CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 22191 depositata il 6 agosto 2024

Licenziamento dirigente – Addebiti disciplinari contestati – Danno all’immagine – Diritto a percepire la retribuzione durante il periodo di sospensione cautelare – Doppia conforme – Risarcimento del danno subito – Rigetto

Rilevato che

1. a seguito di impugnativa da parte di L.C. del licenziamento intimatogli per giusta causa dalla società (…) (M.I.T.), di cui era dipendente con inquadramento di dirigente e qualifica di direttore commerciale estero, in data 19.9.2015 con decorrenza 22.12.2014 (data di applicazione del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio), il Tribunale di Roma, per quanto qui ancora rileva, respingeva l’impugnazione del licenziamento;

riteneva fondate le rivendicazioni del ricorrente in ordine al diritto a percepire la retribuzione durante il periodo di sospensione cautelare alla stregua della contrattazione collettiva applicata al rapporto e ingiustificata la decorrenza retroattiva;

rigettava la domanda riconvenzionale della società di condanna al risarcimento del danno subito a seguito della condotta del lavoratore;

2. la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma di tale sentenza, confermata nel resto, condannava L.C. al pagamento in favore del fallimento (nel frattempo intervenuto) M.I.T., a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, dell’importo di € 663.068,26 (per la perdita di tabacco), nonché dell’importo corrispondente a quanto riconosciuto a carico della società appellante, a titolo di sanzioni, dalla sentenza della CTP di Ancona n. 543/2016, e dell’importo di € 100.000 a titolo di danno non patrimoniale (per danno all’immagine e alla reputazione commerciale), oltre interessi legali;

3. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre L.C. con quattro motivi, illustrati da memoria; resiste il fallimento M.I.T. con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Considerato che

1. con il primo motivo parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’onere probatorio gravante sul datore di lavoro in caso di giusta causa di licenziamento, nonché dell’art. 2929 c.c. in relazione all’utilizzabilità di presunzioni e indizi e alla qualità degli indizi posti a fondamento della prova;

denuncia che la Corte territoriale ha accertato l’esistenza della giusta causa di licenziamento su base unicamente indiziaria, non attuando compiutamente i criteri di logica formale che presiedono alla modalità di interrogazione del materiale probatorio e attuando una sostanziale inversione dell’onere probatorio;

2. il motivo non è meritevole di accoglimento;

3. con articolata ricostruzione in fatto e in diritto la sentenza impugnata ha illustrato le ragioni della ritenuta fondatezza degli addebiti disciplinari contestati (commissione in concorso con altri di condotte di spedizioni fittizie di tabacchi lavorati in paesi extra-UE, in realtà commercializzati nell’UE con evasione di imposte) e della relativa prova (pp. 6-10);

4. da detta motivazione non si evince alcuna inversione dell’onere probatorio, ma l’utilizzo legittimo di prova atipica ricavata da elementi ostensibili delle indagini penali (documentazione acquisita in sede penale, accertamenti effettuati sul percorso dei mezzi di trasporto, intercettazioni telefoniche, di corrispondenza e ambientali, accertamenti bancari), con ragionamento esplicitato in riferimento agli elementi valorizzati in sede di recesso per giusta causa, integranti violazione dei doveri di lealtà e fiducia derivanti dal rapporto di lavoro dirigenziale;

5. tanto premesso, in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. n. 3541/2020); la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass. n. 27266/2023);

6. con il secondo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, mancata considerazione delle risultanze documentali, mancata ammissione della prova testimoniale, mancata considerazione del fatto della materiale esecuzione da parte di altri soggetti delle condotte attribuite al ricorrente;

7. il motivo è inammissibile;

8. in punto di dimostrazione della commissione dei fatti illeciti in concorso addebitati all’odierno ricorrente alla base del recesso per giusta causa, la Corte d’Appello ha confermato integralmente le statuizioni di primo grado, così realizzandosi ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.; quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisone impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello (come nel caso in esame) abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023, n. 7168/2024);

9. con il terzo motivo di ricorso viene denunciata (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. e del d. lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa della società da reato e (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’effettiva condotta della società nella materiale esecuzione delle condotte attribuite invece al dirigente;

10. il motivo è infondato;

11. il d.lgs. n. 231/2001 disciplina (art. 1) la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato; nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001 la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche si aggiunge, a determinate condizioni, alla responsabilità penale dei soggetti indicati dall’art. 5;

12. la questione, peraltro, è del tutto eterogenea rispetto all’oggetto della presente controversia di lavoro, che è la legittimità o meno del recesso per giusta causa dal rapporto di lavoro dirigenziale tra le parti, e rileva, eventualmente, nel parallelo processo penale (in relazione al quale non sono state fornite, in questa sede, informazioni dalle parti);

13. con il quarto motivo deduce (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2697, 1226 c.c.; sostiene inesistenza del danno in re ipsa in relazione alla violazione del diritto all’immagine e onorabilità della società, e violazione delle regole sull’onere della prova circa il danno-conseguenza e il nesso di causalità, nonché circa i termini di quantificazione;

14. il motivo è infondato;

15. la sentenza impugnata non ha affermato l’esistenza di danno in re ipsa, ma ha collegato (p. 13) il danno all’immagine e alla reputazione commerciale della società alla notorietà a livello mediatico, tanto nazionale che locale, dell’attività illecita ascritta in concorso al dirigente, dimostrata da articoli estratti da quotidiani e siti internet;

16. in ordine alla quantificazione di tale voce di danno, secondo la giurisprudenza di questa Corte l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (Cass. n. 24070/2017; cfr. anche Cass. n. 22272/2018); poiché la sentenza impugnata contiene sul punto motivazione rispondente a tali criteri di legittimità, anche sotto tale profilo resiste alle censure svolte nel ricorso;

17. la regolazione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo, segue il regime della soccombenza;

18. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 15.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.