CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza, n. 23577 depositata il 3 settembre 2024

Lavoro – Riliquidazione di trattamenti pensionistici – Prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati – Anzianità già maturate – Criteri di gradualità e di equità tra generazioni – Principio del “pro rata” – Differenze dovute a seguito di riliquidazioni – Rigetto

Rilevato che

Con sentenza n. 556/2022, il Tribunale di Brescia, pronunciando sul ricorso di C.A. nei confronti di Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti, ha accertato il diritto alla riliquidazione della pensione in godimento al ricorrente prendendo a rifermento per la determinazione della base pensionabile la media dei redditi risultanti dalle dichiarazioni degli ultimi 15 anni di contribuzione anteriori al 2003, anziché dei 20 anni considerati dalla Cassa, ed ha condannato quest’ultima a corrispondere i ratei arretrati derivanti dalla riliquidazione nei limiti della prescrizione decennale, decorrente dal deposito del ricorso giudiziale.

Con sentenza n. 205/2023 la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma, ha condannato la Cassa a corrispondere i ratei derivanti dalla riliquidazione indicando come decorrenza della prescrizione decennale la notifica del ricorso giudiziale ed ha respinto nel resto il gravame della Cassa.

L’Ente previdenziale impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Brescia sulla base di due motivi, illustrati da memoria.

Resiste C.A. con controricorso.

A seguito di richiesta di decisione depositata dalla Cassa nei confronti della proposta di definizione accelerata del presente giudizio, è stata fissata l’odierna adunanza camerale, nella quale il Collegio ha riservato il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.

Considerato che

Con il primo motivo di ricorso, la Cassa denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., dell’art.2 del d.lgs. n. 509/94, degli artt. 1 e 3, comma 12, della legge n. 335/95, dell’art. 1, comma 763, della legge n. 296/2006, dell’art. 1, comma 488, della legge n. 147/2013, anche in relazione e combinato disposto all’art. 10, comma 8, del Regolamento di disciplina del regime previdenziale approvato con d.m. 14 luglio 2004, nonché degli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione, laddove la sentenza ha ritenuto l’inapplicabilità del Regolamento alle pensioni liquidate prima del gennaio 2007.

In subordine, deduce violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 19, comma 3, della legge n. 21/1986, dell’art.2948, n. 4, cod. civ., dell’art. 2943 cod. civ., dell’art. 47 bis del d.P.R. n. 639/1970 e dell’art. 3 e 38 Cost., per aver la sentenza rigettato l’eccezione di prescrizione quinquennale.

Il primo motivo – che verte sull’applicazione del principio del pro rata ad un trattamento pensionistico decorrente da marzo 2006 – è manifestamente infondato alla stregua di Cass. SU n. 17742/2015 (poi seguita da Cass. SU n. 18136/2015 e, ex multis, da Cass. n. 24616/2018, n. 31454/2021, n. 6133/2022, n. 25385/2023): in materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ex d.lgs. n. 509/1994 per i trattamenti maturati prima del 1 gennaio 2007 il parametro è costituito dal regime originario dell’art. 3, comma 12, legge 335/95 e non trovano applicazione le modifiche in peius per gli assicurati introdotte da atti adottati dagli Enti prima dell’attenuazione del principio del pro rata a seguito della rimodulazione dei cui all’art. 1, comma 763, legge 296/2006 come interpretata dall’art. 1, comma 488, legge 147/2013.

