CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 23467 depositata il 2 settembre 2024

Lavoro – Domanda pagamento TFR – Fondo di garanzia INPS – Fallimento aziendale – Ammissione del credito al passivo fallimentare – Responsabilità solidale cessionario – Licenziamento – Immediata riassunzione – Accoglimento

Ritenuto che

Con sentenza del 2.6.17 la corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del 2014 del tribunale di Monza, che aveva accolto la domanda della lavoratrice in epigrafe volta al pagamento del TFR dal fondo di garanzia dell’Inps maturato dalla fallita M. Srl.

In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che l’ammissione del credito al passivo fallimentare in via definitiva precludeva all’Inps, avesse o meno partecipato all’accertamento in sede fallimentare, di contestare le somme (come avvenuto nella specie, ove l’ente aveva sostenuto l’effettiva continuazione del rapporto di lavoro con la cessionaria di azienda).

Avverso tale sentenza ricorre l’Inps per un motivo, cui resiste con controricorso la lavoratrice.

Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.

Considerato che

Il motivo deduce violazione dell’articolo 2 legge 297 del 1982, 1 decreto legislativo 80 del 1992, 1203, 1898 e 2112 c.c., per avere la corte territoriale trascurato la responsabilità solidale del cessionario e il licenziamento il giorno precedente il trasferimento di azienda con immediata riassunzione presso il cessionario.

Il motivo è fondato.

La fattispecie in concreto oggetto d’esame non si pone in termini differenti da quelli tenuti in considerazione da Cassazione n. 19277 del 2018 e dalle ulteriori numerose sentenze (Cass. n. 23047 del 2018; Cass. n. 23775 del 2018; Cass. n. 23776 del 2018; Cass. n. 14348 del 2019; Cass. n. 5376 del 2020; Cass. 4897del 2021) che hanno consolidato l’interpretazione in tale occasione adottata, superando il precedente orientamento (espresso da Sez. L, Sentenza n. 24231 del 13/11/2014, Rv. 633312 – 01; Sez. L, Sentenza n. 24730 del 04/12/2015, Rv. 638065 – 01) su cui –in via esclusiva- si basa la sentenza impugnata.

Si è infatti evidenziato che il diritto del lavoratore di ottenere dall’Inps, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del TFR a carico dello speciale Fondo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è, perciò, distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge.

In tale contesto, mentre è chiaro che la natura autonoma dell’obbligo di corresponsione della prestazione impedisce all’Inps di poter opporre eccezioni derivanti da ragioni interne al rapporto di lavoro che mirino a contestare esistenza ed entità dei crediti in ragione del concreto atteggiarsi delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro, come costantemente affermato da questa Corte di cassazione, proprio per l’autonomia dell’obbligazione assicurativa attribuita al Fondo non può operare l’effetto di totale inibizione dell’accertamento giudiziale relativo agli elementi soggettivi ed oggettivi al cui ricorrere scatta l’obbligo di tutela assicurativa e che sono interni alla stessa autonoma fattispecie previdenziale.

Per converso, l’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, può contestare la concreta operatività della regola di intervento del Fondo, incentrata sul ricorrere degli elementi previsti dalla stessa fattispecie di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, ed al D.Lgs. n. 82 del 1990, art. 2, (ndr D.L. n. 82 del 1990, art. 2) ed, in particolare, il richiamo all’art. 2120 c.c. fa sì che la disciplina ivi contenuta costituisca l’oggetto dell’obbligo assicurativo pubblico, rendendo palesi i presupposti per l’intervento del 

Fondo, da ravvisare nelle seguenti circostanze, che:

a) sia venuto ad esistenza l’obbligo di pagamento del t.f.r. fissato dall’art. 2120 c.c. in capo al datore di lavoro che è tale quando cessa il rapporto di lavoro;

b) egli, in tale momento, si trovi in stato di insolvenza; dunque, sempre ai sensi del disposto dell’art. 2120 c.c. è necessario, innanzi tutto, che sia intervenuta la risoluzione del rapporto di lavoro perché il t.f.r. non può essere preteso se non alla cessazione del rapporto di lavoro; ed è la stessa fattispecie di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, che include la risoluzione del rapporto, espressamente, fra i presupposti di applicazione della tutela, sicché l’intervento del Fondo di garanzia non si giustifica laddove sia inesistente la relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza dichiarata con procedura concorsuale, posto che le tutele dei lavoratori, in ipotesi di trasferimento d’azienda, formano oggetto di altre specifiche previsioni di derivazione comunitaria come la direttiva 2001/23.

La sentenza impugnata, che non si è attenuta al principio ora detto, deve essere cassata, con rinvio alla stessa corte d’appello in diversa composizione per un nuovo esame ed anche per le spese di questo giudizio.

Spetterà al giudice del rinvio di verificare se nel caso di specie l’INPS abbia tempestivamente dedotto innanzi al giudice di merito la continuità del rapporto lavorativo ed abbia altresì dimostrato per un verso l’allegata cessione d’azienda e, per altro verso, la mancata cessazione del rapporto del lavoratore interessato.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione