CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 22488 depositata l’ 8 agosto 2024

Lavoro – Licenziamento per giusta causa – Comportamento violento – Nozione penalistica di rissa – Grave inadempimento – Regole dell’etica o del comune vivere civile – Pericolo per l’incolumità pubblica – Inammissibilità 

Rilevato che

1. con sentenza 20 aprile 2021, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello di (…) avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua impugnazione del licenziamento per giusta causa intimatogli il 17 ottobre 2018 da (…) s.r.l. (alle cui dipendenze aveva lavorato dal 2002 come operaio piegatore di IV livello), per rissa all’interno dei reparti di lavorazione, anche in ragione di un precedente episodio in cui il medesimo aveva tenuto un comportamento violento nei confronti dello stesso collega con lui coinvolto in essa;

2. con argomentata confutazione dei motivi di appello, alla luce del condiviso percorso motivo del Tribunale aderente alle risultanze istruttorie corretta mente valorizzate, la Corte territoriale ha ribadito la ricorrenza di una fattispecie, esattamente qualificata “rissa” in senso civilistico in ambiente di lavoro, integrante giusta causa in base alla ricostruzione del fatto, sanzionato nel rispetto del principio di proporzionalità, in esito ad una valutazione globale delle circostanze oggettive e soggettive, anche riguardanti la personalità e i pregressi rapporti tra i due lavoratori protagonisti, entrambi licenziati;

4. contro la sentenza, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, cui la società ha resistito con controricorso;

5. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.;

6. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Considerato che

1. il ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4 e 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto infondato il (primo) motivo di appello, di censura della ricostruzione del fatto da parte del Tribunale, con argomenti (tratti dalle giustificazione in sede disciplinare dei due lavoratori coinvolti) parzialmente inutilizzabili in quanto fondati su circostanze non provate e in parte incongruenti e pertanto con motivazione apparente (primo motivo); nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente rigettato il (secondo) motivo di appello, di critica della qualificazione del fatto sanzionato come “rissa”, in base ad elementi dedotti ma non provati dalla società datrice, nonostante la tempestiva contestazione del lavoratore (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 10, lett. b), p.to h) – Titolo VII del CCNL dei Metalmeccanici e 2119 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto legittimo il licenziamento per la sussistenza di una fattispecie di “rissa”, nonostante il solo spintonamento tra i due contendenti, l’assenza di lesioni a carico dei predetti o di un pericolo in tale senso e la conclusione della vicenda all’arrivo di altri due colleghi (terzo motivo); nullità del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la sussistenza di una giusta causa di licenzia mento, in base ad elementi (in particola re: l’avvertimento di non ripetere condotte rissose) dedotti ma non provati dalla società datrice, nonostante la tempestiva contestazione del lavoratore (quarto motivo); violazione dell’art. 7, ottavo comma legge n. 300/1970, per avere la Corte territoriale erronea mente ritenuto legittimo il licenziamento, valutando quale suo elemento costitutivo un precedente episodio di dieci anni prima, non oggetto di contestazione disciplina re, né tra le ragioni del licenziamento intimato (quinto motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3. non si configura la violazione delle norme di legge denunciate, in assenza di errori di diritto, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851). Il ricorrente si duole piuttosto di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;

3.1. in particolare, non è correttamente formulata, ai fini di sindacabilità nell’odierna sede di legittimità, la censura di error in iudicando dell’art. 2119 c.c. (10 luglio 2018, n. 18170, in motivazione sub p.to 6.1; Cass. 6 settembre 2019, n. 22358, in motivazione sub p.to 3.1), intesa piuttosto a contesta re la valutazione interpretativa della Corte;

4. è poi noto che la previsione, nel contratto collettivo, di fattispecie integranti giusta causa di licenzia mento rappresenta uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c., ma che non è vincolate per il giudice, il quale può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o un grave comportamento del lavoratore contrario alle regole dell’etica o del comune vivere civile, ovvero, al contrario, può escludere che il contegno del lavoratore integri una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (Cass. 1 luglio 2020, n. 13412; Cass. 12 novembre 2021, n. 33811);

4.1. in particolare, integra giusta causa di licenziamento una rissa, come quella nel caso di specie, declinata secondo la corretta accezione in senso civilistico (Cass. 12 febbraio 2016, n. 2830, in motivazione: “Nel caso di specie fa Corte territoriale ha invero fatto esatta applicazione del principio di diritto di cui a Cass. 16 marzo 2004, per il quale “l’elencazione delle ipotesi di giusta  causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alfe norme della comune etica o dei comune vivere civile alfa sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C. aveva ritenuto sussistente fa giusta causa di licenziamento nel comportamento del lavoratore che aveva percosso un superiore, pur se l’art. 25 del CCNL per i metalmeccanici dell’industria privata prevedeva come giusta causa di licenziamento la rissa). Conforme Cass. 18 febbraio 2011, n. 4060. Ed invero il giudice di appello, con motivazione adeguata, ha, in primo luogo, superato i confini della nozione penalistica di rissa, ristretta dall’elemento oggettivo del numero minimo dei partecipanti e del carattere violento della contesa, tale da costituire pericolo per l’incolumità pubblica, per adottarne (anche sulla scorta di Cass. 28 novembre 1998, n. 2132) una più aderente, da un lato, al significato che del termine viene dato nella vita comune ( e cioè di contesa anche tra due sole persone idonea a procurare., per le modalità dell’azione e per fa sua capacità di coinvolgere terzi, una situazione di pericolo non limitata ai soli protagonisti); e, dall’altro, più in linea con le necessità peculiari dell’ambiente di lavoro, prendendo in considerazione l’idoneità del fatto a provocare una qualche alterazione della regolarità e del pacifico e ordinato svolgersi della vita collettiva all’interno di esso: e cioè una nozione connotata da una più esatta capacità definitoria., in quanto direttamente connessa alfe tavole di valori alfa cui tutela presiedono i codici disciplinari elaborati dall’autonomia collettiva”);

5. neppure sussiste la denunciata motivazione apparente, ricorrente qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, così da risultare del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, in tal caso realizzando una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. 3 marzo 2022, n. 7090).

Tuttavia, una tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, per l’ampia ed argomentata illustrazione delle ragioni a fondamento del percorso decisionale offerta dalla Corte territoriale (ai p.ti sub 5.1., 5.2. di pgg. 5 e 6, sub 6, 6.1 di pgg. 6 e 7, sub 7, 7.1 di pgg. 8 e 9 della sentenza);

6. tutte le censure si risolvono, conclusiva mente, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e della ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019 n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), per loro esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;

7. il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.