CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 23411 depositata il 30 agosto 2024
Lavoro – Misure di accesso al trattamento pensionistico – Requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico – Applicazione di accordi collettivi di incentivo all’esodo – Attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato – Accoglimento
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 10.1.2019, la Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di G.M. volta a conseguire la pensione di vecchiaia in applicazione della c.d. settima salvaguardia di cui all’art. 1, comma 265, l. n. 208/2015, che ha fatto salvi i requisiti di accesso alla pensione previgenti all’art. 24, d.l. n. 201/2011 (conv. con l. n. 214/2011), anche per coloro che siano cessati dal servizio tra il 30.6.2012 e il 31.12.2012, alla condizione che non abbiano svolto, dopo la cessazione, attività riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato;
che avverso tale pronuncia G.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria;
che l’INPS ha resistito con controricorso, mentre l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Chieti e il Ministero del Lavoro sono rimasti intimati;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 27.3.2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380-bis.1, comma 2°, c.p.c.);
Considerato in diritto
che, con l’unico motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 1, comma 265, l. n. 208/2015, dell’art. 1, comma 194, lett. c), l. n. 147/2013, dell’art. 2096 c.c. e dell’art. 12 prel. c.c., nonché falsa applicazione dell’art. 14 prel. c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la sua assunzione in prova alle dipendenze di N.T. s.r.l., avvenuta in data 22.10.2012, costituisse attività riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato ostativa all’estensione della deroga, ancorché il rapporto di lavoro fosse cessato appena quindici giorni dopo, allorché con nota del 6.11.2012 gli era stato comunicato il licenziamento per mancato superamento della prova;
che, al riguardo, va premesso che l’art. 1, comma 265, lett. c), l. n. 208/2015, ha previsto, per quanto rileva in questa sede, che “le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, […] continuano ad applicarsi […] nel limite di 6.000 soggetti, ai lavoratori di cui all’articolo 1, comma 194, lettere b), c) e d), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, i quali perfezionano i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico, secondo la disciplina vigente prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, entro il sessantesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011”;
che la disposizione in esame si inserisce nel novero delle c.d. misure di salvaguardia (rectius, regimi derogatori: cfr. Cass. n. 31334 del 2022, in motivazione) di cui già ai commi 14 e 15 dell’art. 24, d.l. n. 201/2011 (conv. con l. n. 214/2011), i quali, coevamente all’introduzione delle nuove e più severe misure di accesso al trattamento pensionistico di cui all’art. 24, commi 1 ss., d.l. cit., hanno previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore di quest’ultimo continuassero ad applicarsi ad un’ulteriore platea di soggetti che, anteriormente all’entrata in vigore della riforma, avevano posto fine al rapporto di lavoro nella prospettiva di maturare il diritto alla pensione avvalendosi di istituti come la mobilità, l’integrazione al reddito a carico dei fondi di solidarietà, la prosecuzione volontaria della retribuzione, l’esonero, l’aspettativa speciale per l’assistenza ai figli disabili gravi o l’incentivo all’esodo;
che, in particolare, la disposizione in esame, mercé il rinvio all’art. 1, comma 194, lett. c), l. n. 147/2013, ha esteso la deroga ai “lavoratori il cui rapporto di lavoro si è risolto dopo il 30 giugno 2012 ed entro il 31 dicembre 2012 in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile, ovvero in applicazione di accordi collettivi di incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre 2011, anche se hanno svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato”;
che, ciò posto, va rilevato che, indipendentemente dalla questione dogmatica se il patto di prova debba considerarsi come appositivo di un termine (come suggerito da Corte cost. n. 204 del 1976, in motivazione) o di una condizione sospensiva potestativa (come invece reputato da Cass. n. 6096 del 1988) o ancora (e come suggerito da antica e autorevole dottrina) inveri piuttosto una clausola in cui termine e condizione si combinano tra loro, appare decisivo rilevare, ai fini che qui occupano, che il quarto comma dell’art. 2096 prevede espressamente che “compiuto il periodo di prova l’assunzione diviene definitiva”, ricollegando pertanto la “definitività” dell’assunzione al positivo esperimento della prova;
che, avuto riguardo alla ratio della deroga introdotta dall’art. 1, comma 265, lett. c), l. n. 208/2015 – che, come anzidetto, consiste nel preservare il più favorevole regime di accesso alla pensione di vecchiaia a coloro che hanno risolto il rapporto di lavoro nella prospettiva di maturare il diritto alla pensione avvalendosi di istituti come la mobilità, l’integrazione al reddito a carico dei fondi di solidarietà, la prosecuzione volontaria della retribuzione, l’esonero, l’aspettativa speciale per l’assistenza ai figli disabili gravi o l’incentivo all’esodo, escludendone soltanto coloro che, dopo tale risoluzione, abbiano prestato attività lavorativa “riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato” – appare evidente che il lavoro prestato nel periodo di prova debba necessariamente rientrarvi, non potendo ritenersi connotato da quella medesima “definitività” che si suole invece predicare per il “rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato” in considerazione della sua esclusione dalla disciplina dei licenziamenti, che del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce invece tratto qualificante;
che – diversamente da quanto opinato dai giudici territoriali e ribadito in questa sede dall’ente previdenziale – deve escludersi che un simile approdo ermeneutico possa integrare un’ipotesi di estensione analogica della deroga di cui all’art. 1, comma 265, lett. c), l. 208/2015, a fattispecie non espressamente prevista dal legislatore, in contravvenzione al divieto di cui all’art. 14 prel. c.c., trattandosi al contrario di un risultato coerente con un’interpretazione del combinato disposto dell’art. 2096 comma 4° c.c. e dell’art. 1, comma 265, lett. c), l. n. 208/2015, che, tenendo conto dell’“intenzione del legislatore”, di cui all’art. 12 prel. c.c., non fa che estendere la regula juris della deroga ad una fattispecie da reputarsi implicitamente considerata dalla norma, che nella specie –com’è d’uso dire con antica espressione – minus dixit quam voluit (per la legittimità di tale operazione ermeneutica anche in presenza di norme eccezionali v. Cass. S.U. n. 1919 del 1990 e, più di recente, Cass. S.U. n. 11930 del 2010);
che il ricorso, pertanto, va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: “il regime derogatorio dei requisiti per l’accesso alla pensione di cui all’art. 24, d.l. n. 201/2011 (conv. con l. n. 214/2011), che, a norma dell’art. 1, comma 265, lett. c), l. n. 208/2015, si applica anche ai lavoratori il cui rapporto di lavoro si è risolto dopo il 30 giugno 2012 ed entro il 31 dicembre 2012 in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile, ovvero in applicazione di accordi collettivi di incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre 2011, anche se hanno svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, si applica anche a coloro che, nel lasso di tempo anzidetto, hanno prestato lavoro subordinato in regime di prova, ai sensi dell’art. 2096 c.c., e il cui rapporto si è risolto prima del positivo superamento della prova stessa”;
che il giudice designato provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.