, interpretazione che pertiene, giova ribadire, in via esclusiva al giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità, soltanto nei limiti del vizio motivo, nel testo applicabile ratione temporis e per violazione dei criteri interpretativi (Cass. n. 21888 del 2016; Cass. n. 4460 del 2020), mentre le censure, piuttosto che denunciare una violazione delle regole ermeneutiche (peraltro nello specifico insussistente), prospettano una diversa lettura degli accordi;

9. il ricorso incidentale non è fondato;

9.1. Premesso che questa Corte ha recentemente affermato che, a seguito della novella del d.m. n. 55 del 2014 ad opera del d.m. n. 37 del 2018, va sancita l’inderogabilità da parte del giudice (chiamato a liquidare i compensi a carico del soccombente ovvero in assenza di preventivo accordo tra le parti) dei minimi fissati dal d.m. n. 55 del 2014 (Cass. n. 10438 del 2023), la Corte territoriale ha rispettato i minimi di tariffa concernente le cause in appello. Invero, preso a riferimento lo scaglione di spese indicato dal lavoratore-ricorrente in via incidentale (ossia euro 6.453,59, scaglione 5.200-26.000), i compensi spettanti per una controversia in sede di appello sono i seguenti: fase di studio 540,00 euro (pari al 50%, ex art. 4 del d.m. n. 55 del 2014, come aggiornato dal d.m. n. 37 del 2018, di euro 1.080); fase introduttiva del giudizio 438,50 euro; (esclusa la fase istruttoria, non essendo state svolte attività al riguardo) fase di decisione 910,00, per la complessiva somma di euro 1.888,50, minimo di tariffa che risulta, dunque, rispettato dalla sentenza impugnata;

10. in conclusione, il ricorso principale e il ricorso incidentale vanno entrambi rigettati;

11. in ragione della reciproca soccombenza, si reputa di compensare in parte le spese del giudizio nella misura della metà.

La restante metà va posta a carico della ricorrente, cui è da addebitarsi maggiormente la causalità della lite.

Nulla nei confronti dell’INPS, che non ha svolto significativa attività difensiva; va posto a carico di ciascuna parte il contributo unificato raddoppiato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa per metà le spese di lite fra le parti; condanna la Fondazione ricorrente al pagamento delle restanti spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 1.800,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.