Come evidenziato in Cass. 6133/2022, «le Sezioni Unite, con la pronuncia del 16 settembre 2015, nr. 18136 hanno precisato che «in materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994 (quale la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), la liquidazione dei trattamenti pensionistici, a partire dal 1 gennaio 2007, è legittimamente operata sulla base della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, riformulato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che, nel prevedere che gli enti previdenziali adottino i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario, impone solo di aver presente – e non di applicare in modo assoluto – il principio del “pro rata”, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti, e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni, con salvezza degli atti approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, e che, in forza della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, si intendono legittimi ed efficaci purché siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine»;[…]

17. […] si osserva come si sia consolidato il principio secondo cui l’art. 1, comma 763, della legge nr. 296 del 2006 ha sostituito il concetto del pro rata di cui all’originario art. 3, comma 12, della legge nr. 335 del 1995, con un concetto meno rigido, introducendo una disposizione innovativa, secondo cui le Casse privatizzate nell’esercizio del loro potere regolamentare sono tenute non più al «rispetto del principio del pro rata» (vecchia formulazione), ma a tenere «presente il principio del pro rata» nonchè «i criteri di gradualità e di equità fra generazioni» (nuova formulazione), a partire dal 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della L. nr. 296;

18. in tal modo, il criterio del pro rata è stato reso flessibile e posto in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni consentendo alla Cassa, solo dalla data di entrata in vigore della norma, di adottare Delibere in cui il principio del pro rata venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla L. n. 335 del 1995 (tra le tante, v. Cass. 18 aprile 2011 n. 8847, 7 marzo 2012 n. 3613 e 30 luglio 2012 n. 13607, 14 febbraio 2014 nn. 3514 e 3520 richiamate da Cass. SS.UU. n. 17742 del 2015 e n. 18136 del 2015);

19. l’ultimo periodo del cit. comma 763, per il quale «Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ovvero degli enti di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge», non costituisce una validazione successiva delle disposizioni regolamentari delle Casse interessate nella parte in cui non ottemperavano alla prescrizione del «rispetto del principio del pro rata», ma riguarda le delibere future, successive al 1 gennaio 2007 e non può operare retroattivamente al fine di rendere legittime delibere anteriori che dovevano invece conformarsi alla normativa vigente al momento in cui erano state emanate ed ai fini della liquidazione della pensione.

La legittimità delle delibere va valutata a seconda del periodo in cui il diritto sia maturato (prima o dopo quella data) e del concetto di pro rata accolto dalla legislazione al momento vigente;

20. la norma della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, non si pone in contrasto con i principi enunciati dalla Corte EDU, assumendo una ben determinata fisionomia interpretativa nella vicenda della riforma della previdenza gestita dagli enti privatizzati, in quanto lo stesso comma 488 interviene solo sul secondo parametro applicativo relativo alla applicazione attenuata dello stesso principio, ai sensi della formulazione del comma 12 introdotta dalla L. n. 296, art. 1, comma 768 e non sul primo parametro di validità della regolamentazione della Cassa (rispetto assoluto dei pro rata, in forza della originaria formulazione della L. n. 335, art. 3, comma 12), così confermando l’interpretazione sposata da Cass. n. 24221 del 2014 ed in difformità da Cass. n. 17892 del 2014 che, negandone la reale natura interpretativa e la conformità ai precetti costituzionali e della CEDU, aveva riferito l’ambito della norma interpretativa anche alle pensioni maturate prima del 1.1.2007;

21. la natura realmente interpretativa della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, è stata convincentemente correlata alla oggettiva ambiguità del testo della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 768, in punto di limiti dell’effetto sanante delle precedenti delibere, testimoniata dalla giurisprudenza non uniforme della Corte di cassazione;

22. si è anche osservato come fossero da escludere profili: – di illegittimità costituzionale delle disposizioni introdotte a modifica dell’originaria formulazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che hanno delimitato nel tempo il potere regolamentare delle Casse professionali, alla luce degli obblighi di stabilità di bilancio incombenti sulla gestione della Cassa e del penetrante controllo pubblico amministrativo cui la stessa è soggetta (così, in motiv., tra le altre, Cass. nr. 3462 del 2019, cit.); – di pregiudizio al principio di adeguatezza e proporzionalità del trattamento pensionistico che deriverebbero da misure di contenimento della spesa pensionistica, in ragione dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, tra le altre, con la sentenza n. 104 del 2018, proprio in materia di legittimità di meccanismi disincentivanti i trattamenti pensionistici anticipati, secondo cui «[…] nei rapporti di durata il trattamento differenziato, riservato a una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, non contrasta con il principio di eguaglianza.

