CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 22186 depositata il 6 agosto 2024

Licenziamento individuale – Giustificato motivo oggettivo – Impossibilità di repêchage – Difetto di indicazione dei motivi – Difetto di prova – Allegazione e prova dell’impossibilità di repêchage – Quantificazione del risarcimento – Richiesta indennità risarcitoria – Rigetto – l’improcedibilità del gravame opera in caso di omissione della notifica e non di sua tardività, che semmai giustifica una rimessione in termini ai fini dell’esercizio di tutte le facoltà difensive; segnatamente, nel rito del lavoro, qualora l’appellante notifichi il ricorso privo del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, il vizio relativo alla vocatio in ius è sanato dalla costituzione dell’appellato, che ha diritto alla rimessione in termini per la proposizione dell’appello incidentale dalla quale sia eventualmente decaduto in conseguenza del suddetto vizio

Rilevato che

1. la Corte d’Appello di Salerno, in riforma di sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania, in accoglimento dell’appello proposto da D.F. nei confronti della s.a.s. E. di B.C., dichiarato estinto il rapporto di lavoro, condannava la società al pagamento in favore dell’appellante di un’indennità pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, oltre accessori;

2. in particolare, la Corte territoriale disponeva il mutamento del rito, da rito speciale ex lege n. 92/2012 a rito ordinario del lavoro (mentre il Tribunale aveva ritenuto inammissibile la domanda ex lege n. 604/1966 promossa nelle forme del rito speciale);

giudicava infondate le eccezioni di inammissibilità e improcedibilità dell’appello;

dichiarava illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato il 22.10.2016, sia per difetto di indicazione dei motivi, sia per difetto di prova anche dell’impossibilità di repêchage;

liquidava l’indennità risarcitoria nella misura sopra indicata;

3. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre la società con sei motivi;

resiste il lavoratore con controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Considerato Che

1. con il primo motivo parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) omessa motivazione sulla mancata declaratoria di inammissibilità o improcedibilità della domanda (art. 434 c.p.c.) per mancata indicazione delle circostanze e delle violazioni di legge della sentenza di primo grado nell’atto di appello;

2. il motivo non è fondato;

3. la sentenza impugnata è motivata sul punto e conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non può considerarsi aspecifico e deve, quindi, essere dichiarato ammissibile, il motivo d’appello che esponga il punto sottoposto a riesame, in fatto ed in diritto, in modo tale che il giudice sia messo in condizione (senza necessità di esplorare, in assenza di parametri di riferimento, le vicende processuali) di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo, tuttavia, che l’appellante alleghi e, tantomeno, riporti analiticamente le emergenze di causa rilevanti, le quali risultino investite ed evocate non equivocamente dalla censura, diversamente da quel che è previsto per l’impugnazione a critica vincolata (cfr. Cass n. 7675/2019);

4. con il secondo motivo parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c.) improcedibilità del giudizio per omessa tempestiva notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza (art. 1, comma 52, legge n. 92/2012);

5. il motivo non è fondato;

6. secondo i principi generali, l’improcedibilità del gravame opera in caso di omissione della notifica e non di sua tardività, che semmai giustifica una rimessione in termini ai fini dell’esercizio di tutte le facoltà difensive; segnatamente, nel rito del lavoro, qualora l’appellante notifichi il ricorso privo del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, il vizio relativo alla vocatio in ius è sanato dalla costituzione dell’appellato, che ha diritto alla rimessione in termini per la proposizione dell’appello incidentale dalla quale sia eventualmente decaduto in conseguenza del suddetto vizio (cfr. Cass n. 20601/2023);

7. con il terzo motivo parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 1, comma 47, 48, 49 e 51 legge n. 92/2012;

8. il motivo non è fondato;

9. procedendo al mutamento del rito, anziché alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso originario, dando atto che il medesimo presentava i requisiti di cui all’art. 414 c.p.c., la Corte di Salerno si è conformata alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in via generale, l’inesattezza del rito non determina di per sé nullità della sentenza (Cass. n. 12094/2016); la violazione della disciplina sul rito assume rilevanza invalidante soltanto nell’ipotesi in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 19942/2008, SS.UU. n. 3758/2009, n. 22325/2014, n. 1448/2015, n. 14374/2023);

10. con il quarto motivo parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione delle norme sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo, assumendo di avere dimostrato la non ricollocabilità del lavoratore e che questi non aveva prospettato allegazioni sufficienti in proposito;

11. il motivo non è fondato;

12. ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’art. 3 della legge n. 604/1966 richiede: a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore; l’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (così Cass. n. 24882/2017, espressamente richiamata nella sentenza impugnata); in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (cfr. da ultimo Cass n. 2739/2024);

13. anche a tali principi risulta conforme la sentenza impugnata, che, con motivazione congrua e logica, ha accertato in fatto la carenza di prova in giudizio delle ragioni produttive poste a base del recesso, senza possibilità di verificarne l’effettiva sussistenza; da tale accertamento in fatto, non rivedibile in questa sede che non costituisce terzo grado di merito, ha tratto le conseguenze di cui sopra, conformi a diritto;

14. con il quinto motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) che nel ricorso in opposizione non era contenuta richiesta di accertamento della continuità del rapporto di lavoro, con vizio di ultra- ed extra- petizione in violazione dell’art. 112 c.p.c.;

15. con il sesto motivo parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c.) errata valutazione delle prove testimoniali sulla durata del rapporto di lavoro, assumendo che la stessa non è sorretta da motivazione congrua, e che la motivazione presenta vizi logici e giuridici, e lacune che non consentono di ricostruire l’iter logico che sorregge la decisione;

16. i motivi, connessi, sono inammissibili;

17. dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che l’accertamento dell’inizio del rapporto di lavoro antecedentemente alla sua formalizzazione è del tutto incidentale, e quindi al più rilevante ai fini della quantificazione del risarcimento;

pertanto, ai fini della dimostrazione del vizio denunciato parte ricorrente doveva quanto meno trascrivere (o localizzare con precisione negli atti) le conclusioni del lavoratore in contrasto con il contenuto della pronuncia al fine di consentire a questa Corte di apprezzarne la sussistenza e la rilevanza nel caso in esame (cfr. Cass. n. 342/2021, n. 11984/2011);

18. del resto, il sindacato di legittimità sulla motivazione in sede di legittimità è circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053 e 8054/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019);

19. la regolazione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo, segue il regime della soccombenza, con distrazione in favore del difensore di parte controricorrente dichiaratosi antistatario; al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.