Spetta difatti alla discrezionalità del legislatore, nel rispetto del canone di ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di applicazione delle norme e, da questa angolazione, il fluire del tempo può rappresentare un apprezzabile criterio distintivo nella disciplina delle situazioni giuridiche (sentenze n. 273 del 2011,punto 4.2. del Considerato in diritto, e n. 94 del 2009, punto 7.2. del Considerato in diritto) […]»; – di superamento dei limiti di ragionevolezza e proporzionalità (v. Cass. nr. 3462 del 2019, cit.; Cass. nr. 9746 del 2019, in motiv. § 10)».

La sentenza impugnata, con motivazione adeguata, si è uniformata a detti principi.

Infondato è anche il secondo motivo, concernente il regime prescrizionale.

Va richiamato, anche in questo caso, l’orientamento di legittimità formatosi sul punto.

Si legge in Cass. 31527/2022 che «questa Corte di legittimità (Cass. nr.41320 del 2021) ha già avuto modo di confermare, in fattispecie analoga alla presente, l’orientamento accolto dalla sentenza impugnata ed ancor prima dalle Sezioni unite di questa Corte nr. 17742 del 2015, secondo cui in materia di previdenza obbligatoria quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. nr. 509 del 1994 la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 nr. 4 cod.civ. – così come dal R.D.L. nr. 1827 del 1935, art. 129 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove vi sia in contestazione l’ammontaredel trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod.civ.

14. In tali occasioni si è precisato che il rapporto assicurativo che lega la Cassa ai propri iscritti ha natura obbligatoria, dato che la CNRP è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di previdenza e assistenza, cui è obbligatoria l’iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate; inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 nr. 4, allo stesso modo che il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere «pagabile», ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere.

Non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell’art. 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione (v. Cass. n. 16388 del 2004 e nr. 1787 del 1997, in motivazione, nonché sez.un. nr. 10955 del 2002).

15. Se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto della controversia ora in esame, la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi «pagabile» e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 cod.civ., ma quella decennale ordinaria dell’art. 2946 cod.civ.

16. Tale orientamento va confermato, potendo aggiungersi che non induce a diversa soluzione l’art. 47 bis d.p.r. nr. 639 del 1970 […], secondo cui si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni, nel testo introdotto dal numero 2) della lettera d) del comma 1 dell’art. 38, D.L. 6 luglio 2011, nr. 98.

17. Risulta decisiva la considerazione che la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata.

18. La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale».

Questo indirizzo si è consolidato (ex multis Cass. n. 31641/2022, n.31642/2022, n.449/2023, n.688/2023, n. 4349/2023, n. 4362/2023, n. 4604/2023, n. 6170/2024) ed è condiviso dal Collegio.

Le ulteriori argomentazioni svolte in seno alla memoria depositata dalla Cassa in vista della presente adunanza non pongono elementi di valutazione effettivamente nuovi o non considerati nelle occasioni in cui questa Corte si è in passato pronunciata, per cui l’orientamento formatosi va confermato ed i motivi devono, pertanto, essere rigettati.

Conclusivamente il ricorso va respinto con condanna alle spese secondo soccombenza.

Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ult. co., cod. proc. civ. deve applicarsi l’art.96, commi 3 e 4, cod. proc. civ. contenendo l’art.380 bis, ult. co. cod. proc. civ. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di una ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a sezioni unite (Cass. S.U. n. 27195/2023 e n. 27433/2023, Cass. n. 27947/23).

Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in €2000,00 in favore del resistente e di una ulteriore somma di €2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in €4000,00 per compensi, €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore, dichiaratosi antistatario; condanna parte ricorrente a pagare al resistente l’ulteriore somma di €2000,00; condanna parte ricorrente a pagare €2000,00 in favore della Cassa delle Ammende;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.